Da New York – "La transizione verde e a basse emissioni è la tendenza del nostro tempo. Ma alcuni Paesi sono contrari". Con affinata mordacia inizia così il discorso del presidente cinese Xi Jinping, in collegamento video all’interno del segmento di alto livello sul cambiamento climatico, evento chiave di ieri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Lo scopo del presidente cinese è presentare il proprio NDC all’interno dell’Accordo di Parigi, ovvero gli obiettivi di decarbonizzazione che intende perseguire al 2035. Ma ne approfitta per tirare una stilettata agli USA, richiamando alle necessità di uno sviluppo condiviso e della ricerca “dell’armonia tra uomo e natura”, contribuendo a chiudere il gap tra Nord e Sud globale grazie al contributo delle tecnologie pulite. Una visione politica, industriale e sociale che derubrica gli altri nella lista degli innominabili. Certo avrebbe potuto ambire a dire che la Cina oggi entra a far parte del club dei Paesi sviluppati; invece XI Jinping ha ribadito il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”, che imputano ai Paesi industrializzati la responsabilità principale della decarbonizzazione.
Come da tradizione cinese, il discorso conferma una posizione consolidata, figlia di un tempo e un luogo in cui i negoziati si fanno nella lingua della diplomazia, non negli sproloqui da bar. “Abbiamo l’obiettivo di ridurre le emissioni del 7-10% entro il 2035 dai livelli di picco, ma cercando di sforzarci di fare meglio", ha affermato Xi Jinping davanti all’Assemblea Generale. Per raggiungere questi obiettivi la Cina investirà ancora di più nelle rinnovabili, raggiungendo oltre il 30% del consumo totale di energia; espanderà “il mercato nazionale di scambio delle quote di carbonio ai settori ad alta emissione”. Sestuplicherà la potenza eolica e solare installata rispetto al 2020, raggiungendo i 3600 GW installati. “Porteremo a 34 miliardi di metri cubi le foreste cinesi, renderemo mainstream le auto a combustibili puliti, realizzeremo una società adattata ai cambiamenti climatici”. Come dice il presidente cinese, una grande visione richiede un'azione concreta, in tutti i settori dell’economia nazionale.
Oggi con 15,8 Gt di CO₂e emesse nel 2024, la Cina è il principale emettitore al mondo, rappresentando circa il 32% delle emissioni globali di gas serra. Ma ha probabilmente già raggiunto il picco delle emissioni proprio nel 2025, definendo (anche se non dichiaratamente) la baseline per il nuovo target promesso.
Non sono del tutto soddisfatti gli ambientalisti: Andreas Sieber, direttore associato delle politiche e delle campagne di 350.org ha dichiarato che il nuovo obiettivo climatico della Cina è deludente. “Ridurre le emissioni del 7-10% entro il 2035 rispetto ai livelli di picco non è all'altezza di ciò di cui il mondo ha bisogno. Allo stesso tempo, con il settore delle rinnovabili in forte espansione, l'ambizione climatica è ora nell'interesse del Paese. La Cina ha spesso promesso poco e quasi mai mantenuto. Ora il vero banco di prova è il prossimo Piano quinquennale, che deve andare oltre: eliminare gradualmente il carbone, accelerare le energie rinnovabili e garantire che le comunità in prima linea beneficino della transizione energetica".
Più ottimista è Lauri Myllyvirta, fondatore e analista del CREA: “Il semplice mantenimento degli attuali tassi di crescita dell'energia pulita può portare a riduzioni delle emissioni molto più consistenti – scrive in una nota stampa – L'obiettivo principale è ben lontano da quanto necessario per l'allineamento con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, mentre lasciare indefinito l'anno di riferimento per le riduzioni delle emissioni ha lasciato la porta aperta ad aumenti delle emissioni a breve termine. Ma questo NDC dovrebbe essere visto come un limite minimo, non un limite massimo, per l'ambizione della Cina”.
L’Europa allenta la sua leadership climatica
Subito dopo la Cina è stato il momento dell’Europa con Ursula von der Leyen che ha ribadito che l’Europa sottometterà un target di riduzione delle emissioni tra il 66 e il 72% al 2035, con l’impegno di mantenere il target di -90% al 2040. Ribadisce l’impegno nella finanza climatica, mettendo sul piatto i 300 miliardi di euro del Global Gatewaey, un’iniziativa dell'Unione Europea che mira a sostenere la finanza climatica e per sostenere progetti di infrastrutture green in tutto il mondo (incluse le miniere di materie prime critiche), con l'obiettivo di triplicare le energie rinnovabili entro il 2030. “Oggi le emissioni di gas serra europee pesano solo il 6% ma siamo sempre il primo erogatore di finanza climatica”, dice, approfittando anche lei della posizione antistorica del presidente americano per ribadire il primato europeo sulle politiche climatiche. Ma le critiche dentro e fuori l’Unione si fanno sentire.
Thomas Gelin, Climate Campaigner di Greenpeace EU, ha dichiarato: "Partecipare a mani vuote al vertice sul clima del Segretario generale delle Nazioni Unite è un'abdicazione della leadership climatica dell'UE. È un enorme imbarazzo e ignora la responsabilità dell'Europa di agire dopo essersi arricchita per decenni attraverso l'inquinamento da carbonio. Ogni ritardo e ogni frazione di grado costerà alle persone la vita, la salute, la casa e i mezzi di sussistenza: l'UE deve concordare urgentemente un vero obiettivo climatico in linea con la scienza".
Certo il risultato di isolare gli Stati Uniti sulla transizione ha funzionato. All’evento di alto livello hanno presenziato praticamente tutti: la Russia, il Giappone, l’Italia e la Germania. C'erano tutti i piccoli Stati insulari, i più minacciati. Presenti i capi di Stato di quasi tutti i Paesi africani, incluso il Chad, il Mali e l’Africa Centrafricana. Hanno parlato di clima persino l’Iran, la Siria, il Venezuela. Mancavano solo loro: quello che un tempo era un modello per tutti, oggi nello scacchiere internazionale è visto come un ricchissimo e potente imbarazzo.
Immagine: Xi Jinping in collegamento video (ph Emanuele Bompan)