“Amazing.” Fantastico. Così Donald Trump, a bordo dell’Air Force One di ritorno dal suo tour asiatico, ha definito l’attesissimo meeting con il presidente cinese Xi Jinping, avvenuto a Busan, in Corea del Sud, giovedì mattina 30 ottobre. Era dal 2019, dal primo mandato Trump, che i due leader non si incontravano di persona. E avevano molto di cui discutere.

I colloqui sono durati esattamente cento minuti, preceduti dalla stretta di mano d’ordinanza a favor di telecamere, con battutina di Trump (“He’s a very tough negotiator, and that’s not good!”), pacca sulla spalla dell’imperturbabile presidente cinese e sorriso indecifrabile di Xi.

In agenda, oltre ai dazi, c’erano parecchie questioni scottanti: il blocco degli acquisti di soia statunitense da parte della Cina, le nuove restrizioni sull’export di terre rare imposte da Pechino, il problema del fentanyl, il contenzioso su Tik-Tok, la fornitura di chip americani ad alte prestazioni all’industria cinese e, non da ultimo, i temi geopolitici come Taiwan e la guerra in Ucraina.

Su alcuni punti (soia, terre rare) pare si siano raggiunti accordi soddisfacenti, su altri c’è l’impegno a “lavorarci insieme” (fentanyl, Tik-Tok, Ucraina), mentre le faccende più spinose (Taiwan, i chip di Nvidia) sono state tatticamente dribblate, ignorando anche le domande della stampa.

Detto in estrema sintesi, i due leader hanno concordato una nuova “tregua” sui dazi che durerà un anno, concretizzando così la de-escalation abilmente orchestrata nei giorni scorsi a Kuala Lumpur dai negoziatori dei due paesi. Per il momento, i toni aspri delle scorse settimane sembrano dunque essersi stemperati in un generale ottimismo: vedremo se si rivelerà solo di facciata.

La tregua sui dazi e la collaborazione sul fentanyl

Se i dettagli dell’accordo devono ancora essere ufficializzati, le due parti hanno però già dato delle anticipazioni sui punti salienti. Con tono come sempre neutro e abbottonato, il Ministero del commercio cinese ha fatto sapere con un comunicato ufficiale sul Global Times che gli Stati Uniti abbasseranno al 10% la tariffa sanzionatoria per la questione fentanyl (era del 20%) e sospenderanno per un altro anno, prolungando la tregua in corso, i dazi reciproci del 24% sulle merci cinesi.

Il conto a questo punto non è semplicissimo, viste le continue ritorsioni e de-escalation degli ultimi mesi, ma il carico tariffario sull’export cinese negli USA dovrebbe ora corrispondere al 47%: più leggero rispetto a quello minacciato nelle scorse settimane da Trump (che aveva ventilato l’ipotesi di dazi al 100%), ma comunque maggiore in confronto al 2024. E la Cina, aggiunge il portavoce del ministero, “apporterà i corrispondenti adeguamenti alle proprie contromisure”.

L’alleggerimento arriva a seguito di alcuni impegni delle due parti. Per il fentanyl, ad esempio, i due paesi implementeranno una cooperazione per maggiori controlli sulla produzione e sul commercio di questa droga e di altre derivate, che sono diventate una vera piaga sanitaria negli Stati Uniti.

Soia e terre rare

C’è poi la questione della soia, di cui non si è parlato molto sui media internazionali perché interessa nello specifico il settore agricolo statunitense. La Cina è il maggiore mercato per alcuni prodotti agricoli statunitensi, come appunto la soia, ma come misura di ritorsione Pechino ha imposto negli ultimi mesi il blocco delle importazioni di questo prodotto dagli USA. Inutile dire che gli agricoltori del sud degli Stati Uniti – i redneck, ovvero una buona fetta della base elettorale di Trump – non l’hanno presa bene.

Era dunque prioritario per il presidente statunitense spuntare da questi colloqui una promessa circa la ripresa degli acquisti di soia da parte dei cinesi. E così, pare, è stato: “Verranno acquistate immediatamente enormi quantità di soia e altri prodotti agricoli”, si è vantato Trump davanti ai giornalisti a bordo dell’Air Force One. Una concessione, va detto, che è stata fatta probabilmente anche per convenienza, visto che i prezzi della soia argentina e brasiliana, a cui si era rivolta la Cina come rimpiazzo, sono quest’anno più alti di quelli statunitensi.

