Un terremoto si è abbattuto nel mondo delle rinnovabili italiane e ha avuto la forma e la consistenza della sentenza del TAR Lazio pubblicata la sera del 13 maggio. Per capirne la portata facciamo un passo indietro.
Il Ministero dell’ambiente ha pubblicato l’anno scorso il cosiddetto Decreto aree idonee, concordandolo con le regioni, che serviva a individuare i criteri per la pianificazione delle installazioni di impianti rinnovabili. Un decreto che deve servire ad accelerare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ma che era stato criticato da associazioni di categoria e ambientaliste perché − secondo la loro valutazione − dava ampi margini di discrezionalità alle regioni e fissava troppi paletti.
Cosa prevede il Decreto aree idonee
In base al testo sono considerate non idonee all’installazione di impianti rinnovabili “le superfici e le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela”. La norma recepisce il divieto, imposto dal Decreto agricoltura − su cui il TAR ha sollevato dubbi in costituzionalità rimandando ai giudici costituzionali la decisione − di installare pannelli solari a terra sui terreni agricoli e indica agli enti locali una serie di criteri per individuare o escludere l’idoneità delle aree. I criteri che le regioni devono seguire riguardano “le esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici”.
Invita quindi a privilegiare “l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”.
Il provvedimento permette alle regioni di stabilire una fascia di rispetto intorno ai beni tutelati, dove non si possano installare impianti, fino a un massimo di 7 chilometri di ampiezza. Sono esclusi da tutti i nuovi vincoli le rinnovabili già esistenti e i loro rifacimenti. Infine, il decreto fissa per ogni regione gli obiettivi di nuova potenza rinnovabili anno per anno, dal 2021 al 2030, per allinearsi all’orizzonte complessivo del PNIEC (Il Piano nazionale integrato energia e clima) di 80 Gw di nuova potenza installata al 2030.
Le regioni avevano ampio margine per intervenire e infatti nel corso dei mesi sono stati approvati vari piani di individuazione delle aree idonee in base a questo decreto.
La contestazione al decreto
Arriviamo al 13 maggio, quando l’ANEV, l’Associazione delle energie rinnovabili eoliche, ha presentato ricorso contro alcune parti del testo firmato da Pichetto Fratin. Il giudice amministrativo ha dichiarato illegittimo il Decreto aree idonee nella parte in cui attribuisce alle regioni la possibilità di istituire fasce di rispetto fino a 7 km dai beni tutelati, per l’assenza di una disciplina transitoria per i procedimenti autorizzativi in corso e, soprattutto, per la mancanza di principi e criteri uniformi a livello nazionale per l’individuazione delle aree idonee e non idonee.
Proprio l’introduzione di tali criteri omogenei doveva rappresentare il fulcro del decreto, che invece ha finito per demandare integralmente alle regioni decisioni cruciali, determinando una frammentazione normativa inutile e dannosa.
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La frammentazione regionale
Il rischio è lo stallo: molte regioni avevano già deliberato i propri piani individuando le aree non idonee e adesso dovranno adeguarsi al testo nuovo che il ministero dovrà redigere.
La sentenza, ad esempio, è arrivata proprio nel giorno del varo della proposta di legge dell’Emilia-Romagna sulle aree idonee per gli impianti delle rinnovabili. “Diciamo che c’è stata questa coincidenza incredibile perché da due mesi lavoravamo ventre a terra su questo provvedimento”, ha amaramente ammesso il presidente PD Michele de Pascale. “Nello stesso giorno in cui lo abbiamo presentato dopo averlo approvato in giunta, c’è stata la sentenza del TAR e quindi in questo momento siamo un po’ in stand by perché non sappiamo se possiamo procedere”. Stand by è la parola che viene pronunciata in molte stanze in queste ore.
Perché chiaramente in tutte le regioni le penne si sono momentaneamente fermate in attesa delle modifiche del MASE e gli imprenditori delle rinnovabili − e gli ambientalisti − temono il caos normativo da un lato e la paralisi dall’altro.
Il Ministero ha ora 60 giorni di tempo per adeguare il decreto e il ministro Pichetto Fratin ha assicurato che sono già al lavoro. Fare presto è un’esigenza di tutti, anche di coloro che hanno festeggiato la sentenza del TAR.
