Oggi, martedì 16 dicembre, il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva con 428 voti a favore, 218 contrari e 17 astensioni il pacchetto Omnibus I, confermando l’accordo raggiunto il 9 dicembre con il Consiglio. Ancora una volta, il voto ha visto convergere il Partito popolare europeo e i gruppi dell’estrema destra, sancendo un ridimensionamento sostanziale delle norme europee su rendicontazione di sostenibilità (CSRD) e dovere di diligenza delle imprese (CSDDD).

A dieci mesi dall’avvio del dossier, l’intesa chiude formalmente il percorso legislativo e conferma le scelte definite a livello di stati membri: una riscrittura profonda di CSRD e CSDDD che riduce drasticamente il numero di imprese coinvolte, attenua gli obblighi previsti e rinvia nel tempo l’entrata in vigore delle nuove regole. Limitarsi a questo esito formale, però, rischia di essere fuorviante.

Il pacchetto Omnibus I non è solo il risultato di un compromesso tra istituzioni, ma l’approdo di una sequenza di decisioni che solleva interrogativi sulla qualità del processo legislativo europeo, sulla gestione dei conflitti di interesse interna e sulla capacità dell’Unione di difendere il proprio impianto regolatorio da “global standard setter” in un contesto geopolitico − si legga alla voce Stati Uniti − sempre più conflittuale.

Interessi interni, conflitti d’interesse e cattiva amministrazione

Negli ultimi mesi il dossier Omnibus I è stato accompagnato da forti riserve sulla legittimità giuridica del provvedimento. Già a novembre, oltre cento esperti di diritto dell’Unione Europea avevano messo in discussione l’iniziativa e i suoi potenziali effetti sull’assetto democratico dell’UE, avvertendo che essa rischia di aprire un precedente istituzionale pericoloso per la tenuta della rule of law, indebolendo così il ruolo del legislatore, il controllo democratico e la certezza del diritto.

A queste criticità si sono aggiunte nuove ombre sul piano etico. Il 15 dicembre, Transparency International EU e altre otto organizzazioni della società civile hanno presentato una denuncia formale al Comitato consultivo sulla condotta dei deputati del Parlamento europeo contro il relatore dell’Omnibus I, l’eurodeputato svedese Jörgen Warborn.

Il nodo è un potenziale conflitto di interessi mai dichiarato tra il suo ruolo di presidente di Small and Medium Entrepreneurs of Europe (SME Europe) − organizzazione di lobbying registrata, impegnata a definire e perfezionare la legislazione UE a sostegno delle PMI in tutta Europa − e quello di relatore parlamentare del pacchetto Omnibus I. La coalizione guidata da Transparency International EU parla di una violazione manifesta del Codice di condotta del Parlamento. Warborn, mentre guidava il tentativo di ridimensionare le regole sulla sostenibilità, presiedeva cioè allo stesso tempo un’organizzazione che ha come missione dichiarata quella di “modellare e influenzare la legislazione UE” a favore delle imprese. Il tutto senza alcuna indicazione di conflitto, anche potenziale, nella dichiarazione del 20 marzo 2025.

Alle critiche sul procedimento va aggiunta la decisione dell’Ombudsman europeo, che il 27 novembre ha riscontrato casi di carenze procedurali e quindi cattiva amministrazione nel modo in cui la Commissione ha preparato alcune proposte legislative urgenti, inclusa l’Omnibus I. Secondo il mediatore europeo non sarebbero state rispettate parti fondamentali delle regole di Better Regulation, con casi di consultazioni interne ridotte a meno di 24 ore e nessuna traccia chiara di una valutazione di coerenza climatica. "In futuro, sarà necessario trovare un migliore equilibrio tra l'agilità dell'amministrazione e la garanzia di standard procedurali minimi per l'attività legislativa. Alcuni princìpi di buona legislazione non possono essere compromessi nemmeno per motivi di urgenza”, ha ricordato l’Ombudsman Teresa Anjinho.

Le pressioni esterne: USA e Qatar

A fermarsi qui si racconterebbe però metà della storia. Sul fronte esterno, il pacchetto Omnibus si inserisce in un contesto di forti pressioni geopolitiche. Il 2 dicembre l’ambasciatore USA presso l’UE, Andrew Puzder, scriveva sul Financial Times: “Per riprendersi e reindustrializzarsi, l'UE deve avere accesso a un'energia sicura, affidabile e conveniente. Tale accesso sarà possibile solo se l'UE riuscirà nel suo attuale intento di abrogare o neutralizzare la direttiva sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CS3D), che ostacola la crescita”.

