
La COP30 in Brasile è ormai conclusa. Come sempre, i risultati sono stati contrastanti: molti gridano al “troppo poco, troppo lentamente”, mentre altri evidenziano i progressi potenzialmente significativi tessuti nel testo finale. Sicuramente, si sperava in una roadmap chiara verso l’eliminazione graduale dei combustibili fossili nell’accordo finale e in impegni più concreti sulle Nature-based Solutions alla crisi climatica. Ma la cosa più importante che ho imparato dai miei dieci giorni a Belém è che le manovre politiche non sono che una delle facce della COP. Dall'altra parte, con migliaia di persone, tavole rotonde, pubblicazioni e proteste, c'era molto di cui essere ottimisti per chi, come noi, lavora sulle zone umide e sul clima.
L'enorme valore delle zone umide in buona salute
Ospitata alle porte dell'Amazzonia, la COP30 ha avuto un lato naturalistico inevitabilmente incentrato sulle foreste. Ma le zone umide non sono state affatto dimenticate. Il Brasile, dopotutto, non è solo la patria dell'Amazzonia, il più grande sistema fluviale del mondo, ma anche del Pantanal, la più grande zona umida tropicale del globo, oltre che di una ricchezza di mangrovie e altri ecosistemi costieri e d'acqua dolce. E, aspetto fondamentale, il mondo sta finalmente prendendo coscienza dell'importanza delle zone umide, i nostri supereroi del clima.
Se le zone umide sono state a lungo trascurate nelle COP e nel dibattito globale sul clima, ora la situazione sta cambiando rapidamente. In tutto il mondo, governi, aziende e investitori iniziano infatti a comprendere l'enorme valore delle zone umide in salute. Tra l'allarme per l'aumento delle temperature e delle emissioni, nonché l'intensificarsi di inondazioni, siccità e ondate di calore, le zone umide sane si distinguono come uno dei nostri alleati naturali più efficaci per affrontare la crisi climatica.
Da fiumi e laghi a torbiere e mangrovie, la verità viene a galla: investire nella protezione e nel ripristino di questi ecosistemi e dei loro benefici insostituibili è cruciale per raggiungere gli obiettivi globali di mitigazione, adattamento e resilienza climatica.
La Freshwater Challenge
Di questa crescente consapevolezza sono stato testimone diretto a Belém. Nel corso di una riunione ministeriale di alto livello sull'acqua (di per sé un segno di reale progresso, dato che l'acqua è stata a lungo trascurata nelle COP), sono stato invitato a discutere della Freshwater Challenge. Parlando a nome di tutti i partner principali e secondari di questa ambiziosa iniziativa promossa dai paesi, ho sottolineato il ruolo centrale degli ecosistemi di acqua dolce nel migliorare la sicurezza idrica e alimentare e nell'affrontare la crisi climatica.
Per esempio, le pianure alluvionali, le paludi e le zone umide efficienti fungono da spugne naturali, riducendo l'impatto delle inondazioni sempre più estreme assorbendo l'acqua in eccesso e rilasciandola poi nei periodi più secchi, contribuendo ad alleviare la siccità. Recenti ricerche dimostrano inoltre che i laghi, i fiumi e le loro pianure alluvionali sono importanti serbatoi di carbonio: uno studio ha concluso che i corpi idrici amazzonici assorbono il 39% di carbonio in più per unità di superficie rispetto alla foresta pluviale. Un messaggio che ho sentito ripetere dai ministri presenti allo stesso evento, tra cui quelli di Brasile, Zimbabwe e Perù, e dai relatori di molti altri eventi nelle Green e Blue Zone.
L’importanza delle torbiere
Anche le torbiere sono finite sotto i riflettori. Tra le nostre zone umide trascurate, le torbiere sono forse le più sottovalutate, almeno finora. In primo luogo, sono enormi riserve di carbonio. Pur coprendo solo il 3-4% circa della superficie terrestre, le torbiere contengono un terzo del carbonio presente nel suolo mondiale, il doppio della quantità di carbonio presente in tutte le foreste del mondo.
Eppure continuiamo a prosciugarle, drenarle e degradarle, trasformandole in emettitori netti di gas serra. Infatti, secondo le stime, le torbiere drenate rappresentano oggi ben il 5% di tutte le emissioni globali di gas serra, più dell'aviazione e del trasporto marittimo messi insieme.
