L’assemblea degli azionisti di Mediobanca del 21 agosto ha chiuso con un “no” secco all’operazione su Banca Generali, lasciando emergere tutte le tensioni che da anni attraversano il sistema finanziario italiano. I voti favorevoli all’offerta pubblica di scambio si sono fermati al 35% del capitale sociale, pari al 44,9% del capitale presente, che rappresentava nel complesso il 78% del capitale. Un esito che non ha permesso all’amministratore delegato Alberto Nagel di portare a termine una mossa che riteneva decisiva: acquistare Banca Generali cedendo in cambio la storica quota del 13,2% in Generali, e così blindare Mediobanca da tentativi di acquisizione esterni.
I contrari sono stati il 10%, sostanzialmente riconducibili al gruppo Caltagirone, mentre decisiva è stata la fascia degli astenuti, pari al 32%, in cui spiccano il 20% di Delfin (la holding dei Del Vecchio), il 5% delle Casse previdenziali italiane, il 3% di investitori istituzionali, oltre a Unicredit e Edizione Holding. Con questi numeri, Mediobanca ha dovuto dichiarare “decaduta l’offerta su Banca Generali”.
La mossa difensiva di Nagel e l’accusa di conflitto di interessi
L’operazione lanciata da Nagel ad aprile era stata letta dagli analisti come una manovra difensiva per sottrarre Mediobanca alla pressione di MPS. Se l’acquisto di Banca Generali fosse andato a buon fine, Piazzetta Cuccia avrebbe rinunciato alla propria partecipazione in Generali, rendendo meno attraente un’acquisizione da parte della banca senese. Il voto contrario o, meglio, l’astensione strategica di una parte significativa del capitale ha però bloccato il piano.
Nagel ha definito l’operazione un’“opportunità mancata” e ha parlato di “evidente conflitto di interesse” da parte di alcuni azionisti, accusandoli di aver anteposto “altre situazioni/asset italiani” all’interesse della banca. Parole dirette a Delfin e al gruppo Caltagirone, azionisti forti non solo di Mediobanca, ma anche di Generali e MPS. Entrambi hanno infatti legami azionari incrociati che fanno intuire la posta in gioco: il controllo del Leone triestino, il principale gruppo assicurativo italiano.
Delfin e Caltagirone, due strategie parallele
Il voto del 21 agosto non può essere letto senza considerare le strategie dei due grandi blocchi azionari privati. Delfin (Del Vecchio) è il principale azionista privato di Mediobanca con circa il 20% del capitale, possiede il 10% di Generali e una quota analoga in MPS. Il gruppo Caltagirone detiene il 10% di Mediobanca, il 7% di Generali e circa il 10% di MPS.
Per entrambi, Generali rappresenta il vero obiettivo. Piazzetta Cuccia è storicamente il socio più importante della compagnia assicurativa, e il suo 13,2% ha garantito per decenni un’influenza determinante nella governance. Tuttavia, negli ultimi anni questa partecipazione è diventata un terreno di scontro. Se Mediobanca l’avesse sacrificata per comprare Banca Generali, i Del Vecchio e i Caltagirone avrebbero perso un tassello fondamentale nella partita per il controllo di Trieste.
Non sorprende quindi che Caltagirone abbia votato contro e Delfin si sia astenuta: due mosse differenti ma convergenti nell’impedire l’operazione, senza cadere nell’accusa di azione di concerto, vietata dalle regole finanziarie. Una strategia silenziosa che ha avuto successo.
Il risiko bancario e il ruolo del governo
Il contesto in cui maturano queste dinamiche è quello del cosiddetto risiko bancario, un processo di fusioni e acquisizioni che negli ultimi anni sta ridisegnando il settore creditizio italiano. Al centro ci sono tre nodi: la ricerca di un terzo polo bancario capace di competere con Intesa Sanpaolo e Unicredit, la difesa dell’italianità di grandi istituzioni come Generali e Mediobanca, e gli equilibri di potere tra i grandi azionisti privati.
Il governo italiano, primo azionista di MPS, guarda con favore a un’operazione che rafforzi Siena attraverso l’acquisizione di Mediobanca. Lo scambio creerebbe un polo in grado di crescere per dimensioni e competere sul mercato europeo, ma soprattutto garantirebbe il controllo domestico su Generali, Mediobanca e MPS. È questa la cornice politica in cui si muovono Delfin e Caltagirone, e che spiega perché l’OPS su Banca Generali sia stata vissuta come una minaccia ai loro obiettivi.
MPS è però molto più piccola della banca che vorrebbe comprare: diversi analisti hanno giudicato l’operazione “insensata” dal punto di vista strettamente economico. Proprio per questo, il progetto di Nagel su Banca Generali era stato concepito come deterrente, eliminando la quota in Generali e togliendo a Siena il principale motivo di interesse.
Mediobanca tra storia e futuro
Il voto contrario non chiude comunque la partita, ma la complica. Mediobanca resta titolare del 13,2% in Generali, e quindi continua a essere l’oggetto del contendere. La sua centralità si spiega proprio con il legame storico con il Leone triestino: per decenni ne ha guidato la crescita e la governance, facendone un “fiore all’occhiello” della finanza nazionale.
Nagel aveva immaginato un futuro diverso: una Mediobanca trasformata in wealth manager di respiro internazionale, rafforzata dall’acquisizione di Banca Generali e meno esposta alle dinamiche politiche e familiari del risiko bancario. Quel progetto resta sulla carta, ma il gruppo proseguirà con il piano industriale “One Brand - One Culture”, puntando a consolidare la redditività e l’offerta integrata di servizi.
Per ora, però, l’attenzione resta sul possibile ritorno di fiamma di MPS, con l’appoggio del governo e il consenso implicito dei due grandi azionisti privati. Un equilibrio fragile, che lascia aperti molti scenari: un’aggregazione che rafforzi Siena, una nuova mossa difensiva di Mediobanca o un compromesso tra i blocchi azionari.
Un gioco di equilibri instabili
A cinque giorni dall’assemblea, è chiaro che il voto non è stato tanto una bocciatura tecnica quanto una scelta strategica, figlia di interessi incrociati. Le percentuali raccontano un mosaico di poteri: il 35% favorevole non è bastato contro il 10% contrario e soprattutto contro il peso del 32% astenuto.
Nagel ha parlato di conflitti di interesse e di “un’opportunità mancata”. Delfin ha fatto filtrare che le sue perplessità riguardavano i tempi e le modalità, non il razionale strategico. Caltagirone ha votato contro, senza esitazioni. In mezzo, il governo osserva e prepara le prossime mosse, convinto che un’aggregazione tra Mediobanca e MPS sia la strada per creare una terza grande banca nazionale.
Il risiko bancario italiano, insomma, continua. E con esso lo scontro tra due delle famiglie industriali più influenti del paese, Del Vecchio e Caltagirone, in una partita che ha al centro Generali e il futuro equilibrio della finanza italiana.
In copertina: foto Mediobanca