“La decarbonizzazione è un treno ormai in corsa: un obiettivo centrale e non reversibile, sostenuto anche da normative e regolamenti, come quelli tracciati dall’Unione Europea. Certo, si registra qualche discontinuità: la stessa UE, per esempio, ha ritoccato al ribasso alcune stime del Green Deal e negli Stati Uniti l’amministrazione Trump sta frenando. Al contrario, la Cina sta avanzando molto rapidamente nella produzione da fonti rinnovabili.”
A tratteggiare lo scenario globale dell’energia eolica è Davide Astiaso Garcia, segretario generale dell’ANEV (Associazione nazionale energia del vento) e professore ordinario di energetica all’Università La Sapienza di Roma.
E l’Italia? “Il nostro paese ha un grande potenziale in termini di fonti rinnovabili, sia in assoluto sia in rapporto alla superficie del territorio. La partita si gioca principalmente sull’eolico e sul fotovoltaico, perché sono tecnologie mature e competitive dal punto di vista economico, in grado di offrire benefici ambientali, ridurre le emissioni climalteranti e aumentare l’indipendenza energetica, un obiettivo a maggior ragione importante dopo l’instabilità sperimentata con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente.”
Lo scenario globale
Che la transizione non possa fermarsi, seppur procedendo a velocità altalenante, lo dimostrano i numeri del Global Wind Report 2025, diffuso dal Global Wind Energy Council (GWEC). Nel 2024 la nuova capacità eolica installata nel mondo è stata pari a 117 GW, di cui 109 GW onshore e 8 GW offshore, per una capacità cumulativa globale di 1.136 GW.
Un risultato leggermente superiore al 2023, quando si erano registrati circa 105 GW onshore e 11 GW offshore, ma il 2024 ha segnato un record storico, perché la nuova capacità eolica onshore entrata in servizio è stata determinante per superare per la prima volta il traguardo dei 1.000 GW.
La Cina ha guidato la classifica delle nuove installazioni (79.824 MW), seguita da Stati Uniti (4.058 MW), Germania (4.022 MW), India (3.420 MW), Brasile (3.278 MW).
La previsione per il 2025 è quella di raggiungere i 139 GW e, secondo le attuali politiche, è probabile che entro il 2030 vengano aggiunti 981 GW totali di nuova capacità eolica, in pratica 164 GW di nuove installazioni ogni anno fino alla fine del decennio.
Per quanto riguarda l’offshore, invece, gli 8 GW di nuova capacità eolica collegati alla rete l’anno scorso hanno portato la capacità globale totale a 83,2 GW: le nuove aggiunte sono state inferiori del 26% rispetto all’anno precedente, ma comunque il 2024 resta il quarto anno con il più alto volume di energia eolica offshore nella storia.
Dietro questi numeri si nascondono grandi disparità in termini di installazioni, fortemente concentrate in un numero limitato di mercati, tra cui Cina, Europa e Stati Uniti. Inoltre, come sottolinea il Global Wind Energy Council, ci sono importanti sfide chiave da affrontare a livello mondiale: difficoltà finanziarie e macroeconomiche, barriere commerciali e frammentazione del mercato, quadri normativi inadeguati per gli appalti e le aste e, infine, condizioni di investimento difficili nella filiera globale dell’energia eolica.
L’eolico in Italia
Questo scenario globale per molti aspetti si ritrova anche in Italia. Secondo l’ANEV, l’eolico nel nostro paese nel 2024 ha raggiunto una capacità installata di più di 12 GW, che hanno consentito di produrre un quantitativo di energia pulita di circa 23 TWh, con un risparmio superiore ai 34 milioni di barili di petrolio e quasi 17 milioni di tonnellate di emissioni risparmiate di CO₂.
Il Piano nazionale energia e clima (PNIEC) entro il 2030 prevede di raggiungere una capacità eolica di 26 GW per l’onshore e di 2,1 GW per l’offshore, a cui corrisponderebbe una produzione annuale di energia elettrica pari a 53,4 TWh, ovvero circa 900 kWh pro capite in un anno.
