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Le barriere coralline, spesso descritte come le “foreste pluviali del mare”, sono fondamentali per la biodiversità marina e il sostentamento di centinaia di milioni di persone. Coprono meno dello 0,1% dei fondali oceanici, ma ospitano oltre il 25% di tutte le specie marine e forniscono servizi ecosistemici per un valore di centinaia di miliardi di dollari all'anno. Eppure, nonostante la loro importanza ecologica ed economica, sono in costante declino, con eventi di sbiancamento su larga scala, epidemie e pressioni antropiche che ne accelerano il degrado in tutto il mondo.

A testimoniarlo è l'ultimo Rapporto annuale di sintesi sullo stato delle barriere coralline 2024-2025, pubblicato il 6 agosto dall’Australian Institute of Marine Science (AIMS), che dipinge un quadro desolante: le barriere coralline sono sottoposte a uno stress senza precedenti, con una copertura corallina media globale in calo di oltre il 17% in poco più di un decennio e perdite localizzate molto più elevate.

Emergono, tuttavia, anche casi di resilienza e gestione efficace, a ricordarci che il destino delle barriere coralline non è già segnato ma dipende dalle scelte che verranno fatte nei prossimi anni. Una rapida riduzione delle emissioni, accompagnata da misure mirate di conservazione e ripristino a livello locale, potrebbe preservare aree coralline significative e i mezzi di sussistenza che esse garantiscono, ma qualsiasi ritardo ridurrà questa finestra di opportunità e condannerà gran parte delle barriere coralline del mondo al collasso ecologico e funzionale.

Panoramica globale dello stato di salute delle barriere coralline

Il rapporto 2024-2025 sintetizza i dati di monitoraggio di oltre 70 paesi, valutando lo stato delle barriere coralline attraverso la copertura di coralli vivi, la dominanza delle alghe, la biomassa ittica e gli indicatori di resilienza.

La media globale della copertura di coralli duri vivi è scesa al 27,1% nel 2024, rispetto al 32,8% del 2010, con un declino relativo del 17,3% in 14 anni. In alcune regioni, come i Caraibi, le perdite sono state ancora più drammatiche: la copertura corallina media è ora del 16,5%, meno della metà dei livelli registrati negli anni Settanta.

L'Indo-Pacifico, che ospita i sistemi corallini più estesi, mostra tendenze contrastanti. Mentre paesi come l'Indonesia e la Papua Nuova Guinea hanno ancora barriere coralline con oltre il 35% di copertura corallina viva, la Grande barriera corallina australiana ha subìto il suo sesto evento di sbiancamento di massa in soli nove anni, riducendo la copertura corallina al di sotto del 25% in diverse sezioni settentrionali e centrali.

È importate notare come il rapporto sottolinei che i ricorrenti eventi di stress termico non sono più anomalie, ma fattori strutturali di cambiamento dell'ecosistema, che rimangono il fattore più significativo del declino dei coralli. Durante El Niño del 2023-2024, per esempio, le temperature della superficie del mare hanno superato le medie storiche di 1,5-2,0 °C in vaste zone degli oceani Pacifico e Indiano.

Lo sbiancamento dei coralli

Il rapporto documenta anche lo sbiancamento che ha colpito il 54% dei siti corallini monitorati in tutto il mondo. La mortalità è stata particolarmente grave in alcune parti dell'Oceano Indiano occidentale, dove la perdita di coralli ha superato il 40% in alcune zone del Madagascar e delle Seychelles.

Le indagini scientifiche confermano inoltre che le soglie di sbiancamento vengono superate con maggiore frequenza. Negli anni Ottanta, infatti, gli eventi di sbiancamento di massa si verificavano all'incirca una volta ogni 25-30 anni, mentre oggi alcune barriere coralline subiscono un grave sbiancamento ogni cinque anni o meno. Una drastica riduzione del tempo di recupero che compromette la capacità delle comunità coralline di rigenerarsi.

E anche in regioni con uno stress antropico relativamente basso, come alcune zone del Pacifico centrale, la diversità delle specie coralline è diminuita di oltre il 20% negli ultimi due decenni.

Malattie, inquinamento e pesca eccessiva

Sebbene il cambiamento climatico sia la minaccia principale per le barriere coralline, i fattori di stress locali amplificano la vulnerabilità. Il rapporto evidenzia per esempio la rapida diffusione delle malattie dei coralli, in particolare la “malattia da perdita di tessuto corallino”, che ha devastato le barriere coralline dei Caraibi. Tra il 2018 e il 2024, i siti colpiti hanno perso in media il 45% della copertura corallina dura rimanente, con specie come il Dendrogyra cylindrus che si avvicinano all'estinzione funzionale.

Anche l'inquinamento da nutrienti rimane una preoccupazione critica. Lo sviluppo costiero, il deflusso agricolo e le acque reflue non trattate favoriscono la proliferazione di alghe che competono con i coralli per lo spazio e la luce. Nel Mar Rosso, le stazioni di monitoraggio hanno registrato concentrazioni di azoto superiori del 60% alle soglie di sicurezza, in correlazione con un calo localizzato della copertura corallina al di sotto del 20%.

