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Le mani segnate dal tempo di Edoardo Piretto raschiano le squame dei pesci da quando aveva nove anni, nel villaggio costiero di Aspra, vicino a Bagheria, a circa 20 chilometri da Palermo. Ora sessantacinquenne, questo pescatore siciliano guarda con frustrazione la sua barca, piena di una massa marrone maleodorante brulicante di mosche. “Oggi siamo andati a pescare dopo cinque giorni fermi. Ora devo stare almeno altri cinque giorni a pulire le reti”, si lamenta mentre toglie le squame a un besugo circondato dalle alghe.
La responsabile è la Rugulopteryx okamurae, un'alga invasiva che ha colonizzato le sue zone di pesca. “Con questa qua per lavarti le mani devi usare la candeggina. Altrimenti rimane per uno o due giorni cattivo odore", dice. La puzza può sembrare banale, ma simboleggia l'impatto dell'alga sulla biodiversità e sull'economia locale.
Filippo Maria Tripoli, sindaco di Bagheria, il primo comune italiano a essere stato raggiunto dall'alga asiatica, è ben consapevole del problema: “Questa alga crea un problema per la stagione, sia balneare ma anche turistica”. Ogni onda riporta le alghe sulle spiagge e allontana i bagnanti. La loro rimozione dipende dal bilancio comunale. “Appena c'è una mareggiata, ritornano ad aumentare, quindi non riusciamo nemmeno a capire quale fosse il periodo giusto per rimuoverle ed evitare di spendere così tanti soldi”, spiega Tripoli.
Una nuova arrivata destinata a restare
Dal proprio ufficio e dalla propria barca, il sindaco e il pescatore ascoltano attentamente le spiegazioni di Agostino Tomasello, professore di botanica all'Università di Palermo e coautore del primo studio scientifico sull'arrivo dell'alga in Italia.
Originaria del Pacifico, la Rugulopteryx okamurae convive pacificamente con gli ecosistemi locali in Giappone, Cina, Taiwan, Corea e Filippine. Ma nel 2015 ha iniziato il suo viaggio invasivo nel Mediterraneo: è stata individuata per la prima volta a Ceuta, città spagnola sulla costa africana dello Stretto di Gibilterra. Negli ultimi dieci anni si è agilemente insediata lungo le coste di Spagna, Marocco, Portogallo e Francia, nonché in arcipelaghi come le Isole Canarie, le Azzorre e Madera. Nel 2022 ha raggiunto un altro traguardo: è diventata la prima alga a essere inserita nell'elenco delle specie aliene invasive che destano preoccupazione a livello dell'Unione Europea.
Questa invasione senza precedenti è stata facilitata dalle calde acque del Mediterraneo, dall'assenza di predatori naturali e di meccanismi di resistenza da parte delle specie locali, nonché dalla vulnerabilità dell'ecosistema dovuta a fattori quali l'inquinamento causato dall'attività umana o gli effetti di precedenti invasioni.
Nel giugno 2023, l'alga ha raggiunto ufficialmente il piccolo villaggio di pescatori di Piretto. Due anni dopo, Tomasello ha compiuto lo stesso viaggio, ma al contrario, dalla Sicilia all'Andalusia. Ha partecipato al Primo workshop internazionale sull'alga invasiva Rugulopteryx okamurae a Malaga, sulla costa mediterranea della Spagna, su invito di María Altamirano, professoressa all'Università di Malaga, che per prima ha identificato l'alga a Ceuta e ne sostiene il monitoraggio in Italia.
Acqua di zavorra, un trasporto per passeggeri invisibili
Mentre si discute ancora sulle soluzioni alla crisi, sia Tomasello che Altamirano concordano sulla causa: l'acqua di zavorra delle navi mercantili che viaggiano tra l'Asia e l'Europa è stata la via più probabile attraverso cui la Rugulopteryx okamurae è arrivata sulla costa di Gibilterra. Le navi imbarcano acqua di zavorra nei porti di partenza per bilanciare il peso del carico e la scaricano nei porti di arrivo. Il trasporto dell'acqua di zavorra è anche l'ipotesi principale alla base dell'arrivo di altre specie invasive iconiche, come il granchio blu.
Nell'acqua di zavorra, le specie non viaggiano necessariamente nella forma che conosciamo, ma possono essere microscopiche: spore, propaguli, uova o larve. Sebbene per alcune si tratti di un viaggio lungo e difficile, non è un ostacolo per la Rugulopteryx okamurae, che può sopravvivere fino a tre settimane al buio.
“Le navi che trasportano materiali e merci in lungo e in largo per gli oceani del nostro pianeta trasportano anche dell'altro e questo altro poi determina inquinamento biologico”, spiega il professore italiano. Sebbene il Mar Mediterraneo rappresenti meno dell'1% della superficie oceanica mondiale, gestisce circa il 24% del traffico marittimo globale. I suoi collegamenti diretti con lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez, recentemente ampliato, spiegano perché più della metà delle quasi 1.000 specie esotiche presenti sulle coste europee vivono nelle sue acque calde, un numero in continuo aumento.
Una volta nel Mediterraneo, è probabile che l'alga asiatica abbia continuato il suo viaggio con le stesse modalità, raggiungendo nuove destinazioni attraverso l'acqua di zavorra. Ma potrebbe anche essersi diffusa attraverso le correnti marine o essere stata trasportata involontariamente da imbarcazioni da pesca o da diporto.
