C’è un settore in cui l’Italia continua a dare lezioni all’Europa: il riciclo. Carta, vetro, metalli e legno alimentano un sistema industriale che trasforma scarti in valore e tiene il paese ai vertici della circolarità. Ma, mentre la filiera del recupero corre, quella energetica arranca. È la fotografia della Relazione sullo stato della green economy 2025, elaborata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e dal Consiglio nazionale della green economy, con dati aggiornati a tutto il 2024 e al primo semestre 2025 da Eurostat, ISPRA, Terna, ENEA e GSE, e presentata oggi, martedì 4 novembre, a Ecomondo.
Il rapporto, punto di riferimento annuale degli Stati generali della green economy, analizza il percorso dell’Italia nella transizione ecologica, confrontandolo con i partner europei. Il quadro è chiaro: l’Italia è forte su economia circolare, ecoindustria ed efficienza delle risorse, ma deve accelerare su energia, mobilità e governance climatica. In altre parole, un paese che sa trasformare i rifiuti in valore, ma non ancora l’energia pulita in sviluppo strutturale.
Il primato dell’economia circolare
Con l’86% dei rifiuti complessivi avviati a riciclo (urbani e speciali), l’Italia resta nettamente davanti alla media UE del 53% e ai principali competitor. Nel solo imballaggio, il tasso di riciclo è al 75,6% nel 2023, in crescita al 76,7% nel 2024 secondo CONAI, con punte dell’81% per la carta e del 77% per il vetro.
L’Italia è anche prima tra i grandi paesi europei per tasso di utilizzo circolare dei materiali (20,8%) e per produttività delle risorse, pari a 4,7 euro di PIL per kg di materia, quasi il doppio della media europea. Il modello funziona, ma il vantaggio rischia di esaurirsi se non si passa dalla fase del riciclo a quella della prevenzione. I rifiuti generati per unità di PIL restano infatti alti e la domanda di prodotti riciclati è ancora fragile.
Il report chiede per questo di spingere su ecodesign, riuso e green public procurement vincolante, oltre a una riforma della normativa sui materiali secondari, per consolidare la filiera del valore circolare.
Energia e clima: un passo avanti e due indietro
Sul fronte energetico il 2024 è stato l’anno del sorpasso simbolico: 49% della produzione elettrica da rinnovabili, pari a circa 130 TWh, grazie all’accelerazione di fotovoltaico (+10%) e idroelettrico dopo il rimbalzo post siccità. È un record nazionale, ma ancora lontano dal 65-70% previsto dal PNIEC per il 2030.
Nel primo semestre 2025 le nuove installazioni eolico-solari sono però calate del 17% rispetto allo stesso periodo del 2024, frenate da burocrazia e congestione di rete. Ancora più marcato il ritardo su calore e trasporti: le rinnovabili coprono solo il 22% dei consumi termici e il 10,3% dei consumi di trasporto, contro obiettivi europei del 35% e del 29%. Le pompe di calore crescono del 15% annuo, ma restano marginali, mentre il biometano − con 2,2 miliardi di metri cubi prodotti nel 2024, a fronte di un potenziale nazionale di 8-10 − non è ancora competitivo senza incentivi stabili. Sul fronte mobilità non sorprende come il parco circolante resti il più anziano d’Europa, con 41,3 milioni di veicoli, di età media 12,8 anni, e solo 520.000 auto elettriche (1,3% del totale).
Dipendenza e resilienza
La dipendenza energetica dell’Italia è scesa dal 77,6% del 2021 al 72,2% del 2023, grazie alla diversificazione delle forniture (più Algeria, Norvegia e Azerbaigian, meno Russia) e al miglioramento dell’efficienza industriale. Ma restiamo tra i Paesi più vulnerabili dell’UE, con oltre 100 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (MTep) di energia importata ogni anno.
Il documento invita a spostare il focus “dalla produzione alla domanda”: ridurre i consumi, elettrificare i processi e modernizzare le reti. Gli edifici rappresentano il 30% dei consumi finali di energia, e oltre il 70% è in classi energetiche inferiori alla D. Attuare pienamente la nuova direttiva europea EPBD sugli edifici sarà decisivo per centrare gli obiettivi di neutralità al 2050. “Senza una politica di efficienza e una cabina di regia nazionale la transizione rischia di restare un esercizio contabile più che industriale”, avverte il Consiglio della Green Economy.
Il terreno sotto i piedi
C’è infine un indicatore che lega economia, energia e ambiente: il suolo. Nel 2022-2023 l’Italia ha consumato 64,4 chilometri quadrati di territorio naturale, pari a 17 ettari al giorno. Il suolo ormai impermeabilizzato copre il 7,16% del paese, con un costo stimato di 7,6-8,9 miliardi di euro l’anno in servizi ecosistemici perduti, dall’assorbimento di CO₂ alla ricarica delle falde.
Per gli autori della relazione, l’uso del suolo è parte integrante della transizione energetica: meno consumo e più spazio per rinnovabili diffuse, agrifotovoltaico e rinaturalizzazioni. In questa visione, il territorio diventa l’infrastruttura invisibile della transizione: la base fisica su cui costruire energia, resilienza e competitività. L’Italia resta un laboratorio di economia circolare, ma la sfida − avverte il report − sarà passare dal “riciclo del passato” alla riconversione del futuro.
In copertina: Edo Ronchi agli Stati generali della green economy a Ecomondo © Materia Rinnovabile
