Mancano ormai pochi mesi alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP30, che si terrà nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, a Belém, dove la crisi climatica si intreccia con quella della biodiversità. Prima, però, la diplomazia climatica ha fatto tappa a Bonn, in Germania, dove ha sede l’UNFCCC e dove si sono svolti i negoziati intermedi.

Dal 16 al 26 giugno 2025 si è infatti tenuta la 62ª sessione del Subsidiary Body for Implementation (SBI) e del Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA), due organi tecnici permanenti “di sostegno e accompagnamento ai paesi nel loro lavoro negoziale. È ormai abbastanza difficile distinguere tra le competenze di questi due organi, le cui agende spesso si sovrappongono su numerosi punti. I negoziati intermedi sono molto importanti perché da sempre preparano, sia formalmente che politicamente, i documenti della COP”, ci racconta Jacopo Bencini, presidente di Italian Climate Network, che ha seguito i lavori svolti nelle scorse due settimane.

Nel comunicato finale degli SB62, il segretario esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell ha lanciato un messaggio chiaro: “Non addolcirò la pillola, abbiamo ancora molto da fare prima di rivederci a Belém. C'è ancora tanto lavoro da portare avanti per mantenere vivo l'obiettivo di 1,5 gradi, come la scienza richiede”. Quali sono stati, quindi, i punti salienti emersi a Bonn? E come si tradurranno, nei prossimi mesi, in scelte politiche e negoziali in vista della COP30?

Una partenza in salita

I primi giorni del negoziato intermedio sono stati complessi: la plenaria, ovvero il momento in cui viene approvata l’agenda dei lavori, si è chiusa solamente nel pomeriggio del secondo giorno. A ostacolare l’avanzamento dei lavori sono stati due temi particolarmente divisivi: la finanza climatica e il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), il meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere.

“È la seconda volta in pochi anni che non si riesce a trovare un accordo sull’agenda negli intermedi”, continua Bencini. “Il primo nodo ha riguardato la finanza per il clima: c’è insoddisfazione, soprattutto dopo com’è finita a Baku con la COP29. Molti paesi volevano inserire un punto specifico sull’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, che obbliga i paesi sviluppati a contribuire finanziariamente ai bisogni di quelli in via di sviluppo. Poi questa discussione è stata fortemente ridimensionata. Il secondo punto riguarda il CBAM europeo: si è cercato di far rientrare la questione nei negoziati climatici, tramite un riferimento all'Accordo di Parigi, parlando di misure commerciali unilaterali che possono portare danno all’economia globale."

Dopo quasi trenta ore passate a negoziare l’agenda, Stiell ha sottolineato come queste tempistiche non riflettano l'urgenza della situazione che stiamo affrontando, aggiungendo che è necessario “dimostrare al mondo che la cooperazione sul clima può portare a risultati concreti. Ora più che mai”.

Tuttavia, in un momento storico complesso per il multilateralismo, segnato da crescenti tensioni geopolitiche e da tagli alla cooperazione allo sviluppo, dai Negoziati intermedi di Bonn arriva un segnale incoraggiante: il budget 2026-2027 dell’UNFCCC, finanziato dai contributi dei governi, registra un aumento del 10% rispetto al biennio precedente.

“In questo contesto, pesa molto l’aumento del 5% del contributo della Cina, che di fatto la rende il primo contributore globale in termini di risorse impiegate per gestire il negoziato,continua Bencini. Con questo incremento, Pechino passa dal coprire il 15% al 20% del nuovo budget, superando ogni altro paese in termini di impegno finanziario, con la sola eccezione degli Stati Uniti, che prima dell’interruzione dei finanziamenti climatici sotto l’amministrazione Trump garantivano il 22% delle risorse.

“Ricordiamoci che, formalmente, gli Stati Uniti fanno ancora parte della Convenzione e rimangono parte dell'Accordo di Parigi fino a febbraio 2026, dato che l’uscita richiede un anno. L’ordine esecutivo di Trump risale a febbraio 2025, quindi, nonostante tutto, sarebbero ancora tenuti a partecipare a questi negoziati. Sembra però che non abbiano inviato una delegazione: nei giorni scorsi, i nostri delegati non hanno visto rappresentanti statunitensi,” sottolinea il presidente dell’Italian Climate Network.

Cos’è successo ai tavoli negoziali: mitigazione e adattamento

Gran parte dei temi trattati nei tavoli negoziali degli SB62 è stata rimandata alla prossima COP30 di Belém, ma non sono mancati segnali di avanzamento. Tra questi, un risultato positivo è arrivato dal gruppo di lavoro sulla mitigazione, che ha prodotto un informal note, una nota informale.

“Non si tratta di una decisione, ma di una sommatoria di tutte le visioni espresse dai paesi presenti in sala” continua Bencini. “È la prima volta, da quando esiste il Mitigation Work Programme, cioè dal 2021, che si arriva ad avere qualcosa di scritto. Su un tema che, di fatto, è già secondario per la COP30, visto che anche nelle quattro lettere della presidenza non si fa molta menzione del Mitigation Work Programme.”

