“Senza una natura sana e vitale non abbiamo futuro.” Inizia così il 6° Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, approvato dal MASE a inizio settembre. Il documento fa il punto sui concetti principali e sui progressi relativi alla misurazione e alla valutazione dello stato del capitale naturale e dei servizi ecosistemici nel nostro paese, analizzando gli impatti delle politiche pubbliche su di essi.

Inoltre, a conclusione del Rapporto sono riportate le raccomandazioni del Comitato per il capitale naturale, che ha redatto il documento, che suggeriscono le azioni da intraprendere per “accrescere la considerazione sul ruolo fondamentale del capitale naturale in documenti strategici di politica economica come il Documento di economia e finanza (DEF) e successivamente la presentazione per il dibattito e l’approvazione della Legge di Bilancio”.

Perché è importante il capitale naturale?

Determinare il costo di una brioche al bar è relativamente semplice: basta sommare il prezzo degli ingredienti, il lavoro di chi la prepara e la serve, le tasse, l’affitto e altri oneri amministrativi. Il risultato è un prezzo finale che può variare da 1 a 5 euro (o anche di più in alcune città), a seconda del luogo. Ma come facciamo, invece, a stabilire il valore economico dell’impollinazione o del ciclo dell’acqua? Questi servizi ecosistemici, indispensabili per la vita sul pianeta, non hanno un prezzo esposto su uno scontrino. Eppure, se venissero meno, le conseguenze per la nostra economia e per la società sarebbero enormi.

Pensiamo, ad esempio, a cosa comporterebbe l’assenza di insetti impollinatori: gran parte delle coltivazioni agricole andrebbe in crisi, con effetti devastanti sui prezzi dei cibi e sulla sicurezza alimentare globale. In questo caso, come sottolinea il rapporto, “le valutazioni monetarie si applicano alle effettive e potenziali perdite di flussi e stock economici dovute alla perdita di servizi ecosistemici, e agli effettivi e potenziali guadagni che tali flussi e stock derivano o possono derivare dall’incremento dei servizi ecosistemici”.

Secondo un’analisi della Banca centrale europea, su 4,2 milioni di aziende non finanziarie presenti nei paesi che fanno parte dell’Eurozona circa 3 milioni sono strettamente dipendenti da almeno un servizio ecosistemico, che si tratti dell’impollinazione necessaria all’agricoltura, della disponibilità di acqua dolce per l’industria manifatturiera o della qualità dei suoli per le produzioni agroalimentari.

Allo stesso tempo, quasi tre quarti dei prestiti bancari alle imprese non finanziarie sono destinati ad aziende che dipendono in misura rilevante da almeno un servizio ecosistemico. Se spostiamo lo sguardo sull’Italia, che detiene il primato in Europa per numero e densità di specie animali e vegetali, si stima che un’azione diffusa di riqualificazione ecologica potrebbe generare benefici pari a 2,4 miliardi di euro, a fronte di costi di circa 261 milioni. 

Secondo la lista degli ecosistemi a rischio in Italia, elaborata sulla base dei criteri della Lista rossa degli ecosistemi dell’IUCN, nel nostro paese sono stati individuati 58 ecosistemi terrestri a rischio: 7 in condizioni critiche, 22 in pericolo e 29 considerati vulnerabili. A questi si aggiungono 18 ecosistemi che potrebbero entrare in una situazione di rischio in futuro, 4 non a rischio e 5 non ancora valutati. Complessivamente, circa il 19,6% del territorio nazionale risulta sottoposto a pressioni ambientali di varia natura, una quota che equivale a circa il 43% delle aree naturali e seminaturali.

Strumenti finanziari

Nel terzo capitolo del rapporto vengono esaminati i diversi strumenti finanziari, dalle tasse ambientali ai sussidi, con l’obiettivo di integrare il capitale naturale nelle scelte di politica economica e fiscale in Italia. Come ricorda Sir Partha Dasgupta nel suo documento The Economics of Biodiversity, la natura, essendo silenziosa e mobile, sfugge alle logiche di mercato, che faticano, se non addirittura risultano incapaci, di registrare correttamente l’uso di beni e servizi naturali. In questo contesto, tuttavia, il rapporto ricorda come le politiche fiscali possano assumere un ruolo per orientare i comportamenti di consumatori, investitori e risparmiatori e correggere le distorsioni del mercato, dove anche il capitale naturale può entrare a far parte del dibattito fiscale.

