
Nel dibattito globale sulla crisi climatica, l’acqua rappresenta un paradosso centrale. È l’elemento attraverso cui, secondo gli esperti, si manifesta circa il 70% degli impatti del cambiamento climatico − dalle inondazioni devastanti alle siccità prolungate − eppure resta ai margini dei negoziati internazionali, raramente al centro delle discussioni della Conferenza delle Parti (COP).
In questo scenario, l’imminente COP30 di Belém, in Brasile, offre un’occasione unica per ripensare il ruolo dell’acqua nell’agenda climatica globale e riconoscerla come leva strategica per le azioni di mitigazione e adattamento.
Un passo importante in questa direzione è stato compiuto durante la COP29 di Baku, in Azerbaigian, nel novembre 2024, con l’adozione della Declaration on Water for Climate Action. Sottoscritta inizialmente da una cinquantina di paesi, la dichiarazione mira a rafforzare la presenza dell’acqua nelle politiche climatiche e a promuovere un approccio integrato tra gestione delle risorse idriche e azione per il clima.
Uno dei risultati più significativi della dichiarazione è stato il lancio della Baku Dialogue on Water for Climate Action, una piattaforma permanente che punta a garantire continuità tra una COP e l’altra, promuovendo cooperazione e azioni condivise a livello internazionale, regionale e di bacino. La piattaforma multi-stakeholder, che riunisce oggi 73 stati e decine di parti interessate per promuovere continuità e coerenza sull'azione climatica legata all'acqua, si è riunita per il suo primo incontro intermedio durante la Conferenza intermedia sui cambiamenti climatici di Bonn 2025.
Nonostante questo avanzamento politico, ONG e think tank, tra cui lo Stockholm International Water Institute (SIWI), sottolineano che la svolta resta incompleta. Mancano finanziamenti adeguati per l’adattamento idrico, indicatori specifici sull’acqua nei contributi determinati a livello nazionale (NDC), i piani volontari che i singoli paesi presentano in ottemperanza all’Accordo sul Clima di Parigi, e un maggiore coordinamento transfrontaliero nella gestione dei bacini idrografici.
Alla vigilia della COP30, la domanda resta aperta: cosa significa davvero mettere l’acqua al centro delle politiche climatiche? E quali risposte potrà offrire Belém, nel cuore dell’Amazzonia, una regione che già oggi vive in prima persona la crisi idrica e gli effetti estremi del cambiamento climatico?
La COP30 sotto la presidenza brasiliana ospiterà congiuntamente il primo incontro del The Baku Dialogue on Water e metterà in evidenza il suo lavoro per riconoscere pienamente e tradurre l'acqua, quale componente essenziale sia dell'agenda di adattamento che di quella di mitigazione, in azione per il clima.
Costruendo su questo slancio, il presidente della COP30, l’ambasciatore André Corrêa do Lago, ha lanciato un'ambiziosa Agenda globale per l'azione climatica, che riflette il primo bilancio globale dell'azione per il clima e include la gestione delle risorse idriche come pilastro centrale del suo "granaio di soluzioni", che intende mettere in mostra ambiziose attività di mitigazione e adattamento in corso. La COP30 è anche il momento in cui verranno svelati i nuovi impegni climatici nazionali, e la cosiddetta comunità idrica globale si sta mobilitando per mostrare sostegno a un'azione rafforzata sull'acqua all'interno degli NDC, con un'attenzione che passa dalla pianificazione all'attuazione dei piani.
Il paradosso brasiliano: acqua e clima, due facce della stessa sfida
Il Brasile, paese che ospita la COP30, possiede il 12% delle acque dolci superficiali del pianeta, ma rappresenta anche un caso emblematico di contraddizioni nella gestione e utilizzo delle risorse idriche. Da un lato, vanta un modello di governance decentrato e partecipativo nato con la Costituzione del 1988; dall’altro, nella stessa Amazzonia − dove si concentra circa il 70% delle risorse idriche nazionali − milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile.
Per comprendere queste dinamiche, abbiamo parlato con Ângelo Lima, biologo e segretario esecutivo dell’Observatório das Águas, una rete che riunisce 66 istituzioni impegnate nella promozione della buona governance idrica. “Realizzare la COP30 in Amazzonia è un’ironia crudele”, afferma Lima. “La regione che ospita il più grande serbatoio d’acqua dolce del pianeta è anche teatro di una profonda crisi di accesso e gestione. Questa disconnessione tra abbondanza percepita e realtà quotidiana rivela le disuguaglianze e le debolezze strutturali della governance idrica brasiliana.”
Per Lima, il cambiamento climatico non è un concetto astratto, ma si manifesta attraverso l’acqua. “Circa il 70% degli impatti climatici si esprime sotto forma di siccità o inondazioni, e la causa principale di entrambi è la stessa: una cattiva gestione del suolo”, spiega. “Nelle città, l’impermeabilizzazione del territorio e la canalizzazione dei fiumi amplificano i danni; nelle aree rurali, la deforestazione e la perdita di zone di conservazione alterano il ciclo idrologico.”
A suo avviso, esiste un profondo scollamento tra la percezione del rischio e l’azione politica. Da anni, il Forum economico mondiale indica la crisi idrica e gli eventi meteorologici estremi tra i maggiori rischi globali, ma questa consapevolezza non si è ancora tradotta in un ruolo centrale per l’acqua nei negoziati climatici. “Il tema è presente in molte discussioni − agricoltura, città, adattamento − ma in modo frammentato. L’acqua dovrebbe avere una corsia propria, come parte integrante del concetto di sicurezza idrica,” dice.
Lima richiama l’attenzione anche sulla necessità di un dialogo più stretto tra le diverse Conferenze delle Nazioni Unite: quella sul clima (COP UNFCCC), sulla biodiversità (CBD), sulla lotta alla desertificazione (UNCCD) e quella sull’acqua, che secondo quanto annunciato dalle Nazioni Unite tornerà nel 2026.
“È evidente una mancanza di integrazione tra questi processi internazionali,” osserva. “Ma il problema principale, ancora prima che tra le Conferenze, è la frammentazione delle politiche a livello nazionale. Le strategie su acqua, foreste, biodiversità e agricoltura procedono spesso su binari paralleli, senza dialogare tra loro. Potremo affrontare davvero queste crisi interconnesse solo integrando le politiche e, soprattutto, le azioni sul territorio, dove tutti questi elementi si incontrano e interagiscono”, conclude.
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In copertina: una foto dal Rio delle Amazzoni in Brasile, Nathalia Segato, Unsplash
