Si è trattato fino all'ultimo per evitare che oggi, 1° agosto, entrassero in vigore i nuovi dazi statunitensi sulle merci provenienti da importanti partner commerciali. Non solo in Europa, ma sostanzialmente in tutto il mondo, perché in ogni parte del globo si è cercato di chiudere trattative il più possibile vantaggiose con Washington. Alla fine la scadenza è slittata di un'ulteriore settimana: la nuova data fatidica è il 7 agosto.

È l'ennesima fase di confusione creata da Donald Trump, che, da quando è tornato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato, ha subito cominciato a minacciare a destra e a manca - e spesso anche a concretizzare - una serie di tasse sulle importazioni. Accusando i “furbetti” stranieri, in primis l’UE e la Cina, di aver “saccheggiato” l’America, il tycoon sostiene di voler così favorire la produzione americana e proteggere i posti di lavoro, ma spesso utilizza i dazi anche come strumento di pressione economica e geopolitica. Il risultato del suo protezionismo è quello di aver gettato l’economia mondiale in un’incertezza paragonabile solo a quella del fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e dell’inizio della pandemia nel 2020.

I dazi Usa slittano al 7 agosto

Generali o specifici su determinati prodotti, minacciati o imposti, globali o mirati a  singoli Paesi: il valzer dei dazi è cominciato lo scorso 2 aprile, quando Trump ha imposto tariffe dal 25 al 40% a decine partner commerciali degli Stati Uniti, che si sono aggiunte alla tassa generale del 50% su acciaio e alluminio e a quella del 25% sulle automobili, oltre a un dazio di base del 10% da applicare a tutte le altre importazioni da tutti i paesi. 

Da lì sono cominciate numerose trattative, in vista dell’entrata in vigore prevista dopo 90 giorni, poi slittata al 1° agosto, ed ora al 7 agosto. Alcuni dei primi dazi contro Cina, Canada e Messico, per esempio, sono stati modificati, aumentati o rinviati.

Nel frattempo Trump ha continuato a mischiare le carte in tavola. L’8 luglio ha minacciato un dazio del 200% sulle importazioni di prodotti farmaceutici, senza fornire poi ulteriori dettagli, e successivamente ha affermato che l'esenzione tariffaria globale che copre i beni di valore pari o inferiore a 800 dollari terminerà il 29 agosto.

I singoli Paesi

Per quanto riguarda le singole trattative, è di pochi giorni fa il “Patto di Turnberry”, con cui gli Stati Uniti e l'UE hanno concordato che i prodotti europei saranno soggetti a dazi del 15%, comprese le automobili, ma manca ancora una versione scritta, ufficiale e dettagliata, e ora si parla di “slittamento”, anche se Washinton ieri ha confermato la tariffa (allontanando, ma la precauzione è d'obbligo, lo spauracchio del 30%). Numerosi Paesi dell’Unione nei giorni scorsi hanno manifestato il loro pesante malcontento verso Ursula von Der Leyen, mentre interpretazioni contrastanti dell’accordo sono rimbalzate da una sponda all’altra dell’Atlantico.

Dal 7 agosto, quindi, partiranno varie aliquote tariffarie nel mondo: 50% sui prodotti brasiliani, 39% su quelli svizzeri, 30% sui sudafricani. E ancora: 25% più “una sanzione non specificata” sulle merci indiane (il Paese è penalizzato per i rapporti con la Russia), 20% sulle vietnamite e 19% sulle filippine. Dazi del 15% sono in arrivo sui prodotti provenienti da Giappone e Corea del Sud, paesi che hanno entrambi raggiunto un accordo con Washington nei giorni scorsi.

Da qualche settimana, invece, il Regno Unito ha negoziato l'aliquota tariffaria statunitense più bassa finora, ovvero il 10%. 

Un pesante dazio del 35% sarà applicato - in questo caso già dal 1° agosto - a tutti i prodotti canadesi, in aggiunta ai dazi esistenti, ad esclusione di quelli coperti dall'accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) tra Canada, Stati Uniti e Messico: una "punizione" per la posizione di questo Paese a favore della Palestina.

La tariffa del 30% sui prodotti messicani (anche in questo caso sono esclusi quelli che rientrano nel NAFTA), o un'aliquota più elevata per controbilanciare eventuali dazi di ritorsione introdotti sulle importazioni statunitensi, slitta invece di 90 giorni.

Infine, proseguono i negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina sono in corso: l’obiettivo è quello di scongiurare tariffe oltre il 100% entro il termine del 12 agosto.

Rame, dazi del 50% sulle importazioni

Novità dell’ultimo minuto, anche se già era nell’aria, è il provvedimento con cui Trump, per “motivi di sicurezza nazionale”, introduce dal 1° agosto un dazio del 50% sui prodotti semilavorati in rame e sui prodotti derivati ad alta intensità di rame. Una decisione che sta sollevando preoccupazioni nel settore manifatturiero a stelle e strisce, come sottolinea un’analisi di Coface, società globale per la gestione del rischio credito commerciale: “La filiera del rame negli Stati Uniti dipende fortemente da forniture estere, con le importazioni nette che rappresentano il 45% del consumo interno, per un valore complessivo superiore a 17 miliardi di USD nel 2024. Lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno prodotto solo il 3,5% del rame raffinato mondiale, pur rappresentando il 6,3% del consumo globale, evidenziando un divario importante nella produzione interna. Inoltre, le fonti di approvvigionamento estero degli USA sono principalmente concentrate in tre paesi, Cile, Canada e Perù, che potrebbero risentire del calo della domanda dovuto all’aumento dei prezzi sul mercato statunitense. Le previsioni più pessimistiche indicano che i prezzi del rame negli USA (COMEX) potrebbero raggiungere i 15.000 USD per tonnellata, rispetto agli attuali circa 11.000 USD”.    

Come sta reagendo l’economia globale 

I vari annunci di Trump in questi mesi hanno causato volatilità sui mercati azionari globali, che poi hanno ritrovato una certa stabilità, mentre il valore del dollaro statunitense, solitamente considerato un bene rifugio, ha subito forti cali, soprattutto rispetto all’euro (-13,7% da inizio anno), aggravando ulteriormente il problema della competitività di prezzo da parte degli esportatori europei.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) hanno entrambi rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica globale per il 2025 e prevedono che l’economia statunitense risentirà pesantemente dei dazi, tanto che voci influenti all'interno del partito repubblicano si sono unite all'opposizione democratica e ai leader stranieri nell’attaccare questa politica.

Secondo gli analisti i dazi stanno già influenzando il tasso di inflazione complessivo degli Stati Uniti (+2,7% nell'anno fino a giugno), poiché le imprese trasferiscono sui consumatori una parte o la totalità dei costi aggiuntivi, ma il peggio, secondo molti, deve ancora arrivare, perché l’impatto dei dazi applicati finora è stato ammorbidito dalla strategia di numerose aziende, che hanno accumulato in anticipo scorte per mitigare l'aumento dei costi.


In copertina: Donald Trump - Official White House, Photo by Daniel Torok