In una delle principali metropoli africane, Nairobi, in Kenya, si sta svolgendo in questi giorni di inizio dicembre la settima sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA-7). In questo contesto l’UNEP ha pubblicato il nuovo Global Environment Outlook (GEO-7), intitolato Un futuro che scegliamo. Il rapporto evidenzia con chiarezza che il degrado ambientale comporta costi di migliaia di miliardi di dollari ogni anno e provoca la morte di milioni di persone. Sottolinea inoltre che un approccio business-as-usual non farà che aggravare gli effetti delle crisi planetarie in corso.
Tuttavia, accanto a queste notizie allarmanti, l’outlook indica anche gli step necessari per ristabilire un equilibrio con la natura. Presenta due traiettorie per ridurre i rischi della crisi climatica, frenare la perdita di biodiversità e contenere l’inquinamento. Allo stesso tempo, mostra come la tutela dell’ambiente possa generare benefici macroeconomici già dal 2050, che raggiungeranno i ventimila miliardi di dollari l’anno entro il 2070.
Come ha dichiarato Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP, “il Global Environment Outlook mette l’umanità davanti a una scelta semplice: continuare lungo la strada che porta a un futuro devastato dal cambiamento climatico, da una natura in declino, da terre degradate e da aria inquinata, oppure cambiare direzione per garantire un pianeta sano, persone sane ed economie sane. In realtà, non è affatto una scelta”.
Crisi interconnesse
Il messaggio che questa settima sessione dell’UNEA vuole trasmettere è l’urgenza di accelerare lo sviluppo di soluzioni sostenibili per rendere il nostro pianeta più resiliente. Per le società di oggi non si tratta più di una scelta, ma di un imperativo: le crisi generate dalle attività antropiche hanno già un costo economico, sociale e ambientale pari a migliaia di miliardi di dollari l’anno.
Come evidenzia il rapporto dell’UNEP, negli ultimi vent’anni i danni provocati dagli eventi meteorologici estremi sono stati stimati in 143 miliardi di dollari l’anno e le emissioni di gas serra continuano ad aumentare. “Non c’è dubbio che il clima si stia riscaldando più rapidamente di quanto pensassimo,” racconta Sir Robert Watson, chimico britannico e in passato co-presidente dell'IPCC e dell'IPBES. “Negli ultimi anni abbiamo superato gli 1,5°C per almeno due anni consecutivi. E gli ultimi dieci anni sono stati i più caldi mai registrati. Si tratta di un cambiamento significativo anche rispetto al GEO-6 [la sesta edizione del rapporto pubblicata nel 2019, nda]. Il degrado del suolo continua, dalla deforestazione alla perdita di fertilità dei terreni, fino alla scomparsa delle specie. A livello globale, nulla sta andando nella direzione giusta. Alcuni paesi registrano successi locali, ma su scala globale la situazione è oggi significativamente peggiore rispetto al periodo del GEO-6.”
Passando dalla crisi climatica all’inquinamento, il rapporto ricorda che nel 2019 i soli danni sanitari legati alla scarsa qualità dell’aria hanno comportato costi superiori al 6% del PIL globale. L’inquinamento ambientale, che colpisce anche ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce, resta inoltre la principale causa di malattie e morti premature, provocando ogni anno il decesso di nove milioni di persone.
A questo si aggiunge il rapido declino della biodiversità, da cui dipendono non solo gli equilibri naturali ma anche interi settori economici come quello farmaceutico e agroalimentare. Secondo l’UNEP, gli sforzi attuali non basteranno a raggiungere i target fissati al 2030 dal Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal. Inoltre, il degrado del suolo minaccia la sicurezza alimentare: stando ai dati del 2022 tra il 20% e il 40% delle terre emerse risultava già compromesso, un fenomeno destinato a peggiorare per via di pratiche agricole insostenibili, dell’espansione delle aree coltivate e dell’urbanizzazione.
Le strade per un futuro migliore
Se il mondo proseguirà con un approccio business-as-usual, lo stato dell’ambiente peggiorerà drasticamente. I progressi ottenuti finora, dal Protocollo di Kyoto ai miglioramenti della qualità dell’aria in alcune regioni, vengono descritti come successi isolati e ben lontani dall’essere sufficienti.
Il rapporto, tuttavia, sottolinea che il cambiamento è possibile: servirà un impegno più deciso e un’inversione degli attuali trend geopolitici per avviare una trasformazione reale e duratura. Inoltre, evidenzia come le diverse crisi ambientali siano strettamente intrecciate e debbano quindi essere affrontate in modo integrato, anziché come problemi isolati.
