La qualità delle acque costiere e interne italiane è ancora allarmante, e le cause principali sono inquinamento, maladepurazione e crisi climatica. A confermarlo è il bilancio 2025 delle campagne Goletta Verde e Goletta dei Laghi di Legambiente, che mostra come, su 388 campionamenti effettuati in 19 regioni da oltre 200 volontari durante l’estate, il 34% è risultato oltre i limiti di legge: circa un campione su tre. Una situazione aggravata dalla dispersione di rifiuti in acqua, con i risolvi negativi che ne conseguono, dall’ostruzione delle acque ai pericoli per gli animali all’inquinamento da sostanze chimiche, microplastiche e non solo.

Le analisi e i giudizi espressi dalle Golette non vanno a sostituirsi al lavoro delle autorità competenti in materia di balneazione. Gli obiettivi di Legambiente sono infatti diversi, incentrati sul tema della scarsa o assente depurazione, oltre al fatto che nella maggior parte dei casi i punti dove vengono prelevati i campioni di acqua sono differenti rispetto a quelli monitorati dalle ARPA e dalle ATS. I risultati di Legambiente non esprimono quindi una “patente per la balneabilità” ma vogliono mostrare le criticità legate all’inquinamento microbiologico delle acque dovuto a scarsa o assente depurazione. 

Una tendenza che, spiega Legambiente, si può invertire applicando un approccio integrato e basato su dati scientifici, per ridurre l’impatto delle infrazioni e garantire la salvaguardia della biodiversità marina e lacustre.

Goletta Verde 2025: le acque italiane non stanno bene

Nel 2025 Goletta Verde ha campionato 263 punti lungo i 7.500 km di coste italiane: il 35% dei punti esaminati lungo le coste è risultato inquinato (8%) o fortemente inquinato (27%), con una media di un punto critico ogni 80 chilometri.

La Goletta dei Laghi ha invece monitorato 44 bacini in 11 regioni, con 125 campioni analizzati: il 30% ha superato i limiti di legge, con 9 casi di inquinamento e 29 di forte inquinamento. Ha condotto anche analisi chimico-fisiche su sette laghi (Lago della Serraia in Trentino-Alto Adige, Lago Pertusillo in Basilicata e laghi Arvo, Cecita, Ampollino, Ariamacina e del Passante in Calabria), tutti entro i limiti di legge per i parametri considerati (valori di azoto, nitriti, nitrati, fosforo, cloruri e solfati nei laghi calabresi e azoto e fosforo nel lago trentino), e un’indagine specifica sulle microplastiche nel Lago d’Orta.

Punti particolarmente critici si confermano anche quest’anno foci dei fiumi, canali e corsi d’acqua che sfociano in mare o nei laghi: qui la percentuale di non conformità sale al 58%, con 69 punti su 119 oltre i limiti, di cui 54 fortemente inquinati. La situazione migliora leggermente nei campioni prelevati in mare aperto o in zone lacustri lontane da scarichi, dove solo il 15% dei punti è risultato fuori norma.

Tuttavia Legambiente denuncia che il 71% delle foci monitorate (85 su 119) non rientra nei programmi di campionamento delle autorità competenti e 47 di queste presentano valori superiori ai limiti di legge. Un’esclusione che deriva dal presupposto che le foci non siano balneabili e quindi non necessitino di monitoraggi ufficiali, ma che lascia prive di sorveglianza aree vicine o frequentate come spiagge libere, esponendo quindi i bagnanti a potenziali rischi sanitari. “Un’anomalia”, spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, che “cela anche un’altra criticità, il fatto che spesso si trovino spiagge libere oggi sempre più relegate a zone di serie B mentre i numerosi cittadini che vogliono fruirne meriterebbero di trovarle almeno in luoghi monitorati e balneabili”.  

Parallelamente, oltre 220 chilometri di costa sabbiosa – il 6,6% dei 3.346 km di costa bassa italiana – non sono monitorati dalle autorità competenti, un dato che si intreccia con il tema della riduzione delle spiagge libere e della loro localizzazione in aree spesso compromesse.