Obiettivi che si inseriscono all’interno del contesto UE, che punta a raggiungere una quota di energie rinnovabili pari ad almeno il 42,5% entro il 2030, con la capacità installata che dovrà passare dai 204 GW del 2022 a oltre 500 GW nel corso dei prossimi cinque anni.
In Italia stiamo però procedendo più lentamente di quanto potremmo, proprio in relazione agli obiettivi che il governo stesso ha presentato a Bruxelles. “Bisogna superare alcune criticità, anche perché sarebbe miope rinunciare a questa possibilità, visto che abbiamo tutte le risorse naturali, come sole e vento, ma anche industriali e umane per guidare la transizione”, spiega Davide Astiaso Garcia.
Le sfide sono ancora molte, anche dal punto di vista degli investimenti. Attualmente abbiamo circa 13 GW installati, ma dovremmo arrivare a 26-28 GW entro il 2030: occorre non solo costruire nuovi impianti, ma anche rinnovare quelli esistenti, sostituendo le turbine a fine vita con aerogeneratori più moderni e performanti.
“La sostituzione tecnologica può essere vantaggiosa: consente, ad esempio, di ridurre il numero di pale visibili nel territorio, aumentando però la capacità produttiva grazie alla maggiore efficienza delle nuove macchine. Un’evoluzione del parco impiantistico, che può avvenire senza impattare negativamente sul paesaggio, anzi migliorando l’efficienza generale del sistema.”
Prima di tutto, però, serve certezza normativa. “Un quadro generale più chiaro, stabile e orientato al medio-lungo termine aiuterebbe le imprese a muoversi con maggiore sicurezza, mentre oggi si registra una certa confusione. In teoria, la normativa europea prevede tempi precisi per il rilascio delle autorizzazioni, ma questi in Italia non vengono rispettati. Il rischio è che gli imprenditori si allontanino da un mercato percepito come instabile, dove le regole possono cambiare improvvisamente, e guardino ad altri paesi, più solidi e affidabili.”
In secondo luogo, c’è bisogno di regole omogenee sull’intero territorio nazionale. “Attualmente ogni regione ha una sua interpretazione e questo rende tutto più complicato. Occorre invece definire criteri condivisi e stabilire chiaramente dove si possano costruire gli impianti e dove no, in base a valutazioni oggettive e trasparenti.”
Il caso del decreto “aree idonee”
A questo proposito il 13 maggio 2025 il TAR del Lazio ha accolto il ricorso presentato da ANEV contro il decreto ministeriale del 21 giugno 2024, che definiva le “aree idonee” per lo sviluppo degli impianti a fonti rinnovabili.
“Di fatto limitava la possibilità di realizzare impianti eolici, lasciando troppi margini di discrezionalità alle regioni”, spiega Astiaso Garcia. “Bene, quindi, la decisione del TAR, ma la transizione non può procedere a colpi di ricorsi e sentenze. Paesi come la Cina, che sono andati avanti rapidamente sulle rinnovabili, lo hanno fatto proprio perché hanno scelto una direzione e l’hanno mantenuta. Hanno deciso di puntare su determinate tecnologie, dando segnali certi alle imprese e mettendole in condizione di lavorare.”
Eolico offshore e mini-eolico
Queste riflessioni valgono a maggior ragione nell’ambito dell’eolico offshore, un settore meno sviluppato e con criticità specifiche, legate in particolare alla situazione dei mari italiani. “Il Mediterraneo è un bacino complesso, con profondità variabili e aree vincolate, che non consentono ovunque l’installazione di impianti fissi, ma solo galleggianti o flottanti. Rappresenta però un’opportunità e alcune imprese italiane stanno già investendo in modo importante”, spiega Astiaso Garcia.
Bisogna supportare queste iniziative con una filiera industriale più matura e una visione chiara. “Le aziende cercano linearità per poter pianificare nel lungo periodo. C’è un interesse significativo, come dimostrano le decine di progetti presentati a Terna, anche se non tutti ovviamente sono realizzabili a breve termine. Ma ci sono aziende che hanno invece rallentato, anche a causa dell’attesa, durata anni, del famoso decreto FER2, emanato tardi e che non prevede nessuna asta per l’eolico offshore nel 2025.”
