Sembrava fosse giunta la fine dell’era dei bonus edilizi e invece il 2025 riserva sorprese. In vista dell’apertura del cantiere della legge di Bilancio 2026, il tema torna alla ribalta con una prospettiva inedita dopo anni di incertezze e dopo un anno segnato da un clima pessimista. Sembra infatti che il governo stia proprio lavorando per cercare di portare al 50% le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni delle abitazioni anche nel 2026, secondo quanto dichiarato dalla viceministra dell’ambiente e della sicurezza energetica, Vannia Gava, da sempre fan dei bonus, questa volta in collaborazione con il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti.

L’ipotesi rappresenterebbe un’inversione di rotta significativa rispetto alla traiettoria discendente prevista dalla normativa attuale. Secondo quanto stabilito dalla legge di Bilancio 2025, infatti, le detrazioni dovrebbero scendere dal 50% del 2025 (riservato alle prime case) al 36% nel 2026 per poi attestarsi al 30% nel biennio 2026-2027 per le seconde abitazioni. La proposta del governo punterebbe invece a mantenere l’aliquota al 50% anche per il prossimo anno, almeno per le abitazioni principali, in un tentativo di stabilizzare uno strumento che si è rivelato cruciale per il settore edilizio.

Tra le altre ipotesi allo studio, emerge anche la possibilità di una rateizzazione più rapida delle detrazioni fiscali, passando da 10 a 5 anni, una misura che potrebbe alleggerire il carico immediato sulle casse dello stato pur mantenendo l’incentivo per i contribuenti.

Il peso del Superbonus: oltre 127 miliardi di euro

Per comprendere le cautele, è necessario guardare ai numeri del Superbonus. Le detrazioni maturate al 31 agosto 2025 hanno superato la soglia di 127 miliardi di euro, segnando un aumento di quasi 160 milioni di euro rispetto al 31 luglio, secondo i dati dell’ultima rilevazione ENEA. Si tratta di una cifra che pesa enormemente sui conti pubblici e che ha reso necessaria una riflessione profonda sulla sostenibilità degli incentivi edilizi.

L’impatto economico del Superbonus è stato peraltro controverso. Se da un lato la misura ha effettivamente stimolato interventi di efficientamento energetico su larga scala, dall’altro ha generato effetti collaterali rilevanti: un aumento del 20% dei costi di costruzione nel triennio 2020-2023, la proliferazione di imprese improvvisate, casi di frode e un peso fiscale che rischia di protrarsi per decenni. Alcuni studi stimano tempi di rientro economico per lo stato fino a 35 anni.

Nel 2024, la fine del Superbonus ha già causato una riduzione degli investimenti nel recupero abitativo del 22%, mentre per il 2025 il mercato delle costruzioni è entrato in una fase di contrazione con una riduzione degli investimenti stimata al 6,1%, trainata proprio dal comparto della riqualificazione. Secondo i dati presentati dall’Energy Efficiency Report 2025 – il rapporto annuale realizzato dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano (POLIMI) che analizza lo sviluppo dell’efficienza energetica in Italia ‒ gli investimenti in efficienza energetica nel residenziale sono letteralmente crollati: da oltre 60 miliardi nel 2022 si è passati a 48 miliardi nel 2023, fino ai circa 30 miliardi stimati per il 2024, praticamente dimezzati in due anni.

Archiviata la stagione del Superbonus, emerge con forza l’esigenza di ripensare radicalmente gli strumenti di incentivazione. La Commissione ambiente della Camera, al termine di un’indagine conoscitiva avviata nel marzo 2023 e conclusa con l’approvazione del documento finale il 19 marzo 2025, ha tracciato un quadro chiaro delle direzioni da intraprendere.

Un’indagine che ha coinvolto numerosi attori istituzionali e rappresentanti di categoria, tra cui ANCE, e ha messo in luce alcuni nodi critici: innanzitutto il contributo del Superbonus alla decarbonizzazione è stato modesto e non proporzionato alle risorse pubbliche impiegate, con un costo per la riduzione della CO₂ stimato dieci volte superiore alla media prevista da parametri standard. Tuttavia, ha migliorato soprattutto le abitazioni più energivore (classi F e G), con circa il 60% degli interventi su queste classi e quasi il 90% degli immobili riqualificati che hanno raggiunto classi energetiche da A a C.

Però ha interessato solo il 3% degli edifici bisognosi di riqualificazione energetica, corrispondenti a circa 12 milioni di immobili in Italia, mentre oltre il 55% delle abitazioni italiane rientra ancora nelle classi F e G, secondo i dati del PNIEC 2024, un patrimonio edilizio poco efficiente che contribuisce per il 44% ai consumi energetici nazionali e che rappresenta una delle sfide principali per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione.

Secondo il documento conclusivo, insomma, gli incentivi dovrebbero essere più indirizzati al risparmio energetico effettivo e modulati in modo da tenere conto della condizione di povertà energetica dei beneficiari. Più in generale, i meccanismi andrebbero razionalizzati e resi più semplici. Tra le proposte emerse dall’indagine vi è la necessità di creare un quadro normativo stabile e di lungo periodo, promuovere la qualificazione delle imprese edilizie per garantire trasparenza, affidabilità e sicurezza, e valorizzare l’innovazione tecnologica nel settore.