La Legge Delega n. 111 del 9 agosto 2023 richiede che le decisioni di politica energetica nazionale considerino l’impatto ambientale, con l’obiettivo di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili e ridurre la dipendenza del paese dai combustibili fossili. Sulla stessa linea, la Nota di aggiornamento al DEF del 27 settembre 2023 ribadisce la necessità di avviare un processo graduale di revisione dei sussidi ambientalmente dannosi, fino alla loro possibile eliminazione. Va inoltre evidenziato che la nozione di “danno ambientale” non si limita all’impatto sul clima, ma include, ad esempio, anche quelli sulla biodiversità o sul suolo.  

Inoltre, tra le possibili misure per supportare la transizione ecologica, il documento parla della riforma europea dell’IVA, che ha l’obiettivo di allineare le aliquote IVA con le politiche dell’UE, tra cui anche quelle in materia ambientale. Gli stati europei potranno applicare riduzioni o esenzioni dell’aliquota IVA a prodotti o servizi che hanno effetti positivi sull’ambiente, come le biciclette o i pannelli solari. Sempre in questo ambito molto importante è l’introduzione dell’articolo 105-bis paragrafo 4 della Direttiva, che prevede l’eliminazione delle aliquote ridotte o delle esenzioni con diritto alla detrazione dell’IVA versata nella fase precedente sui combustibili fossili e su prodotti con impatto simile sulle emissioni, come torba e legna da ardere, entro il 1° gennaio 2030, e l’analoga eliminazione per pesticidi e fertilizzanti chimici entro il 1° gennaio 2032.

Tra gli strumenti di mercato a disposizione dei policy makers ci sono poi le tasse ambientali. Il modulo europeo delle imposte ambientali le classifica in quattro categorie: energia, trasporti, inquinamento e risorse. In Italia, secondo i dati dell’ISTAT elaborati dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, il peso delle tasse ambientali sul PIL e sul gettito complessivo è in diminuzione.

Nel 2022 le entrate si sono attestate a poco più di 41 miliardi di euro, con un calo di circa un quarto rispetto all’anno precedente, dovuto in gran parte alle misure di contenimento dei prezzi dell’energia, che hanno comportato il taglio delle accise sui carburanti e l’azzeramento degli oneri di sistema in bolletta. Nel 2022, la maggior parte del gettito derivante dalle tasse ambientali in Italia proviene dalle imposte sull’energia (oltre il 70%), seguite da quelle sui trasporti (circa un quarto) e, in misura minima, da quelle sull’inquinamento (poco più dell’1%). Non sono invece applicate imposte sulla categoria “risorse”, relative al prelievo di risorse naturali. Rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, la tassazione ambientale sul PIL italiana si attesta intorno al 2,2%, in linea con la media europea.

Raccomandazioni e impegni

Alla fine del documento sono riportate le raccomandazioni del Comitato per il capitale naturale, che suggerisce, tra le altre cose, di rafforzare la tutela della biodiversità e degli ecosistemi, armonizzare gli strumenti di gestione e monitoraggio e dare attuazione agli impegni globali sottoscritti dall’Italia, nonché alle strategie europee in materia di ecosistemi e biodiversità. Il Comitato raccomanda inoltre di coinvolgere imprese e mondo dell’economia nelle azioni di recupero e ripristino degli ecosistemi, valorizzando le opportunità economiche, occupazionali e sociali derivanti dalla tutela del capitale naturale.

Infine, viene sottolineata l’importanza di potenziare la contabilità ambientale e le basi di dati, considerare i benefici a medio-lungo termine della tutela ambientale nelle valutazioni di progetti e investimenti ed estendere l’applicazione del principio Do No Significant Harm a tutti gli interventi con rilevanti ricadute territoriali e ambientali, con deroghe temporanee per i settori hard-to-abate.

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In copertina: immagine Envato