“Nel 1960 una giovane donna britannica si avventurò nelle foreste africane per inseguire il sogno della sua infanzia: trovare un modo per osservare gli animali selvatici, liberi, nella loro vita indisturbata. Lasciò alle spalle tutto ciò che le era familiare e finì per offrire al mondo una straordinaria finestra sui nostri parenti viventi più prossimi. Quella donna ero io.”

Così si raccontava Jane Goodall, morta il 1° ottobre 2025 all’età di 91 anni mentre si trovava in California. Alla scienza, alla conservazione e all’impegno ambientalista ha dedicato la vita intera, lasciando un’eredità che continuerà a ispirare il lavoro di tante persone. Inoltre, in un’epoca in cui la scienza era dominata dagli uomini, il lavoro di Jane Goodall ha aperto la strada e ispirato generazioni di scienziate.

Chi era Jane Goodall

Conosciuta in tutto il mondo per i suoi studi sugli scimpanzé selvatici a Gombe, in Tanzania, Jane Goodall nacque a Londra nel 1934. Cresciuta durante la Seconda guerra mondiale, per il suo primo compleanno, al posto del classico orsacchiotto, il padre le regalò un peluche di uno scimpanzé chiamato Jubilee, un animale che l’avrebbe poi accompagnata per tutta la vita.

Non potendo frequentare l’università per motivi economici, intraprese un corso per diventare segretaria, ma il desiderio di visitare l’Africa la spinse in Kenya alla fine degli anni Cinquanta, dove incontrò il paleontologo Louis Leakey. Inizialmente lo assistette come segretaria al Museo nazionale di Nairobi, ma presto Leakey le affidò un compito destinato a cambiare il corso della sua vita: recarsi in Tanzania per studiare le famiglie di scimpanzé selvatici nella foresta di Gombe.

“Non avevo alcuna formazione, nessuna laurea, ma a Louis non importavano i titoli accademici. Cercava qualcuno con una mente aperta, passione per la conoscenza, amore per gli animali e una pazienza monumentale”, ricorda Jane Goodall nel documentario Jane Goodall: An Inside Look, realizzato da National Geographic grazie a oltre cento ore di filmati che si credevano perduti e che furono recuperati circa dieci anni fa, mostrando la scienziata all’opera in Tanzania.

Le importanti scoperte di Jane Goodall sugli scimpanzé

Arrivata presso la Gombe Stream Reserve per la prima volta nell’estate del 1960, Jane Goodall iniziò a immergersi nella vita della foresta e nell’osservazione degli scimpanzé. Poco dopo, fece una delle scoperte che l’avrebbero resa celebre: gli scimpanzé creano e utilizzano strumenti. Fu in quell’anno che osservò per la prima volta lo scimpanzé David Greybeard intento a catturare termiti maneggiando fili d’erba. La scoperta fu rivoluzionaria per l’epoca, per due motivi: innanzitutto, prima della spedizione a Gombe si sapeva ben poco della vita degli scimpanzé nel loro ambiente naturale; in secondo luogo, rese più sfumato il confine tra il mondo umano e quello animale. “Ora dobbiamo ridefinire lo strumento, ridefinire l'uomo o accettare gli scimpanzé come esseri umani”, commentò Louis Leakey parlando della scoperta.

Tra gli altri comportamenti che Goodall osservò negli scimpanzé, vi sono la capacità di cacciare e nutrirsi di carne, contraddicendo l’idea che fossero esclusivamente vegetariani, la possibilità di scontri tra gruppi (come la guerra degli scimpanzé a Gombe degli anni Settanta osservata dalla scienziata), fenomeni come il cannibalismo, la formazione di legami profondi tra madre e infante e la capacità di provare compassione.

La sua eredità e il Jane Goodall Institute

Nonostante non avesse una laurea, con il supporto di Louis Leakey Jane Goodall poté conseguire un dottorato in etologia al Newnham College di Cambridge. Nel 1965 completò la sua tesi, The Behaviour of Free-living Chimpanzees in the Gombe Stream Reserve. Quello che poteva essere uno studio di soli tre mesi si trasformò in un programma di ricerca ancora in corso al giorno d’oggi, portato avanti dal Jane Goodall Institute (JGI), fondato dalla scienziata nel 1970. Come ricorda il JGI, il suo lavoro e la sua eredità continuano con la ricerca in corso a Gombe, il programma di conservazione TACARE, il lavoro dei santuari Chimp Eden in Sudafrica e Tchimpounga nella Repubblica del Congo.

Oltre alla ricerca, Jane Goodall ha dedicato gran parte della propria vita alla divulgazione scientifica e alla sensibilizzazione sulle tematiche ambientali e sulla tutela degli animali. Ha scritto numerosi libri, tra cui l’ultimo, Il libro della speranza. Manuale di sopravvivenza per un pianeta in pericolo (Bompiani, 2022), in cui condivide storie personali, riflessioni e soluzioni per ritrovare la speranza necessaria a proteggere il pianeta e i suoi abitanti. Con uno sguardo rivolto al futuro, ha promosso attività dedicate ai giovani, come JGI Roots & Shoots, il programma per l’educazione alla sostenibilità e per l’impegno civico, insegnando che anche piccoli gesti locali possono contribuire a un mondo migliore, favorire il rispetto per tutti gli esseri viventi e ispirare ciascuno ad agire per la propria comunità.

“Un senso di calma mi pervadeva. Sempre più spesso mi sorprendevo a pensare: qui è il mio posto. Questo è ciò per cui sono venuta al mondo.” E ora che lo ha lasciato, questo mondo, resta la speranza che il suo messaggio, le sue idee e la sua passione per la natura continuino a vivere anche dopo di lei.

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In copertina: Jane Goodall al Gombe National Park, foto della Simon Fraser University via Flickr