Quanto alle terre rare, le cui nuove restrizioni annunciate da Pechino hanno fatto tremare non solo gli Stati Uniti, il peggio sembrerebbe scongiurato. “È tutto sistemato”, ha annunciato Trump, non moderando l’entusiasmo. “E intendo per il mondo intero, visto che la questione non riguardava solo gli USA. Non c’è più nessun blocco sulle terre rare. E questa parola auspicabilmente scomparirà dal nostro vocabolario per un po’.”

Che il blocco magicamente sparirà è però tutto da vedere. Da parte sua, il Ministero del commercio cinese ha solo dichiarato che “la Cina sospenderà per un anno l'attuazione delle misure di controllo delle esportazioni annunciate il 9 ottobre e studierà e perfezionerà piani specifici”. Le misure sospese sono tuttavia solo quelle che, entrando in vigore dal 1° dicembre, sarebbero andate a inasprire i controlli già esistenti sull’export di terre rare, sottoposto, lo ricordiamo, a un sistema di licenze concesse dal governo di Pechino. Ed è lecito chiedersi se l’inasprimento non sia stato annunciato solo per avere una carta in più da giocare nei colloqui con il presidente USA.

Faccende tecnologiche in sospeso

Spuntando la lista dei temi che ci si aspettava di vedere sul tavolo a Busan, una serie di faccende non proprio secondarie sono state liquidate con poche parole di circostanza o decisamente schivate.

Ad esempio, il contenzioso su Tik-Tok. Nonostante i diritti commerciali di un social network non siano paragonabili ad altre tensioni geopolitiche, la questione tiene comunque banco da mesi ed è stata il primo terreno di scontro con la Cina dopo la rielezione di Trump. A Busan se ne è sicuramente parlato, ma senza arrivare a una soluzione: il comunicato ufficiale del Ministero del commercio si limita a dire che “la Cina risolverà adeguatamente il problema con la controparte statunitense”.

Più delicato il braccio di ferro sui chip ad alte prestazioni, in particolare quelli prodotti da Nvidia, al momento fondamentali per la ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale. Già durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti avevano cominciato a imporre limitazioni sull’export di chip ad alte prestazioni verso il mercato cinese, temendo sviluppi pericolosi a fini militari. Con Trump ovviamente la situazione si è inasprita, anche perché la ricerca di frontiera sulle tecnologie AI ha avuto un’accelerazione eccezionale, soprattutto in Cina.

Ma nei giorni prima dei colloqui coreani, il CEO di Nvidia, Jensen Huang, si era detto fiducioso che la questione sarebbe stata discussa e gli Stati Uniti avrebbero allentato le restrizioni consentendo alla sua azienda di esportare sul mercato cinese prodotti di ultima generazione, in particolare il super avanzato chip Blackwell. Pare invece che a Busan la questione non sia proprio stata toccata, e Trump su questo punto non è stato loquace come al solito.

Amici come prima?

Infine, la geopolitica. Se la guerra in Ucraina, stando alle dichiarazioni di Trump, “è emersa con grande insistenza” e i due leader ne hanno “discusso a lungo”, concordando di “lavorare insieme per ottenere qualcosa”, di Taiwan non si è invece fatto cenno, nonostante la centralità della questione nell’agenda di Pechino. A onor del vero, l’omissione non stupisce: nessuna delle due potenze può fare un passo indietro circa le sue dichiarazioni sull’indipendenza o non indipendenza dell’isola, quindi meglio non rischiare di compromettere l’intero summit.

Un summit che, si diceva, si è svolto all’insegna dell’ottimismo, quanto meno di facciata, e con la parola “amicizia” ripetuta insistentemente da Trump ma anche, sebbene con più moderazione, da Xi Jinping. E se da parte statunitense, con i consueti toni sopra le righe, si è parlato di partnership e sforzi congiunti per “fare grandi cose per il mondo e avere molti anni di successo”, la parte cinese – come riporta l’agenzia di stampa Xinhua – ha ripetuto quello che è ormai il suo mantra, ossia la necessità di assumersi le “responsabilità” che spettano ai due più grandi paesi del mondo.

Puntualizzando però che la Cina, come fa da oltre settant’anni, generazione dopo generazione, lavora per “gestire al meglio i propri affari e migliorarsi”, e “non ha alcuna intenzione di sfidare o soppiantare nessuno”.

 

In copertina: Donald Trump e Xi Jinping fotografati da Daniel Torok, foto ufficiale della Casa Bianca