Frammentazione degli strumenti e nuovi strumenti

Questa necessità di semplificazione risponde a un problema strutturale del sistema italiano evidenziato anche dal Politecnico di Milano. Secondo il già citato Energy Efficiency Report 2025, giunto alla sua quindicesima edizione, la frammentazione degli strumenti incentivanti costituisce un ostacolo concreto al raggiungimento dell’obiettivo europeo di ridurre i consumi finali di energia a 93 Mtep entro il 2030.

Per provare a traguardare il target è necessario “un salto di qualità in termini di visione strategica” e ben 308,1 miliardi di euro di investimenti complessivi. Il panorama attuale presenta infatti una molteplicità di strumenti che operano su binari paralleli, talvolta sovrapposti: bonus ristrutturazione, ecobonus, sismabonus, bonus mobili, ciascuno con proprie percentuali, massimali di spesa e requisiti tecnici. Questa complessità genera incertezza negli operatori e nei cittadini, frenando l’efficacia delle politiche di incentivazione.

Parallelamente al dibattito sui bonus per l’edilizia residenziale privata, si muovono anche iniziative dedicate al patrimonio pubblico, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione. La misura del PNRR per l’efficientamento energetico degli edifici residenziali pubblici rappresenta uno degli investimenti più significativi in questo ambito.

Si tratta dell’Investimento 17 della Missione RePowerEU del PNRR, che destina 1,381 miliardi di euro a uno strumento finanziario anti-povertà energetica per sostenere la ristrutturazione delle abitazioni di famiglie a basso reddito e vulnerabili. Il piano, avviato con la legge di Bilancio 2025, si basa su sovvenzioni e prestiti agevolati destinati a collaborazioni tra pubblico e privato, con un ruolo centrale affidato alle società ESCo (Energy Service Company). Il meccanismo prevede contributi a fondo perduto fino al 65% e prestiti agevolati fino al 35% dell’investimento complessivo.

Il Conto Termico 3.0 e il FER-T

Sul fronte degli incentivi per interventi di minore entità, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 settembre 2025 l’atteso decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica del 7 agosto sul Conto Termico 3.0, che aggiorna i meccanismi di incentivazione di interventi di piccole dimensioni per l’incremento dell’efficienza energetica e per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili: è un’evoluzione della precedente versione e punta a semplificare le procedure di accesso agli incentivi per piccoli interventi, un segmento spesso trascurato ma importante per il raggiungimento degli obiettivi complessivi di efficienza energetica, in particolare per gli edifici pubblici e le piccole imprese.

Parallelamente, secondo quanto emerso durante una presentazione degli obiettivi della Direzione generale domanda ed efficienza energetica del MASE, si attende entro fine novembre 2025 la bozza dello schema di decreto ministeriale sul cosiddetto FER-T, il provvedimento con gli incentivi agli interventi di produzione di energia termica da fonti rinnovabili di grandi dimensioni. Il FER-T dovrebbe colmare un vuoto normativo importante, incentivando impianti di teleriscaldamento, pompe di calore industriali e altri sistemi di produzione termica rinnovabile su larga scala.

Il Piano sociale per il clima

Nel quadro più ampio delle politiche europee si inserisce il Piano sociale per il clima, su cui il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha svolto un’informativa in Consiglio dei ministri il 4 agosto scorso. Il piano prevede quattro misure, due sul fronte dell’edilizia e due per la mobilità, per un budget complessivo di circa 9,3 miliardi di euro, fondi che derivano dal meccanismo europeo di compensazione sociale legato alle politiche climatiche, in particolare dall’Emission Trading System (ETS) esteso agli edifici e ai trasporti.

L’obiettivo è sostenere le fasce più vulnerabili della popolazione nelle spese per la transizione energetica, evitando che i costi della decarbonizzazione gravino in modo sproporzionato sulle famiglie a basso reddito. Le due misure dedicate all’edilizia punteranno presumibilmente a sostenere interventi di efficientamento nelle abitazioni delle famiglie in condizione di povertà energetica, un fenomeno che in Italia riguarda milioni di persone e che si è aggravato con le crisi energetiche degli ultimi anni.

Su questo fronte si muove anche la BEI: la Banca europea per gli investimenti mette infatti a disposizione 17,5 miliardi di euro per interventi di efficientamento energetico e progetti di decarbonizzazione attraverso l’Iniziativa per l’efficienza energetica delle PMI, che conta di raggiungere oltre 350.000 piccole e medie imprese del continente, e sono strumenti complementari agli incentivi nazionali.

Le sfide future

Il 2026 si profila quindi come un anno cruciale per definire il futuro degli incentivi edilizi in Italia. Le scelte che verranno compiute nella prossima legge di Bilancio dovranno equilibrare esigenze apparentemente contrastanti: sostenere un settore che ha mostrato evidenti segni di sofferenza dopo la fine del Superbonus, rispettare i vincoli di bilancio pubblico sempre più stringenti, e al contempo contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei di efficienza energetica e decarbonizzazione.

La proposta del 50% per il 2026 rappresenta un tentativo di trovare un punto di equilibrio, offrendo stabilità al settore senza ripetere gli eccessi del passato. Tuttavia, come sottolineato dagli esperti, dalle istituzioni e dallo stesso Energy Efficiency Report del Politecnico di Milano, il vero cambio di paradigma dovrebbe essere qualitativo prima ancora che quantitativo: strumenti più semplici, più mirati al risultato energetico effettivo, più attenti alle disuguaglianze sociali e meglio coordinati tra loro.

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In copertina: Milivoj Kuhar, Unsplash