Prevenire l'arrivo come primo passo
Nel 2004, l'Organizzazione marittima internazionale (IMO) ha adottato una convenzione che impone alle navi di soddisfare determinati standard prima di scaricare l'acqua di zavorra, anche se è entrata in vigore solo nel 2017. A partire da settembre 2024, in base allo standard D2 della Convenzione, tutte le navi che trasportano acqua di zavorra battenti bandiera di un paese firmatario o che intendono scaricarla nei loro porti devono avere installati a bordo sistemi di trattamento.
Sebbene ci siano voluti 20 anni e si debbano ancora affrontare alcune difficoltà di attuazione, questa misura rappresenta un passo avanti per la protezione del Mediterraneo. “Voglio essere ottimista e credere che, non nel breve termine ma nel lungo periodo, assisteremo a una riduzione sia del numero di specie introdotte che della frequenza degli eventi di introduzione”, afferma Altamirano. “E questo, ovviamente, dovrebbe dare ai nostri ecosistemi autoctoni la possibilità di riprendersi.”
Tuttavia, l'Italia è in ritardo. Il paese non ha ancora ratificato la convenzione IMO, nonostante il fatto che i passeggeri clandestini nel trasporto marittimo siano responsabili di circa la metà delle introduzioni di specie esotiche nelle sue acque. Le navi italiane che desiderano attraccare nei porti dei paesi firmatari, come la Spagna, devono rispettare le norme IMO. Al contrario, qualsiasi nave internazionale può scaricare le proprie acque di zavorra nei porti italiani senza rispettare questi obblighi di trattamento.
Non c'è una spiegazione ufficiale del perché l'Italia non abbia ratificato la convenzione, ma ricercatori come Tomasello puntano il dito contro gli interessi economici. “La pesca rappresenta una parte molto più piccola dell'economia rispetto al trasporto marittimo”, osserva. “Quando cominceranno a emergere in maniera massiccia i problemi di natura economica legati all'espansione della specie, forse la politica porrà maggiore attenzione per cercare di dare risposte concrete.”
Dalla prevenzione alla collaborazione
Quando è troppo tardi per la prevenzione o l'eradicazione, l'attenzione si sposta sulla gestione: ridurre al minimo la sua diffusione e i costi di trasporto dalle spiagge alle discariche comunali o agli inceneritori. Questa particolare alga ha proprietà che potrebbero essere sfruttate per prodotti cosmetici, come materiale isolante nell'edilizia, per bioplastiche o persino come fonte di energia attraverso la combustione.
All'incontro organizzato da Altamirano, un esempio è stato il progetto dell'Istituto andaluso per la ricerca e la formazione in agricoltura e pesca (IFAPA), che sta studiando l'uso dell'alga asiatica come biostimolante per i vigneti. “In una zona dal clima caldo, dove le condizioni meteorologiche sono sempre più rigide, i composti estratti da queste alghe possono aiutare le colture a crescere meglio e ridurre lo stress delle piante”, spiega Emma Cantos, ricercatrice a capo del progetto. Questi composti potrebbero anche aiutare a combattere le minacce fungine che di solito richiedono sostanze tossiche come il rame.
Per quanto promettente, la valorizzazione rimane controversa a causa dell'alto rischio di diffusione e del cosiddetto “effetto pull”: trasformare le alghe in una risorsa redditizia potrebbe ridurre l'urgenza di fermarne l'espansione. Per ora, sia la normativa spagnola che quella europea vietano l'uso e la commercializzazione di specie esotiche invasive. Possono essere previste eccezioni per motivi sociali o sanitari, ad esempio, e sempre nell'ambito di un piano di controllo delle specie.
Mentre la Rugulopteryx okamurae continua il suo viaggio attraverso i mari, spaventando i bagnanti, frustrando i pescatori e gravando sui governi locali, lascia anche un insegnamento importante: nessun paese può affrontare da solo questa minaccia. Gli attori della filiera del trasporto marittimo devono rispettare le normative sulle acque di zavorra; i pescatori devono evitare di gettare le alghe in mare durante la pulizia delle reti; i governi devono sviluppare strategie di rimozione che impediscano un'ulteriore diffusione; i ricercatori devono mettere a frutto le proprie conoscenze per allertare e guidare tutte le parti interessate.
“L'invasione della Rugulopteryx okamurae non ha precedenti. Questo non deve scoraggiarci, ma piuttosto spronarci a utilizzarla come caso studio per affrontare potenziali invasioni future”, conclude Altamirano. “Gli scenari negativi non sono una scusa per non agire, ma un'opportunità per imparare.”
Piretto, da parte sua, non rinuncerà a pescare nelle acque in cui è cresciuto. Se prima sapeva solo che le alghe che rovinavano le sue reti provenivano da un mare lontano, ora assicura a Tomasello che è disposto a imparare a pulire correttamente le reti per aiutare a prevenire la diffusione della Rugulopteryx okamurae.
Questo articolo è stato realizzato con il sostegno del Journalismfund Europe.
In copertina: la spiaggia di Aspra a Bagheria, vicino a Palermo, sempre più ricoperta da un tappeto maleodorante di alghe. Tutte le foto presenti in questo articolo sono di Irene Baños Ruiz e Juan David Escorcia