Un’altra possibilità è quella del mini-eolico: a questo proposito l’ANEV stima un potenziale energetico pari a circa 1,5 TWh/anno, corrispondente a una potenza installata di circa 850 MW. “Si differenzia dal micro-eolico per una taglia di potenza superiore, pur restando su scala contenuta, e offre potenzialità interessanti. Una tecnologia che può trovare applicazione in contesti specifici, affiancandosi ad altre soluzioni, come parte di un sistema integrato.”
Le sfide dell’innovazione
Sul fronte dell’innovazione c’è comunque “ancora molto da fare”, commenta Astasio Garcia. L’eolico a terra è “una tecnologia ormai matura, ma che continua a evolversi. Le innovazioni riguardano sia le pale che la componentistica: materiali più leggeri, maggiore efficienza, ottimizzazione della produzione anche con venti moderati. A conferma che la ricerca è attiva c’è il fatto che vengono ancora rilasciati brevetti su nuove soluzioni”.
Anche gli impianti nel loro insieme − progettazione, installazione, gestione − stanno diventando sempre più avanzati. “Sicuramente occorre continuare a sostenere la ricerca, anche con i finanziamenti europei, ma poi bisogna garantire il passaggio alla realizzazione concreta. A volte abbiamo innovazioni promettenti, che restano nei laboratori perché mancano le condizioni per essere applicate su larga scala.”
Eolico, dalla sindrome NIMBY alla NIMTO
A contare è anche l’atteggiamento dell’opinione pubblica e di molti amministratori locali: alla tradizionale sindrome NIMBY (Not in my back yard) negli ultimi anni si è affiancato il fenomeno NIMTO (Not in my terms of office), ovvero la tendenza da parte dei sindaci a evitare decisioni impopolari durante il proprio mandato, anche se nell’interesse collettivo.
“Eppure, una corretta informazione e una comunicazione chiara possono fare la differenza contro percezioni distorte, alimentate da disinformazione o da paure non giustificate. In molte assemblee pubbliche è bastato fornire informazioni corrette per superare le resistenze iniziali”, spiega il segretario generale dell’ANEV.
Il nodo del paesaggio è centrale, specie per l’eolico. “L’impatto visivo esiste, ma viene considerato caso per caso, attraverso l’iter autorizzativo: dove non ci sono le condizioni, i progetti non vengono approvati. Nelle valutazioni paesaggistiche bisogna avere equilibrio e distinguere tra i contesti da tutelare e quelli dove gli impianti possono integrarsi senza impatti evidenti”.
Non mancano i paradossi di soprintendenze che hanno bocciato progetti in aree industriali o già compromesse. È il caso del parco eolico offshore davanti al porto di Taranto, respinto perché alterava il paesaggio, nonostante la presenza dell’ex Ilva, o nelle acque al largo del porto di Civitavecchia, dove si è parlato di vista compromessa per i passeggeri delle navi da crociera.
“In questi casi servirebbe più buon senso, considerando anche che di frequente ho osservato una resistenza di tipo ideologico, priva di basi razionali o volontà di confronto. Troppo spesso, poi, il dibattito pubblico si sposta su false alternative, non realizzabili nei tempi e nelle dimensioni stabiliti dal programma di transizione energetica italiano. Si confondono quindi i cittadini su cosa si possa realmente fare per contrastare la crisi climatica, aumentando l’indipendenza e la sicurezza energetica del nostro paese, senza far alzare il costo delle bollette, anzi riducendolo nel caso di maggior penetrazione di rinnovabili nel mix energetico. Per esempio, in Germania, Spagna e Francia il costo medio annuale dell’energia elettrica è rispettivamente di 78, 63 e 58 €/MWh, a fronte dei 108 €/MWh italiani.”
Il paesaggio, in fondo, si trasforma insieme alla società: come un tempo tralicci e autostrade sono entrati a far parte del nostro orizzonte quotidiano, così anche le turbine eoliche diventeranno presto elementi familiari. “Le nuove generazioni già le identificano come simboli di un cambiamento necessario”, conclude Astiaso Garcia.
In copertina: immagine Envato