“Uno dei messaggi del GEO-7 è che dobbiamo considerare insieme tutte e quattro le crisi. Non possiamo affrontare il cambiamento climatico da solo”, commenta il professor Edgar E. Gutiérrez-Espeleta, presidente dell’UNEA. “Questi grandi sistemi sostengono la vita sul pianeta e dobbiamo agire con questa consapevolezza. Il cambiamento climatico sta innescando processi negli altri sistemi, ma dobbiamo guardare a tutte e quattro le crisi nel loro insieme.”
Il rapporto analizza diversi scenari futuri. Oltre al business-as-usual, che, come abbiamo visto, porterebbe a un ulteriore deterioramento dell’ambiente e a una riduzione del benessere degli stati, sono stati sviluppati due possibili percorsi di trasformazione. Il primo scenario si concentra sui cambiamenti comportamentali delle persone, riducendo la pressione sui sistemi naturali attraverso minori consumi e una riorientazione dei valori verso la sufficienza. Il secondo, invece, punta sulla tecnologia: in un mondo altamente globalizzato, fa affidamento sul progresso tecnologico per rendere più efficienti i processi e diminuire l’impatto ambientale.
Cinque ambiti di intervento per invertire la rotta
Tuttavia, come ricorda Sir Robert Watson, “né i comportamenti né la tecnologia, da soli, sono sufficienti. Abbiamo bisogno di entrambi, oltre a cambiamenti nella governance. Ogni paese avrà bisogno di combinazioni differenti. E alla base di tutto ciò c’è la necessità di trasformare i nostri sistemi finanziari ed economici, inclusa la rimozione dei sussidi ai combustibili fossili e l’internalizzazione dei costi ambientali e sociali.”
Ma eliminare o riconvertire i sussidi e internalizzare le esternalità farà inevitabilmente aumentare i prezzi di cibo ed energia. Per rendere queste misure socialmente e politicamente accettabili, saranno necessari strumenti di protezione sociale in grado di tutelare le fasce più vulnerabili, assicurando al contempo che i sistemi economici e finanziari riflettano correttamente il reale costo delle risorse.
Per rendere possibili questi percorsi di trasformazione, il rapporto individua cinque aree chiave su cui intervenire e, per ciascuna, indica le azioni necessarie per ottenere risultati concreti: economia e finanza, materiali e rifiuti, energia, sistemi alimentari e ambiente. Al tempo stesso richiama l’attenzione sulla necessità di far avanzare soluzioni parallele, perché questi ambiti si influenzano e si intrecciano tra loro.
Secondo il rapporto, all’interno delle istituzioni affrontare le sfide ambientali non è compito esclusivo dei ministeri dell’ambiente: devono essere coinvolti anche gli altri settori, come quelli dell’energia, dell’agricoltura, della finanza e della difesa, perché le politiche ambientali sono legate, ad esempio, a quelle economiche, alimentari e di sicurezza nazionale. Allo stesso tempo, istituzioni, settore privato, ONG e cittadini devono condividere una visione comune e contribuire attivamente alla transizione ecologica.
In questo contesto il messaggio per le imprese è chiaro: “Non si può più ragionare a breve termine: bisogna guardare al futuro. È possibile continuare a fare profitti operando in modo sostenibile”, commenta il professor Edgar Gutiérrez-Espeleta. “Le aziende devono adottare pratiche circolari, ridurre le emissioni, esplorare nuovi modelli e migliorare la vita delle persone che vi lavorano.”
Inoltre, per prendersi cura della biodiversità e della natura, l’UNEP ricorda che la conoscenza e i valori dei popoli indigeni e delle comunità locali sono un tassello fondamentale da integrare nelle politiche ambientali se si vuole raggiungere un futuro giusto e sostenibile. Si tratta di conoscenze profonde, radicate in una visione olistica e legate ai territori in cui queste comunità vivono.
Agire per affrontare le quattro crisi planetarie comporterà certamente dei costi, ma quelli dell’inazione, in termini di benessere economico e vite umane, sarebbero ancora più elevati. Inoltre, secondo l’outlook e altri studi, investire nella tutela della natura porta benefici economici nel lungo periodo. I percorsi di trasformazione indicati dal rapporto prospettano infatti un futuro economico positivo se si riuscisse a rispettare l’Accordo di Parigi: nessuna perdita di PIL entro il 2050 e benefici pari al 6% entro il 2070, destinati a salire oltre il 25% entro il 2100.
In concreto, queste strategie potrebbero generare un valore aggiuntivo di ventimila miliardi di dollari all’anno entro metà del secolo e superare i centomila miliardi annui entro la fine del secolo. Al di là dei numeri, che potranno realizzarsi o meno, il messaggio del rapporto è l’urgenza di investire subito per affrontare le quattro crisi planetarie: agendo ora, nel lungo periodo si potranno ottenere benefici non solo economici, ma anche sociali e ambientali.
In copertina: immagine Envato