Maladepurazione e costi delle infrazioni

La maladepurazione resta uno dei principali punti deboli del sistema idrico italiano. Attualmente, non è trattato in modo sicuro il 4,4% del carico inquinante generato da oltre 78 milioni di abitanti equivalenti (che sono l’unità di misura per la quantità di carico inquinante prodotto e immesso nelle acque di scarico da un abitante stabilmente residente nell’arco della giornata). Lo 0,7% non è collegato a sistemi di depurazione e il 3,7% utilizza sistemi individuali non conformi. Questo significa che quasi 3,5 milioni di abitanti equivalenti scaricano in acque superficiali senza trattamento secondario o superiore.

A ciò si somma la non conformità di 855 agglomerati urbani, che coinvolge più di 26,8 milioni di abitanti equivalenti (il 34% del carico complessivo), oggetto di quattro procedure di infrazione europee contro l’Italia, tre delle quali già sfociate in condanna. La prima, avviata nel 2004, è costata al paese oltre 210 milioni di euro in sanzioni; la seconda, con sentenza a marzo 2025, prevede un’ammenda di 10 milioni più una penalità di 13,5 milioni ogni sei mesi di ritardo nella messa a norma.

Secondo le stime, l’adeguamento ai nuovi requisiti della Direttiva acque reflue, di recente approvata, richiederà investimenti compresi tra 645 milioni e 1,5 miliardi di euro solo per gli impianti di maggiori dimensioni.

Per questo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, chiede al governo “di definire e approvare al più presto un piano nazionale per la tutela di mare e laghi, investendo su innovazione e sostenibilità per ammodernare i sistemi di depurazione e per diffondere il riuso in agricoltura delle acque depurate. Sullo sviluppo delle rinnovabili in mare, dopo l’approvazione del Decreto porti, è urgente stanziare le risorse economiche necessarie per infrastrutturare i due hub cantieristici di Taranto e di Augusta, che potranno garantire anche nuova occupazione green a due aree portuali che hanno sempre avuto a che fare con la logistica delle fonti fossili”.

Il peso della crisi climatica e le possibili soluzioni

La campagna 2025 di Legambiente ha posto l’accento anche sugli effetti della crisi climatica. Basandosi su dati satellitari di Copernicus, infatti, ha mostrato come nei mesi di giugno e luglio la temperatura media delle acque superficiali del Mediterraneo ha raggiunto i 25,4 °C, il valore più alto dal 2016, superando i record del 2022 (25,2 °C) e del 2024 (25,1 °C).

Rispetto ai valori precedenti al 2021 (circa 24,5 °C), l’aumento di mezzo grado è significativo per la stabilità degli ecosistemi marini, poiché mette a rischio la biodiversità e aumenta la frequenza e la portata di eventi estremi, a causa di una sempre maggiore evaporazione delle acque marine e dell’energia termica accumulata, in particolare nei mesi estivi, che viene rilasciata successivamente con eventi meteo estremi.

Per questo, Legambiente ribadisce la necessità di un piano nazionale per la tutela delle acque costiere e interne che integri gestione, monitoraggio e adattamento ai cambiamenti climatici. Le priorità indicate comprendono: incremento delle risorse per il rinnovo degli impianti di depurazione, intensificazione dei controlli da parte di regioni, ARPA e comuni nei punti critici, e miglioramento della gestione delle acque interne.

Sul fronte delle energie rinnovabili, “è fondamentale spingere sulle fonti pulite a partire dall’eolico offshore, visto il grande potenziale e il fatto che questa tecnologia possa convivere con la fauna marina”. Per Legambiente l’Italia “deve accelerare su questa fonte rinnovabile, dando tempi certi, iter autorizzativi più snelli e coinvolgendo i territori nel dibattito pubblico.  Per prevenire l’inquinamento delle nostre acque occorre intervenire sulle cause all’origine, ossia sugli scarichi non depurati e sugli sversamenti illegali nelle acque superficiali.”

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In copertina: una foto dell’Isola Bella, Taormina, Envato