Per quanto riguarda il tavolo negoziale sull’adattamento, uno dei temi prioritari nell’agenda della presidenza brasiliana in vista della COP30, il confronto si è articolato su due filoni distinti.

Il primo ha riguardato i Piani nazionali di adattamento (NAPs), strumenti con cui i paesi delineano le strategie per affrontare gli impatti climatici nel medio e lungo termine. Su questo punto non è stato raggiunto alcun accordo: il negoziato è stato interamente rinviato alla prossima Conferenza delle Parti.

Il secondo filone ha invece affrontato il tema dell’obiettivo globale sull’adattamento. “Le discussioni, segnate da divisioni anche significative tra i principali paesi, si sono concentrate sul tema degli indicatori. Il dibattito ha riguardato come arrivare a un numero congruo e gestibile − circa un centinaio − di indicatori utili a valutare i progressi verso il raggiungimento del Global Goal on Adaptation. È stato adottato un testo parziale, composto da 21 paragrafi sui 39 inizialmente previsti. L’obiettivo è evitare che il lavoro venga azzerato prima della COP30. Non si tratta però di una draft decision, ma semplicemente di un testo di lavoro,” sottolinea Bencini.

Anche i temi del Global Stocktake (GST) e della finanza climatica sono stati rimandati alla prossima Conferenza sul Clima. Per quanto riguarda il primo punto, “l’obiettivo di questi negoziati era quello di capire come costruire il prossimo Stocktake, ma è molto complesso orientarsi tra le molte proposte che sono arrivate”. Istituito ai sensi dell’Articolo 14 dell’Accordo di Parigi, il Global Stocktake ha l’obiettivo di valutare i progressi compiuti a livello globale nell’azione per il clima, individuare le lacune rispetto al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e identificare le opportunità per colmarle. Il prossimo GST si concluderà nel 2028, in occasione della COP33, per fare il punto sui progressi globali.

Finanza climatica e fonti fossili

Anche la finanza, tema ormai cruciale nei negoziati multilaterali, non solo sul clima ma anche sulla biodiversità, ha visto un sostanziale rinvio delle discussioni a novembre. Al centro del dibattito resta la questione chiave: come mobilitare i famosi 1.300 miliardi di dollari previsti dalla Baku to Belém Roadmap?

“Il dibattito è stato estremamente divisivo e polarizzato, e non si è riusciti a produrre una bozza. È probabile che questo diventi uno dei principali filoni di polemica nei prossimi mesi, perché da queste consultazioni è emerso chiaramente che non esiste alcun tipo di consenso tra Nord e Sud globale”, racconta Bencini.

Ultimo, ma non per importanza, il tema della just transition, la transizione giusta. Anche su questo fronte, i negoziati di Bonn hanno prodotto una nota informale, un documento non vincolante che raccoglie le diverse posizioni espresse in sala. “Il dibattito più acceso in questo filone di lavoro ha riguardato la decisione di inserire o meno riferimenti al transitioning away dalle fonti fossili.”

L’espressione era stata utilizzata per la prima volta al termine della COP28 di Dubai, dove l’accordo era stato definito storico proprio perché rappresentava la prima menzione esplicita di una possibile uscita dall’utilizzo delle fonti fossili. Duranti questi negoziati intermedi “si è però registrata una marcia indietro, con paesi come la Russia e gli stati arabi che hanno chiesto esplicitamente di rimuovere ogni riferimento al transitioning away.”

Verso la COP30

In un contesto ambientale e geopolitico sempre più complesso, in cui gli effetti della triplice crisi planetaria si manifestano quotidianamente e in modo sempre più interconnesso, uno degli obiettivi chiave della presidenza brasiliana è, come sottolinea Bencini, quello di “rimettere insieme le tre presidenze delle tre Convenzioni di Rio, ovvero clima, biodiversità e desertificazione”.

Questo si riflette anche nell’Agenda d’azione della COP30 che, articolata in sei ambiti, punta ad accelerare e ampliare gli sforzi globali per affrontare la crisi climatica, in linea con gli impegni dell’Accordo di Parigi e i risultati del Global Stocktake concordati alla COP28.

Fondamentale anche la nuova iniziativa lanciata dal Brasile, la Climate Mutirão, che promuove il coinvolgimento attivo delle comunità locali nelle azioni per il clima e nella costruzione di una transizione ecologica equa.

“Le persone ne comprendono il significato: è un'azione collettiva con un obiettivo comune,” ha spiegato Ana Toni, CEO della COP30. “Sappiamo che l’azione per il clima non può essere qualcosa a cui pensiamo solo due settimane all’anno. È qualcosa che facciamo ogni giorno, scegliendo che tipo di trasporto usare e che tipo di consumatore, elettore o utente energetico vogliamo essere. Tutti possono partecipare quotidianamente al Mutirão, ognuno con responsabilità diverse.”

 

In copertina di UN Climate Change - Lara Murillo