Le chiamano zone di sacrificio: territori in cui il benessere delle persone e dell’ambiente viene messo in secondo piano in nome di un bene comune. Accade spesso in Africa, dove vengono estratti molti dei minerali considerati “critici” per la transizione energetica, indispensabili per batterie, turbine eoliche o pannelli solari. Strumenti chiave per abbandonare i combustibili fossili, certo, ma la cui filiera nasconde spesso un paradosso: nel tentativo di contrastare il cambiamento climatico, si finisce per compromettere la salute, l’ambiente e i diritti delle comunità che vivono nei luoghi di estrazione.
Una transizione giusta, però, è possibile. A sostenerlo è il policy brief Reimagining Africa’s Critical Mineral Value Chains: From Extraction to Equitable Green Industrialisation in a Multipolar World, realizzato dagli esperti di Power Shift Africa e del think tank climatico ECCO e pubblicato a inizio ottobre. Il documento, elaborato nell’ambito del T20, il gruppo di ricerca e analisi che fornisce proposte e raccomandazioni al G20, invita i paesi africani e i loro partner internazionali a ripensare l’intera filiera dei minerali critici, dall’estrazione alla lavorazione, affinché diventi motore di industrializzazione sostenibile, diversificazione economica e creazione di valore aggiunto a livello locale.
“Il nostro lavoro si inserisce in un quadro più ampio di riflessione sul partenariato tra Europa e Africa, in particolare sui modi in cui la cooperazione internazionale può contribuire a una transizione energetica giusta e sostenibile nel continente africano”, racconta a Materia Rinnovabile Lorena Stella Martini, analista senior politica estera di ECCO, coautrice del policy brief.
Le risorse dell’Africa
Nel continente africano si trova circa il 30% delle riserve minerarie mondiali, comprese molte delle materie prime critiche necessarie alla transizione energetica. Come ricorda il Critical Mineral Outlook dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), oggi l’Africa rappresenta l’11% della produzione globale di litio e il 17% di quella di rame, mentre quasi tre quarti del cobalto estratto nel mondo proviene dalla Repubblica Democratica del Congo. Gran parte di questi minerali lascia però il continente allo stato grezzo, con scarso o nullo valore aggiunto. Nel 2024, il valore complessivo di mercato della produzione dei principali minerali energetici africani ha raggiunto circa 50 miliardi di dollari per l’estrazione, ma soltanto 16 miliardi per la raffinazione.
Questo tema è stato fra le priorità della presidenza sudafricana del G20, che si concluderà a novembre. Il presidente Cyril Ramaphosa ha sottolineato la necessità di trasformare la ricchezza mineraria africana in un motore di sviluppo inclusivo e sostenibile. “Abbiamo bisogno di un quadro del G20 sull’industrializzazione verde e sugli investimenti per garantire progressi verso un grande patto che promuova la valorizzazione dei minerali critici nei luoghi stessi di estrazione”, ha dichiarato. “Man mano che l’estrazione mineraria accelera per rispondere alle esigenze della transizione energetica, i paesi e le comunità locali che possiedono queste risorse devono essere coloro che ne traggono i maggiori benefici.”
Come sottolinea il policy brief del T20, l’Africa dispone già di quadri strategici per orientare la propria strategia mineraria e industriale, come l’Africa Mining Vision (AMV)e l’Africa Green Minerals Strategy. Tuttavia, questi strumenti restano in gran parte inapplicati, frenati da una governance debole, da politiche spesso orientate dalle élite e da una scarsa integrazione nei meccanismi del commercio globale.
Il rischio, avvertono gli autori, è quello di riprodurre i vecchi modelli estrattivi del passato, invece di costruirne di nuovi più equi e sostenibili. Un segnale in questa direzione arriva da iniziative come il Corridoio di Lobito o l’accordo sui minerali critici tra Unione Europea e Namibia: progetti che, pur offrendo prospettive interessanti, mostrano quanto sia ancora limitata la capacità del continente di fissare in modo autonomo i termini della cooperazione.
