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Fino a 18 anni sono stato vegetariano. La variazione vegan esisteva come pratica, ma la parola non era ancora approdata e diffusa in Italia. Mia madre, anche lei vegetariana (e mio padre macrobiotico) preparava ottimi legumi, riso e verdure, pasta, frittate ogni tanto e il formaggio non mancava mai.

Negli anni Ottanta non mangiare carne era uno stigma sociale: i compagni e compagne di classe si lasciavano andare allo sfottò; i loro genitori alle feste di compleanno cercavano di forzare un pezzetto di mortadella per corrompere l’etica del giovane vegetariano; agli autogrill, se chiedevi un panino senza carne, ti rispondevano se il cotto andava comunque bene. Figuriamoci in terza elementare lo shock di visitare un centro di macellazione locale!

Gradualmente poi ho introdotto nella mia alimentazione pesce e carne bianca, più per comodità (e gusto) che per vera posizione etica. Fuori di casa a 19 anni, in un mondo dove i ristoranti vegetariani erano meno degli stellati, viaggiando costantemente, l’etica vegetariana è venuta meno.

Nella West Bank nel 2003, mentre facevo volontariato umanitario durante la Seconda Intifada ho trovato impossibile rifiutare il montone appena sgozzato dalla famiglia dei vicini: sarebbe stata un’offesa terribile. Nel 2015 mi sono trovato lungo il fiume Senegal, a ridosso della Mauritania, a dover sgozzare un pollo, offerto dalla piccola che ospitava me e la fotografa Giada Connestari. Non ci siamo riusciti, con grande ilarità dei presenti.

Come giornalista ho lavorato tantissimo su clima, energia, materiali, acqua. Meno sulla questione animale. Anche se nel 2022 mi sono ritrovato unico giornalista italiano alla COP15 sulla biodiversità, ultimo grande negoziato per proteggere la diversità di piante e animali. Mi posso collocare nell’antispecismo, ma fatico ad abbracciare una dieta vegetariana o vegana. Sono a favore dei diritti giuridici degli animali, ma sono infastidito dall’umanizzazione dei pet. Fatico a essere totalmente contrario alla sperimentazione animale, ma empatizzo con la sofferenza di tutte le specie selvatiche umiliate e colonizzate dall’uomo. Vivo in Trentino e faccio parte di chi tifa orso, lupo, sciacallo dorato.

Sono contraddizioni forti e di non facile risolvibilità. Le risposte massimaliste mi hanno sempre spaventato, specie quando si è nel guado di un processo di transizione importante e costante come in quest’epoca. In una fase dove vacillano la morale e l’etica nei confronti dei propri simili (solidarietà, fratellanza e sorellanza, pace, sostenibilità, inclusione, uguaglianza, libertà, civismo), l’etica animale fatica a trovare lo spazio che meriterebbe nell’evoluzione delle coscienze umane, nonostante il grande lavoro che ha preso piede negli ultimi anni da parte di antispecisti e animalisti. Sono lontani i tempi in cui l’ALF (Animal Liberation Front) era un manipolo di qualche centinaio di attivisti ridotto a gruppo eco-terrorista. Ma ancora la riflessione rimane appannaggio di una minoranza.

Questo numero di Materia Rinnovabile riflette sia lo spirito del tempo che le contraddizioni di chi, come me, si trova ad affrontare scelte complesse e portare avanti una transizione per niente semplice. Abbiamo voluto approfondire il tema dell’etica e della filosofia politica animale con interviste a Philip Lymbery, CEO globale di Compassion in World Farming International, e alla filosofa nederlandese Eva Meijer, tra le voci più originali dei nuovi studi critici sugli animali, ma anche comprendere e inquadrare la macroeconomia globale degli allevamenti con Aimable Uwizeye, Livestock Policy Officer di FAO.

Abbiamo poi approfondito l’economia circolare degli scarti di produzione di cibo e materiali derivati dallo sfruttamento animale, studiato il grande tema della itticoltura, degli insetti come alimento, delle proteine alternative. Grazie al giornalista d’inchiesta Rudi Bressa abbiamo dato un quadro approfondito del commercio illegale delle specie protette e con Giorgia Marino abbiamo indagato il tema della sperimentazione medico-scientifica sui vertebrati.

Ma se gli animali come prodotto sono ancora un pilastro dell’economia globale, quello che ci ha sorpreso è la pet economy, ovvero il business dietro gli animali domestici non di servizio: un vero e proprio boom consumistico legato a cani, gatti & Co, con jet privati per pet, spa di lusso e centri medici di eccellenza. Ennesima evoluzione del nostro rapporto contraddittorio con gli animali, che oscilla tra sfruttamento capitalista, colonialismo, animalismo, specismo, degrado tramite umanizzazione, zoofilia, feticismo, zooerastia (dal greco ἐραστής, erastès, amante).

Ecco, quindi, un’indicazione su come leggere questo numero. Abbiamo fatto un lavoro giornalistico e ci siamo attenuti ai fatti, mantenendo un’impostazione che ricalcasse quanto più possibile le contraddizioni che hanno fatto discutere molto la redazione. Forse saranno scontenti sia gli animalisti che chi lavora in settori dell’economia animale. Ma, come tutti i buoni lavori di giornalismo, quando nessuno è contento vuol dire che si è tentato di fare al meglio il proprio dovere di raccontare oggi lo stato del rapporto tra economia, umani e il resto del regno animale. Fateci avere i vostri feedback: sarà per noi ulteriore materiale di riflessione.

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In copertina: immagine Shutterstock