
Durante il vertice sul clima in Brasile, l’attenzione è tornata sulla finanza climatica: senza risorse adeguate, è difficile fare progressi nell’adattamento, nella mitigazione e nella lotta al riscaldamento globale, soprattutto nei paesi più vulnerabili, che affrontano già ogni giorno le conseguenze più gravi della crisi climatica.
La Roadmap Baku to Belém delinea un piano operativo per mobilitare i 1.300 miliardi di dollari annui necessari, mentre il quarto rapporto dell’Independent High-Level Expert Group on Climate Finance conferma che l’obiettivo è realistico. Ma resta la domanda: sarà sufficiente per generare il cambiamento necessario?
Da Baku a Belém
Durante la COP29, che si è svolta un anno fa a Baku, le parti hanno approvato il New Collective Quantified Goal (NCQG), con cui si sono impegnate a mobilitare almeno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 per sostenere le azioni climatiche dei paesi in via di sviluppo. Considerato che questa cifra ha lasciato molte persone deluse ed è ritenuta ben al di sotto del fabbisogno reale, al termine della “COP della finanza” si è stabilito che, nello stesso arco temporale, i flussi complessivi pubblici e privati destinati ai paesi in via di sviluppo dovranno salire a 1.300 miliardi di dollari l’anno.
Proprio in vista della COP30, a inizio novembre è stata pubblicata la Baku to Belém Roadmap to 1.3T, un documento che delinea la strategia e i passaggi previsti per raggiungere l’obiettivo dei 1.300 miliardi, con l’intento di fornire una guida operativa ai vari attori coinvolti.
“Il valore della roadmap sta nella sua combinazione di pragmatismo e attenzione alla scala e al cambiamento dei sistemi,” ha commentato Melanie Robinson, direttrice globale per il clima, l'economia e la finanza presso il World Resources Institute poco dopo l’annuncio. “Per troppo tempo la comunità climatica si è concentrata su somme relativamente modeste di finanziamenti pubblici per il clima, mentre il piano Baku to Belém sposta correttamente l’attenzione su come un più ampio insieme di strumenti di finanza pubblica e cambiamenti nelle politiche possano sbloccare flussi molto più consistenti da parte degli investitori privati.”
Replenishing, Rebalancing, Rechanneling, Revamping, Reshaping
Per raggiungere l’obiettivo, la roadmap individua cinque aree prioritarie (5R: Replenishing, Rebalancing, Rechanneling, Revamping, Reshaping) che consentiranno di mobilitare le risorse necessarie per adattamento climatico, energia pulita, conservazione della natura, sistemi alimentari resilienti e a basse emissioni di carbonio, tutto in un’ottica di just transition.
Nel primo punto della Roadmap, i paesi sviluppati sono chiamati a moltiplicare sovvenzioni e finanziamenti agevolati, sia tramite canali multilaterali che bilaterali. Tutti gli stati dovranno poi lavorare insieme per garantire unità e coordinamento nell’erogazione dei fondi e favorire l’accesso a capitale a basso costo, con particolare attenzione al sostegno all’adattamento climatico. I fondi multilaterali per il clima dovranno essere riformati per migliorare accesso, governance e strumenti innovativi che riducano i rischi e favoriscano investimenti resilienti, mentre le banche multilaterali di sviluppo avranno un ruolo chiave nel mobilitare capitale e supportare le strategie nazionali.
Parallelamente, la comunità internazionale è chiamata a collaborare per alleviare il peso del debito dei paesi in via di sviluppo attraverso strumenti come clausole climatiche e debt-for-climate swap, rafforzando al contempo la capacità fiscale per l’azione climatica. Per facilitare questo processo, si propone la creazione di una piattaforma unica per assistenza tecnica e dati condivisi.
“Questo è l’inizio di un’era di verità nella finanza climatica”, ha detto Corrêa do Lago, presidente del vertice a Belém. “Per attuare più rapidamente l’Accordo di Parigi, l’azione climatica deve essere incorporata in vere riforme economiche e finanziarie. Con le 5R, la Roadmap trasforma l’urgenza scientifica in un piano pratico per la cooperazione globale e per ottenere risultati concreti.”
La finanza privata
Un altro elemento centrale riguarda il ruolo della finanza privata nel guidare cambiamenti sistemici e la necessità di rendere il capitale accessibile, cioè disponibile a condizioni favorevoli, per sostenere progetti climatici e di sviluppo. Le istituzioni finanziarie multilaterali e pubbliche devono offrire strumenti più efficaci per incentivare investimenti e ridurre i rischi. Allo stesso tempo, governi e istituzioni dovrebbero favorire pagamenti digitali, mercati del carbonio trasparenti e strategie integrate per gestire meglio i rischi.
