“È mezzanotte! Miliardi di dollari in dazi stanno ora affluendo negli Stati Uniti d’America.” Appena le lancette dell’orologio hanno segnato l’inizio della giornata di oggi, giovedì 7 agosto, Donald Trump, come ormai d’abitudine, ha pubblicato questo messaggio su Truth, il social network di sua proprietà.
“Miliardi di dollari, in gran parte da paesi che hanno approfittato degli Stati Uniti per molti anni, ridendosela in ogni modo, cominceranno ad affluire negli USA. L’unica cosa che può fermare la grandezza dell’America sarebbe una corte di sinistra radicale che vuole vedere il nostro paese fallire.”
Il presidente USA ha così annunciato l’entrata in vigore delle tariffe doganali stabilite dalla sua amministrazione per 92 paesi in tutto il mondo, con aliquote differenziate a seconda delle trattative che i singoli governi hanno portato avanti a partire dallo scorso 2 aprile, quando il Tycoon ha esibito alla Casa Bianca la famosa lavagna con la tabella dei dazi.
In questi mesi qualcuno è riuscito ad arginare i danni, qualcun altro si è trovato con una brutta sorpresa dell’ultimo minuto. Praticamente nessuno, in ogni caso, festeggia, perché il risultato del protezionismo a stelle e strisce è solo quello di aver gettato l’economia mondiale in una grande confusione, paragonabile negli ultimi decenni solo a quella del fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e dell’inizio della pandemia nel 2020.
Trump festeggia, gli USA meno
Soltanto Trump, supportato dai suoi fedelissimi (ma non tutti), resta convinto della bontà della propria strategia, anche se fatti e previsioni lo smentiscono. Secondo la maggior parte degli economisti, infatti, la domanda statunitense sarà fiacca e si registreranno notevoli pressioni sui costi, che graveranno sui cittadini, anche se molte aziende stanno comprimendo i margini anziché trasferirli ai consumatori.
Prospettive poco positive, per esempio, sono arrivate a inizio agosto dai nuovi dati sull’occupazione statunitense, che sono risultati inferiori alle attese, oltre a significative revisioni al ribasso dei dati dei mesi precedenti. Trump ha dato la colpa alla direttrice del Bureau of Labor Statistics, Erika L. McEntarferm, accusandola di aver “truccato” i numeri e licenziandola.
Persino la FED, preoccupata per i timori di recessione, sembra intenzionata ad allentare la sua politica monetaria, tanto che si ipotizza un taglio di 50 punti base a settembre e un totale di 75 punti base entro fine anno.
Per l’Unione Europea dazi al 15%
E l’Europa? “Le prospettive per l’attività dell’area euro restano fortemente incerte a causa dell’aumento dei dazi e delle persistenti tensioni geopolitiche”, si legge nel bollettino economico pubblicato oggi dalla BCE. È “probabile che un elevato livello di incertezza riduca ulteriormente il clima di fiducia di famiglie e imprese. Al tempo stesso, il crescente protezionismo a livello mondiale, i dazi elevati e le misure distorsive dell’interscambio, nonché l’ulteriore apprezzamento dell’euro, rappresentano una minaccia per le prospettive dell’area”.
Per l’Unione Europea oggi sono entrati in vigore dazi al 15%, come quelli negoziati da Giappone e Corea del Sud, sulla maggior parte dei prodotti, ma sono ancora in corso trattative per definire i dettagli del Patto di Turnberry, raggiunto (ma non firmato) in Scozia tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, tanto che ieri il presidente americano ha minacciato tariffe al 35% nel caso Bruxelles non investa negli Stati Uniti i 600 miliardi di dollari concordati.
Stangata per Svizzera, Brasile e India
Se l’UE non ride, altri paesi decisamente piangono a causa dei dazi punitivi imposti da Donald Trump, anche a sorpresa. Questo è il caso della Svizzera, destinataria di una tariffa al 39%, che rischia un crollo dell’export in comparti come orologeria, metalmeccanica e alimentare (cioccolato e formaggi). A nulla è valso il tentativo diplomatico della presidente Keller-Sutter, volata a Washington insieme al ministro dell’economia, Guy Parmelin, e ai CEO di alcune importanti aziende elvetiche (Roche, Mercuria, Swiss Airlines).
Il Brasile subisce a sua volta dazi record al 50% per motivi politici legati all’inchiesta su Bolsonaro, amico di Trump. Lula ha reagito duramente (“Esigo rispetto. Non è un modo civile di negoziare fra capi di stato.”) e ha fatto ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO).
Anche l’India è stata penalizzata con una maxi tariffa del 50% a causa degli acquisti di petrolio russo: secondo la FIEO (Federation of Indian Export Organizations), oltre metà delle esportazioni verso gli USA ne sarà colpita.
Dazi al 100% su microchip e semiconduttori?
Le tensioni commerciali rischiano di avere forti ripercussioni sistemiche sul commercio globale, anche perché con Trump, si sa, “di doman non v’è certezza”. Ogni giorno si rischia che l’inquilino della Casa Bianca mescoli le carte, mandando tutto all’aria. Per esempio, il Tycoon continua ad agitare lo spauracchio dei dazi del 100% su microchip e semiconduttori importati, puntando a riportare negli Stati Uniti la produzione di componenti tecnologici critici.
Una misura, presentata alla Casa Bianca accanto al CEO di Apple Tim Cook, che potrebbe far lievitare i prezzi di elettronica, auto ed elettrodomestici. Le aziende che producono chip sul suolo statunitense o si impegnano a farlo saranno esentate. E così, proprio per evitare i dazi e rafforzare la propria filiera interna, Apple ha confermato investimenti in nuove fabbriche in Kentucky, Texas, New York, Arizona e Utah, in base a un piano rinominato “Nuovo programma di produzione americana. Insomma, anche la Mela è stata morsa.
In copertina: Donald Trump fotografato da Joyce N. Boghosian, foto ufficiale della Casa Bianca, via Flickr