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“Ora servono coraggio politico, impegno della società civile e l’attuazione concreta di misure di tutela. Perché la ricchezza di biodiversità non è soltanto un valore naturale, ma anche la base della nostra vita.” Con queste parole Ulrike Tappeiner, professoressa presso l’Istituto di ecologia dell’Università di Innsbruck e direttrice del progetto Monitoraggio della biodiversità Alto Adige, ha presentato il primo rapporto quinquennale.
La natura dell’Alto Adige è ricca di specie e variegata: dai pendii dal carattere mediterraneo a Sud fino alle quote alpine prossime ai 4.000 metri si estende una rete di habitat molto diversi tra loro. Ognuno ospita una flora e una fauna peculiari. Chi osserva il paesaggio con occhi attenti può rendersene facilmente conto.
Ma una cosa è l’impressione visiva, un’altra sono i dati scientificamente fondati. Per conoscere con maggiore precisione la situazione reale dei diversi habitat, Eurac Research ha avviato nel 2019 il cosiddetto Biodiversity Monitoring South Tyrol (BMS), uno dei progetti di ricerca più ambiziosi di questo tipo nell’intero arco alpino. Un’équipe interdisciplinare, composta da botaniche, entomologi, zoologhe e ornitologi, ha analizzato in uno studio a lungo termine la diversità delle specie e degli habitat. L’indagine si è concentrata soprattutto su specie indicatrici, cioè organismi particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali. La prima fase di studio ha avuto una durata di 5 anni e ha interessato 400 siti distribuiti in tutta la provincia. Ora è disponibile il rapporto con i risultati di questa prima fase di monitoraggio.
Ciò che emerge è al tempo stesso incoraggiante e preoccupante. A prima vista l’Alto Adige sembra un paradiso naturale, e in effetti lo è: rappresenta a pieno titolo un hotspot di biodiversità in Europa centrale, grazie alla posizione geografica, alla topografia e alla sua collocazione in una zona di transizione climatica. Tuttavia, questa straordinaria ricchezza di specie è sempre più sotto pressione. I fattori di minaccia sono noti: cambiamenti climatici, crescente urbanizzazione e intensificazione dell’agricoltura. Tutto questo altera equilibri ecologici delicati e degrada gli habitat, talvolta in modo irreversibile.
“I risultati del monitoraggio mostrano che al momento non riusciamo a conservare appieno questo patrimonio di biodiversità”, spiega Andreas Hilpold, biologo e coordinatore del progetto BMS.
La situazione è particolarmente critica nelle valli lungo l’Adige, l’Isarco e la Rienza. Qui si concentra la popolazione e l’uso del suolo è più intenso: sono le aree che nei secoli hanno subìto le trasformazioni maggiori. In gran parte delle superfici agricole, le monocolture − meleti e campi di mais, tra le varie −, gli sfalci frequenti e l’elevato impiego di concimi e pesticidi hanno fatto scomparire molte specie. Le più colpite sono quelle che necessitano di prati magri ed estensivi, come alcuni uccelli nidificanti a terra, tra cui l’allodola, oggi a rischio di estinzione.
Nelle aree abitate si aggiungono ulteriori sfide per la flora e la fauna: da un lato l’espansione degli insediamenti con la conseguente impermeabilizzazione del suolo, dall’altro l’arrivo di nuove specie nei contesti urbani. Nel quadro del progetto BMS sono state individuate numerose specie non autoctone, spesso molto resistenti al calore o agli inquinanti. Non mancano specie invasive, come l’ailanto, la verga d’oro del Canada o il senecione sudafricano, che si diffondono in aree naturali compromettendo la flora locale.
Il rapporto evidenzia inoltre che lo stato attuale degli ambienti umidi e delle acque è allarmante. Rispetto ai secoli passati, oggi molte torbiere e boschi ripariali sono stati bonificati o ridotti a piccole aree frammentate. Fiumi e torrenti sono stati rettificati e artificializzati, perdendo la loro struttura naturale. Tutto ciò, insieme all'utilizzo dei corsi d'acqua per la produzione di energia, ha un impatto negativo sulla biodiversità e sulla ricchezza naturale di questi habitat.
I dati raccolti mostrano con chiarezza quanto il cambiamento climatico sia già evidente alle quote più alte. Gli ambienti prossimi ai ghiacciai scompaiono, le specie termofile trovano nuovi spazi in cui insediarsi, mentre le specie alpine altamente specializzate si scontrano con condizioni di sopravvivenza sempre più sfavorevoli.
Un dato più positivo arriva dai boschi: grazie al calo dello sfruttamento forestale intensivo del passato, in quota si sono potuti sviluppare boschi in parte vicini allo stato naturale. Il mix di alberi vecchi e giovani offre un habitat ideale per molte specie. Alle quote più basse, invece, il monitoraggio ha rilevato che i boschi, a causa della loro riduzione e della pressione delle specie invasive, non sono così ricchi di biodiversità come potrebbero essere.
Il valore della ricerca di Eurac Research non sta solo nel fornire alle istituzioni dati scientificamente fondati per le loro decisioni. Il rapporto quinquennale contiene anche raccomandazioni molto chiare e operative rivolte all’intera società. “Sono visibili dei miglioramenti puntuali, ma non si intravede ancora una reale inversione di tendenza”, sottolinea Hilpold. La ricchezza di biodiversità non si preserva da sola: senza misure mirate, senza un’alleanza sociale estesa e senza l’impegno di tutti, la perdita di biodiversità non potrà essere arrestata.
In copertina: Latemar, Daniel Plan, Unsplash