A sostegno di tutto ciò, è fondamentale integrare obiettivi climatici e di just transition nella pianificazione e negli investimenti governativi, rafforzando capacità e coordinamento a tutti i livelli e costruendo framework d’investimento efficaci. Infine, l’ultimo punto si concentra sui sistemi e sulle strutture per garantire flussi di capitale equi, sottolineando, ad esempio, l’importanza di integrare i rischi climatici nelle pratiche bancarie, come tramite gli stress test.
“Questa nuova fase sarà incentrata sull’avvicinare i nostri processi formali all’economia reale, accelerare l’implementazione e portare benefici a miliardi di persone”, ha commentato Simon Stiell, segretario esecutivo dell’UNFCCC a margine della presentazione. “Soluzioni di finanziamento climatico più grandi e più efficaci saranno una componente cruciale di questo cambiamento.”
Una strada percorribile
Durante la conferenza stampa di presentazione della Roadmap, i presidenti Mukhtar Babayev e André Corrêa do Lago hanno sottolineato che l’obiettivo di 1.300 miliardi è raggiungibile, ma richiederà uno sforzo significativo sia dalle fonti tradizionali sia dallo sviluppo di nuovi e innovativi meccanismi finanziari.
La fattibilità di questo traguardo è stata ribadita anche nel quarto rapporto dell’Independent High-Level Expert Group on Climate Finance (IHLEG), guidato dall’economista britannico Nicholas Stern. Il documento propone un programma integrato di finanza climatica, con un percorso concreto per arrivare a 1.300 miliardi di dollari all’anno. Come il vertice del clima in corso in Brasile è stato definito la COP dell'implementazione, così anche il rapporto insiste su questo aspetto: illustra come stimolare diverse tipologie di investimenti e strumenti finanziari, concentrandosi sugli aspetti pratici e sulle risorse necessarie per affrontare le principali sfide generate dal cambiamento climatico.
I mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, esclusa la Cina, dovranno beneficiare di un flusso annuale di investimenti stimato in circa 2.400 miliardi di dollari entro il 2030 e 3.200 miliardi entro il 2035. Si tratta delle aree geografiche in cui la crescita potenziale delle emissioni sarà più elevata e dove gli effetti e le conseguenze della crisi climatica si fanno già sentire con maggiore intensità. Garantire questi finanziamenti sarà fondamentale non solo per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, raggiunto dieci anni fa alla COP21, ma anche per favorire uno sviluppo sostenibile, resiliente e inclusivo.
Il rapporto evidenzia come il raggiungimento dell'obiettivo di 1.300 miliardi di dollari da fonti esterne entro il 2035 richieda molto più della semplice mobilitazione di fondi. Occorre un approccio coordinato su più fronti: da un lato, impegni concreti da parte dei paesi, che devono agire su scala e a ritmi tali da sfruttare le opportunità di investimento nella transizione verde; dall’altro, il rafforzamento delle basi politiche e istituzionali per attrarre investimenti di qualità. Infine, il sistema internazionale deve mobilitare finanziamenti su larga scala, migliorare l’accesso e ridurre il costo del capitale per i paesi e i settori che ne hanno maggiore bisogno.
Il rapporto, redatto su richiesta delle presidenze della COP29 e della COP30, individua tre pilastri fondamentali per mobilitare i 1.300 miliardi di dollari annui necessari entro il 2035. Il primo riguarda investimenti e tecnologia come leve per una crescita pulita e resiliente, con particolare attenzione ai mercati emergenti e ai paesi in via di sviluppo. Il secondo pilastro punta a creare solide basi politiche, fiscali e istituzionali, definendo le fondamenta per raggiungere i 1.300 miliardi tramite azioni come la mobilitazione di risorse interne e una transizione giusta. Il terzo si concentra su come concretizzare la mobilitazione dei fondi necessari, sbloccando capitale privato, riformando banche e istituzioni di sviluppo, sfruttando mercati del carbonio e finanziamenti innovativi, e allineando il sistema finanziario globale agli obiettivi di sostenibilità e resilienza.
Nella bozza di documento negoziale presentata dalla presidenza brasiliana il 21 novembre alle 3:00 intitolata Global Mutirão: Uniting humanity in a global mobilization against climate change, l’obiettivo di mobilitare 1.300 miliardi di dollari all’anno viene inserito, invitando tutti gli attori internazionali a collaborare per mettere in campo risorse pubbliche e private e prendendo atto della Baku to Belém Roadmap to 1.3 T.
Ma raggiungere davvero questo traguardo e tradurlo in cambiamenti concreti non sarà automatico: servirà una stretta collaborazione tra paesi, una cooperazione internazionale più solida − resa oggi ancora più complessa da uno scenario geopolitico frammentato − e l’attuazione di riforme ambiziose. Tuttavia, senza la volontà concreta degli stati e delle istituzioni, gli obiettivi rischiano di rimanere parole vuote.
In copertina: il presidente di COP30 André Corrêa do Lago. Foto di Rafa Pereira/COP30