Dal capitale alla cooperazione per costruire valore
La domanda a questo punto diventa: come trasformare il settore minerario africano dei minerali critici, dall’estrazione alla trasformazione? Secondo gli autori, bisogna innanzitutto puntare su una politica industriale regionale con valorizzazione locale, che favorisca la cooperazione tra i paesi africani ricchi di minerali critici e riduca il rischio di competizione interna dannosa, come sottolinea anche l’Africa Mining Vision.
Per portare avanti questo approccio, è fondamentale il sostegno del G20 all’Unione Africana, sia a livello diplomatico sia materiale, affinché vengano ratificati gli statuti dell’Africa Minerals Development Centre, l’ente incaricato di attuare l’AMV, che per ora è stato ratificato solamente da Guinea, Mali, Zambia e Nigeria e ha bisogno di essere sottoscritto da almeno altri 11 stati per entrare in vigore.
“Non bisogna limitarsi all’export di materie prime, ma favorire la nascita di catene del valore regionali capaci di generare occupazione, competenze e sviluppo industriale sul posto”, continua Martini. “Questo implica promuovere la partecipazione di imprese, fornitori e manodopera locali, local content requirements per gli investimenti, creare posti di lavoro, rafforzare la governance del settore minerario affinché i paesi africani dispongano di strumenti efficaci per gestire le proprie risorse, e diffondere standard ambientali e sociali condivisi che garantiscano una transizione sostenibile.”
Il secondo elemento necessario per trasformare il settore minerario africano è una governance che metta al centro le comunità locali. Non si tratta solo di coinvolgerle nelle decisioni, ma di garantire che siano le principali beneficiarie dell’estrazione dei minerali critici. In questo senso, il principio del consenso libero, preventivo e informato, sancito anche nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, rappresenta una guida fondamentale per relazionarsi con i territori.
Per massimizzare i benefici locali, è possibile introdurre politiche che favoriscano la lavorazione dei minerali vicino ai siti di estrazione, creando posti di lavoro, stimolando la diversificazione economica e aumentando il valore aggiunto generato in loco. Allo stesso tempo, è indispensabile rafforzare le tutele per i lavoratori del settore, garantendo diritti, sicurezza e condizioni dignitose.
Un altro elemento fondamentale è quello della trasformazione dei meccanismi globali di finanziamento industriale e degli accordi per facilitare il trasferimento di tecnologie e competenze alle nazioni africane in modo da poter sostenere un’industrializzazione verde e lavorare i minerali a livello locale. “Servono, prima di tutto, investimenti del settore privato. Ma per attrarli è necessario un quadro politico e normativo che ne favorisca l’operatività”, spiega Lorena Stella Martini. “Ecco perché i partenariati tra l’Europa e i paesi africani devono includere meccanismi che creino fiducia e riducano i rischi per gli investitori.” Tra le priorità indicate nel policy brief figurano la formazione tecnica, lo sviluppo di competenze locali e l’accesso a tecnologie avanzate. Tutti aspetti che, sottolineano gli autori, devono però integrarsi nei framework regionali già esistenti, come l’African Continental Free Trade Area.
Infine, la sfida riguarda anche il modo in cui l’Europa costruirà le proprie relazioni economiche con l’Africa. Una cooperazione fondata su standard comuni per catene di approvvigionamento sicure e sostenibili è fondamentale non solo per il futuro del continente africano, ma anche per quello dell’economia europea.
“Proprio in questi giorni, a Bruxelles, si terrà il Global Gateway Forum dove si discuterà dello stato di avanzamento dell’iniziativa europea e del quadro di cooperazione tra l’UE e i paesi partner, in particolare quelli africani”, conclude Martini. “Il punto di forza dell'approccio di cooperazione europea, rispetto ad altri attori globali, deve essere quello di focalizzarsi, nell’ambito dei minerali critici per la transizione energetica, sulla creazione di valore locale. L’obiettivo, quindi, deve essere la creazione intorno alle risorse di un’economia che generi sviluppo duraturo.”
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In copertina: foto Envato