“Il WWF, che ha più volte denunciato l’impatto negativo del Decreto aree idonee e del Decreto agricoltura sugli obiettivi climatici ed energetici, accoglie con favore queste pronunce”, scrive l’associazione ambientalista. “Entrambi i provvedimenti, come ripetutamente segnalato, hanno introdotto vincoli arbitrari e ostacoli procedurali. Si ricorda, inoltre, che è attualmente aperta una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato recepimento della Direttiva Red III, che impone agli stati membri di semplificare e accelerare le procedure autorizzative per gli impianti FER. A ciò si aggiunge la denuncia formale presentata nel novembre 2024 alla Commissione europea da WWF e A Sud sull’inadeguatezza del PNIEC, cha manca di politiche e misure sufficienti per raggiungere i target in materia di energia rinnovabile, compromettendo gli obiettivi climatici ed energetici e trascurando l’importanza di una transizione giusta.”
Alcune regioni hanno già deciso di agire, come l’Umbria: “L’annullamento dei commi 2 e 3 dell’articolo 7 però, non può essere la causa di una paralisi generalizzata”, scrive l’assessore all’ambiente Thomas De Luca. “Le sentenze si rispettano e la politica deve assumersi le proprie responsabilità. Per questo come regione, a valle del percorso partecipativo, adatteremo il nostro testo al giudizio del tribunale amministrativo e poi andremo avanti consegnando all’Assemblea legislativa il disegno di legge. L’obbligo di rieditare entro 60 giorni i criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee rischia di trasformare la situazione in sabbie mobili in cui a rimanere impantanate sono in primo luogo le comunità energetiche e gli impianti destinati all’autoconsumo. L’effetto nell’immediato, infatti, rischia di essere una moratoria verso i piccoli e medi impianti su cui l’incertezza del quadro normativo pesa molto più che sui grandi interventi.”
“Ci auguriamo che il nuovo decreto arrivi entro i 60 giorni previsti dalla sentenza”, dice Attilio Pittelli, presidente di FREE (Coordinamento fonti rinnovabili ed efficienza energetica). “Non possiamo continuare a perdere tempo con norme che generano confusione e rallentamenti nello sviluppo e autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili. Condividiamo i target di nuove FER al 2030, previsti dal governo nel PNIEC, ma chiediamo che le norme emanate siano coerenti e idonee al raggiungimento di questi obiettivi.”
Coerente a queste reazioni c’è anche quella di Confindustria. Anie Rinnovabili, l’associazione aderente a Confindustria che rappresenta 1.100 aziende associate e 420.000 addetti, ha fatto sapere di accogliere “con favore le dichiarazioni del ministro Gilberto Pichetto Fratin, che ha espresso la volontà di dare piena e tempestiva attuazione alla decisione del TAR, fornendo alle regioni indicazioni chiare e univoche sui criteri da adottare o recepire nella legislazione regionale», e si sono detti a disposizione per collaborare al nuovo testo.
I numeri delle rinnovabili in Italia
Intanto però l’industria italiana delle fonti rinnovabili accelera e nel 2024, nonostante le incertezze geopolitiche, ha registrato un aumento straordinario dei progetti fotovoltaici ed eolici, che possono godere del calo dei costi e dei miglioramenti nel rilascio delle autorizzazioni: tutto ciò emerge dall’Irex Annual Report 2025, lo studio di Althesys che, come ogni anno, monitora il settore elettrico.
Nel settore, il numero delle operazioni arriva a 1.834 (+55% rispetto al 2023), la potenza di generazione raggiunge gli 81,6 Gw per un valore di 121 miliardi di euro, contro i 50,9 Gw e gli 80,1 miliardi del 2023. I progetti di nuovi impianti sono quasi sempre in Italia, con il 98% delle iniziative e in prevalenza delle aziende.
Il fotovoltaico prevale per numero di operazioni (893) per 16,4 Gw e 12,2 miliardi di euro, l’agrivoltaico è in testa per potenza con 22,7 Gw e 541 iniziative per 17,3 miliardi di possibili investimenti, mentre l'eolico offshore spicca per valore dei progetti con oltre 60 miliardi di euro, il più elevato tra le varie tecnologie.
Però, anche qui, il settore è in subbuglio per l’esclusione dal decreto FER2 per gli incentivi alle FER da poco emesso dal MASE e dai ritardi per la firma finale al Decreto porti, per la costruzione delle infrastrutture necessarie all’offshore, nonostante i molteplici annunci di Pichetto Fratin.
Nel frattempo, nei primi quattro mesi del 2025 il prezzo dell’elettricità in Italia ha toccato i 136,2 euro/MWh, il valore più alto tra i grandi paesi Ue, superando di molto Germania (112,5 euro/MWh), Francia (94,5 euro/MWh) e Spagna (80,9 euro/MWh). Di fatto, il divario tra i prezzi dell'elettricità in Italia e Spagna è del 68% a danno del nostro paese. Il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso dipende, per sua natura, dal prezzo della fonte marginale utilizzata nella generazione di elettricità, che nel caso italiano risulta spesso essere rappresentata dal gas naturale.
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