Il 25 novembre si è concluso a Luanda, capitale dell’Angola, il settimo summit tra i leader dell’Unione Africana e dell’Unione Europa. La celebrazione del 25° anniversario di partenariato ha fatto emergere due intenti e un obiettivo comune: sfruttare e beneficiare equamente del potenziale economico e minerario del continente africano.
Da un lato l’Unione Africana rifiuta il ruolo di fornitore sovrasfruttato scommettendo sulla raffinazione dei minerali critici, dall’altro l’Europa vuole arginare il dominio infrastrutturale cinese investendo 150 miliardi di euro in progetti utili sia al suo approvvigionamento minerario che allo sviluppo economico africano.
"Altri investitori trivellano, estraggono e ne ricavano profitti. Spesso lasciano un'eredità di debiti insostenibili. Questo non è il modello europeo", ha dichiarato la presidente della Commissione europa Ursula von der Leyen lanciando una frecciatina al modus operandi di Pechino, senza però ricordare il sanguinario estrattivismo coloniale europeo.
Il presidente della Commissione dell'Unione Africana Mahmoud Ali Youssouf ha invece ricordato che l’Africa sta facendo progressi per diventare un attore chiave nelle diverse fasi della value chain globale e il suo ruolo di “semplice fornitore di materie prime giungerà presto al termine". Da qui il suo appello a "partenariati commerciali più equilibrati". Tra i temi affrontati al vertice figura anche la richiesta di un posto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di una rappresentanza più equa nelle istituzioni finanziarie internazionali.
I paesi africani spingono per una riforma dell’architettura finanziaria globale che alleggerisca il debito pubblico e garantisca un accesso più agevolato ai finanziamenti. Al momento il principale debitore africano nei confronti di Pechino è proprio l’Angola, con circa 46 miliardi di euro.
Il corridoio di Lobito
Attraverso il Global Gateway, il piano di investimenti europeo da 300 miliardi lanciato nel 2021, Bruxelles ha già mobilitato per l’Africa circa 120 miliardi, tra cui fondi per infrastrutture e materie prime critiche (600 milioni), digitalizzazione (165) e finanza climatica (3,4 miliardi). L’obiettivo è toccare i 150 miliardi entro il 2027.
Per l’UE il nodo centrale è la logistica, ovvero mettere a terra quelle infrastrutture che efficientino il trasporto di minerali critici. Tra gli investimenti più strategici c’è il restyling della ferrovia dei minerali, ribattezzata “Corridoio di Lobito”, che connetterà gli 800 chilometri che separano Angola e Zambia, passando per la Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Supportato anche dal Piano Mattei con 320 milioni euro, l’ammodernamento della vecchia linea ferroviaria Katanga-Benguela − costruita nel 1899 per volere del governo coloniale portoghese − creerà uno sbocco commerciale sull’atlantico per la “Copperbelt” di Zambia-RDC, la cosiddetta cintura di rame che fa gola a tutti. L’UE impegnerà 2 miliardi di euro mentre gli Stati Uniti, dopo un iniziale congelamento dei fondi da parte dell’amministrazione Trump, hanno mobilitato 500 milioni di dollari.
“I nostri investimenti nella lavorazione in loco delle materie prime in Namibia o in Zambia o nelle industrie farmaceutiche, dal Senegal al Ruanda, rispondono davvero a un interesse reciproco”, ha aggiunto von der Leyen.
Tuttavia le criticità logistiche della riqualificazione non mancano. L'eredità della guerra civile angolana ha lasciato un'estesa contaminazione da mine lungo diverse aree prossime alla ferrovia. Oltre mille campi minati devono ancora essere bonificati e di questi, secondo una recente analisi dell’ISPI, circa 250 ettari si trovano in un raggio di 10 km dal nuovo corridoio.
La corsa verso i tesori minerari dell’Africa
Secondo il Critical Mineral Outlook dell'Agenzia internazionale per l'energia (IEA), dall’Africa proviene l'11% della produzione globale litio e il 17% della produzione di rame, mentre quasi tre quarti del cobalto mondiale viene estratto nella Repubblica Democratica del Congo, con gravi conseguenze ambientali e umanitarie.
L’Unione Africana è ben consapevole del potenziale che queste risorse possono offrire allo sviluppo del continente. Non sorprende, quindi, che diversi paesi stiano valutando, o abbiano già attuato, la nazionalizzazione delle proprie ricchezze naturali, oppure stiano rinegoziando accordi più favorevoli con le compagnie minerarie straniere. Nel 2022 il governo dello Zimbabwe ha annunciato il divieto di esportazione di litio grezzo. Un anno dopo la Namibia ha vietato l’export sui minerali critici non raffinati, mentre lo scorso maggio il Gabon ha avvertito che non avrebbe più esportato manganese senza valore aggiunto. Insomma, i paesi africani puntano a una raffinazione “fai da te”.
La corsa globale ai minerali critici coinvolge anche i paesi in via di sviluppo. A giugno, l'India ha inviato una squadra di geologi in Zambia per esplorare depositi di rame e cobalto. Sempre per il rame zambiano la International Holding Company, azienda degli Emirati Arabi Uniti, ha investito 1,1 miliardi di dollari.
Mentre Canada, Cina e Australia hanno consolidato le loro posizioni in Africa con società che controllano importanti attività minerarie, le dinamiche di investimento delle potenze emergenti, insieme alla crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti, sono destinate a trasformare la geopolitica mineraria africana.
In copertina: da sinistra, Mahmoud Ali Youssouf, João Lourenço, Antonio Costa e Ursula von der Leyen fotografati da Dati Bendo © European Union, 2025