La COP30 è stata una tappa fondamentale per le torbiere, grazie a una serie di eventi che hanno approfondito l'importanza di questi ecosistemi. In particolare, si è rafforzato il sostegno al Peatland Breakthrough, un ambizioso progetto di collaborazione volto a mobilitare azioni e finanziamenti per salvaguardare, riumidificare e ripristinare le torbiere del mondo, al fine di promuovere gli obiettivi climatici, la sicurezza idrica, la biodiversità e il sostentamento delle popolazioni.
L'evento High-Level Unlocking the Power of Peatlands (Sbloccare il potenziale delle torbiere) non solo ha pubblicizzato gli obiettivi scientifici alla base dell'iniziativa Breakthrough (ovvero fermare l'ulteriore degrado e ripristinare l'umidità e la vegetazione di 30 milioni di ettari entro il 2030), ma ha anche fornito alla Germania una piattaforma per aderire ufficialmente all'iniziativa come paese campione, a fianco di Perù e Uganda. La Peatland Breakthrough, insieme alla Freshwater Challenge, è stata anche menzionata nella relazione finale sui risultati dell'Agenda globale di azione per il clima per la COP30.
Zone umide costiere
Anche le zone umide costiere si sono distinte durante la COP, in particolare le mangrovie e una loro iniziativa globale volontaria, la Mangrove Breakthrough. Considerate da tempo una soluzione naturale fondamentale per l'adattamento, in quanto in grado di proteggere le comunità e le città costiere dalle mareggiate e dall'innalzamento del livello del mare, le mangrovie rappresentano anche una valida soluzione di mitigazione, poiché sequestrano grandi quantità di carbonio.
Le mangrovie immagazzinano infatti fino a cinque volte più carbonio per superficie rispetto alle foreste tropicali e lo assorbono dall'atmosfera a una velocità circa tre volte superiore. Nel frattempo, sostengono la biodiversità e fungono da vivaio per pesci e altri animali marini, alla base della sicurezza alimentare e dei mezzi di sostentamento di molte comunità. Inutile dire che, come sempre, avremmo voluto vedere progressi ancora maggiori. Magari che la nostra richiesta di un incontro ministeriale sulle zone umide (sostenuta da oltre cento organizzazioni) venisse ascoltata.
Avremmo anche desiderato che più paesi includessero obiettivi relativi alle zone umide nei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) e nei piani di adattamento nazionali (NAP), oltre a impegni più concreti per accelerare gli investimenti nelle azioni a favore delle zone umide.
Ma ci ha rincuorato vedere che sono stati stanziati oltre 5,5 miliardi di dollari per il Tropical Forest Forever Facility e 2,5 miliardi di dollari per proteggere le foreste del bacino del Congo, regione ricca di fiumi e torbiere. Anche il triplicarsi dei finanziamenti per l'adattamento è un gradito passo avanti, poiché si spera che una parte significativa di questi fondi sarà destinata alle zone umide.
C’è ancora molto lavoro da fare
Insomma, ho lasciato alle mie spalle la COP30 con il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? A essere sinceri, probabilmente pieno solo per un terzo, ma comunque più delle precedenti COP. L'acqua e le zone umide sono ormai parte integrante della politica e della programmazione della Conferenza. Tuttavia, c'è ancora molto lavoro da fare per convincere i governi, le imprese e i finanziatori ad accelerare gli investimenti nei nostri fiumi, laghi, torbiere, praterie marine e mangrovie. Ma questo è ciò che noi e i nostri numerosi partner faremo per tutto il 2026.
Continueremo a proporre soluzioni efficaci per le zone umide di tutto il pianeta e a sottolineare l'importanza di zone umide sane, approfittando della serie senza precedenti di COP del prossimo anno su natura, desertificazione, specie migratrici e clima, nonché di altri importanti eventi sugli oceani e della Conferenza delle Nazioni Unite sull'acqua come piattaforma per sensibilizzare l'opinione pubblica, stimolare un maggiore impegno da parte dei governi e del settore privato e raccogliere più fondi per le zone umide, le campionesse mondiali del clima.
In copertina: una foto del Pantanal, Envato