Secondo questa visione, la CS3D sarebbe un “apparato regolatorio gargantuesco” che rende la conformità “virtualmente impossibile”. Ma a chi? ExxonMobil starebbe già riducendo la propria forza lavoro in Europa, mentre il Qatar avrebbe minacciato di sospendere le forniture di GNL se la direttiva non verrà svuotata. All’editoriale di Puzder rispondeva sulle stesse pagine Lindsay Hooper, CEO dell’University of Cambridge Institute for Sustainability Leadership , secondo cui la posizione dell'ambasciatore riflette le pressioni di alcune grandi aziende statunitensi per indebolire la direttiva UE sulla due diligence, frammentando gli stati membri e sfruttando i negoziati commerciali, con l’obiettivo di proteggere interessi legati alla dipendenza europea dai combustibili fossili e alla limitazione delle responsabilità delle loro catene di approvvigionamento.

Per conoscere le lamentele di lunga data delle grandi aziende statunitensi sulla normativa UE del mercato interno non serviva attendere la discussa National Security Strategy dell’amministrazione Trump del 4 dicembre. Un’indagine dell’ONG olandese SOMO il 3 dicembre rivelava che undici multinazionali, incluse grandi aziende dei combustibili fossili, avrebbero agito in modo coordinato per ostacolare una legge UE sull’approvvigionamento energetico, facendo pressione su decisori chiave delle istituzioni europee. Va infine ricordato che il primo via libera all’Omnibus, il 13 novembre, è stato celebrato su X dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt e dal segretario Segretario degli Interni Doug Burgum (consulente per le questioni energetiche nella campagna elettorale di Donald J. Trump) come una vittoria, a seguito della “campagna di pressione condotta dagli Stati Uniti”.

CSDDD e CSRD: cosa cambia con la Omnibus I

Nel merito, le modifiche sono profonde e ricalcano fedelmente l’accordo raggiunto in Consiglio il 9 dicembre. La direttiva sul dovere di diligenza delle imprese (CSDDD) viene drasticamente ridimensionata: scompaiono gli obblighi di attuazione dei piani di transizione climatica, la soglia di applicazione sale a oltre 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di euro di fatturato annuo, riducendo il campo di applicazione a circa 1.600 imprese in tutta l’Unione. Le sanzioni massime vengono abbassate al 3% del fatturato globale e viene eliminato il regime armonizzato di responsabilità civile. L’entrata in vigore delle nuove regole è rinviata a luglio 2029.

Anche la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità (CSRD) subisce un’ulteriore restrizione: restano obbligate solo le imprese con più di 1.000 dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro. Ne deriva l’esclusione di circa il 90% delle aziende oggi coinvolte, con alcuni stati membri che conteranno meno di quaranta imprese soggette agli obblighi di rendicontazione. Nei settori a maggiore impatto ambientale − agricoltura, pesca ed estrazione mineraria − il numero di operatori interessati potrebbe ridursi, in tutta l’UE, a poche decine.

I prossimi passi

Una volta adottate formalmente anche dal Consiglio, le modifiche delle norme UE su rendicontazione di sostenibilità e dovere di diligenza per le imprese entreranno in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'UE. Gli stati membri avranno tempo fino al 2028 per recepire la direttiva nel diritto nazionale.

Ma la saga “Omnibus” non finisce qui, questo era solo il “primo capitolo”. Il 10 dicembre la Commissione ha presentato un nuovo pacchetto di semplificazione ambientale che promette risparmi amministrativi per circa un miliardo di euro l’anno, portando il totale a 11 miliardi e avvicinando l’obiettivo di 37,5 miliardi entro il 2029, termine del mandato dell’attuale Commissione. Sei proposte legislative, nel segno del Competitiveness Compass, per intervenire su diversi ambiti chiave della legislazione UE: emissioni industriali, economia circolare, valutazioni ambientali e gestione dei dati geospaziali.

 

In copertina: Jörgen Warborn fotografato da Laurie Dieffembacq © European Union 2025