La pesca eccessiva, poi, aggrava ulteriormente queste pressioni, eliminando le popolazioni di pesci erbivori che controllano naturalmente le alghe e alterando ulteriormente l'equilibrio a scapito della dominanza dei coralli.

Segni di resilienza e storie di successo locali

Nonostante il declino globale, il rapporto sottolinea che le barriere coralline non stanno collassando in modo uniforme e alcune sacche di resilienza forniscono lezioni preziose. Alle Maldive, per esempio, rigide aree marine protette e progetti di ripristino attivi hanno stabilizzato la copertura corallina intorno al 32%, con alcuni siti che mostrano tassi di crescita annuali del 3-4%. Allo stesso modo, in alcune parti delle Fiji, le zone di divieto di pesca gestite dalla comunità hanno permesso alla biomassa ittica di raddoppiare in un decennio, migliorando la capacità di recupero della barriera corallina dopo gli eventi di sbiancamento.

Anche le innovazioni tecnologiche stanno facendo la differenza. In Australia e alle Hawaii sono in fase di sperimentazione progetti di evoluzione assistita, tra cui l'allevamento selettivo di genotipi di coralli resistenti al calore. I primi risultati indicano che alcuni coralli trapiantati sopravvivono alle anomalie termiche con tassi superiori del 15-20% rispetto alle popolazioni selvatiche. Sebbene tali misure non possano sostituire la riduzione delle emissioni su larga scala, dimostrano il potenziale di interventi mirati per prolungare la finestra di sopravvivenza degli ecosistemi corallini.

Implicazioni economiche e sociali del declino delle barriere coralline

La crisi ecologica che colpisce le barriere coralline è inscindibile dalle sue conseguenze socioeconomiche. Secondo il rapporto, per esempio, la pesca legata alle barriere coralline garantisce la sicurezza alimentare a oltre 500 milioni di persone ma dal 2000 il rendimento unitario della pesca nelle barriere coralline è diminuito del 30%, minacciando il sostentamento delle comunità costiere del Sud-Est asiatico e del Pacifico.

Il turismo, un'altra importante fonte di reddito, è altrettanto a rischio. Si stima che la sola Grande barriera corallina generi infatti ogni anno 4,6 miliardi di dollari per l'economia australiana. Tuttavia, i ripetuti episodi di sbiancamento hanno già portato a un calo localizzato del numero di visitatori. Le proiezioni suggeriscono che se la copertura corallina scendesse al di sotto del 10% in tutta la barriera, le entrate turistiche potrebbero diminuire fino al 50%, con implicazioni significative per l'occupazione regionale.

C’è poi la funzione protettiva delle barriere coralline contro l'erosione costiera e le mareggiate. A livello globale, infatti, le barriere coralline riducono l'energia delle onde di circa il 97%, salvaguardando le coste abitate da oltre 200 milioni di persone. Barriere coralline degradate, però, perdono gran parte di questa capacità protettiva, lasciando le infrastrutture costiere e le comunità sempre più esposte a eventi meteorologici estremi intensificati dai cambiamenti climatici.

Come invertire la tendenza

Il rapporto di sintesi annuale 2024-2025 offre anche una serie di raccomandazioni politiche basate su prove scientifiche. In primo luogo, sottolinea che la riduzione delle emissioni di gas serra rimane la misura più importante per garantire la sopravvivenza delle barriere coralline. Anche se la conservazione avesse successo, infatti, un riscaldamento globale superiore a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali metterebbe la maggior parte delle barriere coralline ad alto rischio di collasso funzionale.

A livello locale e regionale, poi, il rapporto chiede l'ampliamento delle aree marine protette, il miglioramento del trattamento delle acque reflue, una regolamentazione più severa dello sviluppo costiero e una maggiore applicazione delle norme contro le pratiche di pesca distruttive. È importante inoltre sottolineare il ruolo della governance indigena e comunitaria: l’AISM − che specifica di riconoscere “gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres come proprietari tradizionali della terra e del mare su cui opera l'Istituto, nonché come primi scienziati dell'Australia − sottolinea che le barriere coralline gestite secondo le tradizioni locali spesso mostrano una maggiore resilienza.

Ma anche il finanziamento internazionale è considerato fondamentale. Gli attuali fondi per la conservazione delle barriere coralline ammontano a circa 350 milioni di dollari all'anno, una frazione dei 10 miliardi di dollari stimati necessari ogni anno per arrestare il declino netto delle barriere coralline a livello globale. Il rapporto sostiene l'allineamento dei meccanismi di finanziamento per il clima, come il Green Climate Fund, con le priorità di conservazione delle barriere coralline.

Come affermano gli autori del rapporto, la questione non è più se le barriere coralline cambieranno ma “se l'umanità agirà abbastanza rapidamente da garantire che rimangano ecosistemi viventi piuttosto che reliquie in via di estinzione di un oceano più caldo”.

 

In copertina: foto di Neom, Unsplash