Il risiko delle terre rare si complica ogni giorno di più, e il weekend del 25-26 ottobre ha aggiunto nuovi possibili scenari allo sviluppo della partita. Da Bruxelles a Kuala Lumpur, dove si è riunito il 47° summit dei paesi dell’ASEAN, i preziosi minerali sono stati al centro di una serie di dichiarazioni, promesse, firme e patti più o meno ufficiali. Una rincorsa per conquistare la posizione migliore in vista di due date critiche: l’entrata in vigore, il 1° dicembre, delle nuove restrizioni sulle terre rare imposte dalla Cina, che metteranno in difficoltà filiere strategiche come automotive, hi-tech e difesa, e, prima, l’attesissimo incontro del 30 ottobre a Seoul fra Xi Jinping e Donald Trump, che invece potrebbe sbloccare, o quantomeno alleggerire, la guerra dei dazi.
Già sabato, mentre gli occhi del mondo erano puntati verso la Malaysia, dove si stavano dirigendo anche gli aerei del primo ministro cinese e del presidente statunitense, in Europa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha preceduto tutti lanciando il suo dado: l’UE, ha dichiarato, è pronta a utilizzare il meccanismo anti-coercizione, la sua più potente arma commerciale, per contrastare le restrizioni di Pechino.
Domenica invece è stato Trump a mettere a segno una mossa importante, assicurandosi la firma di due memorandum con Malaysia e Thailandia per l’approvvigionamento di minerali critici, mentre dal Giappone arrivavano critiche alle rigide posizioni cinesi. Intanto, a Pechino, il sempre ineffabile Xi Jinping osserva e lascia crescere le aspettative per l’incontro di giovedì.
Europa: è l’ora del bazooka commerciale?
Sabato 25 ottobre, intervenendo a una conferenza a Berlino, Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Unione Europea è pronta a utilizzare “tutti i mezzi disponibili” per contrastare le restrizioni cinesi all’export di terre rare. I mezzi a disposizione dell’UE includono il cosiddetto “bazooka commerciale”, ovvero l’utilizzo del meccanismo anti-coercizione messo a punto e approvato nel 2023 dal Parlamento europeo: una serie di misure, che vanno dalle limitazioni commerciali alle restrizioni per investimenti e finanziamenti, per rispondere con le maniere forti a pratiche sleali che ledono gli interessi dell’Unione.
La dichiarazione arriva in vista dell’entrata in vigore, il 1° dicembre, delle nuove regole sull’export di terre rare annunciate dal Ministero del commercio cinese, che mirano a un controllo ancora più stretto sulle licenze di esportazione di alcuni elementi critici per le filiere hi-tech. Il tutto in un contesto geopolitico in cui, lo ricordiamo, la Cina detiene un quasi monopolio su queste fondamentali materie prime, controllandone circa il 70% dell’estrazione e oltre il 90% di raffinazione e produzione.
Intensificando la retorica sulla questione, von der Leyen ha paragonato il controllo cinese sulle terre rare alla precedente dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili russi, che ha rivelato tutta la sua problematicità dopo l’invasione dell’Ucraina. “L'Europa non può più fare le cose allo stesso modo”, ha detto la presidente della Commissione. “Abbiamo imparato questa lezione a caro prezzo con l'energia; non la ripeteremo con i materiali critici."
Ed è per questo che la Commissione, come ha annunciato von der Leyen, presenterà un piano REsourceEU che, sulla falsariga del REpowerEU, servirà a costruire una maggiore resilienza e indipendenza per le catene di fornitura di materie prime critiche dell’industria europea. “Partiremo dall’economia circolare. Non per ragioni ambientali, ma per sfruttare le materie prime critiche già contenute nei prodotti venduti in Europa", ha spiegato. Inoltre, si cercherà di accelerare sui partenariati con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile e Groenlandia.
Quanto al dialogo con la Cina, lunedì 27 ottobre il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha incontrato a Kuala Lumpur il premier cinese Li Qiang per “esortarlo” – così ha riferito alla stampa – “a ripristinare al più presto catene di approvvigionamento fluide, affidabili e prevedibili”. Ma da Li sono arrivate solamente le solite concilianti rassicurazioni sul fatto che la Cina è sempre disposta ad approfondire una cooperazione commerciale “ottimizzata ed equilibrata” con l'Unione Europea.
Trump fa il suo gioco
Se l’Europa mostra i pugni, Donald Trump è invece andato in Asia a raccogliere strette di mano. Oltre a presiedere alla firma dell’accordo di pace fra Thailandia e Cambogia (un altro punto per la sua caccia al Nobel), il presidente americano si è anche assicurato un paio di accordi utili a tutelare le supply chain di materie prime critiche degli USA.
Domenica ha infatti firmato due memorandum d’intesa con la Malaysia e la Thailandia per aprire la strada a nuove esportazioni di minerali critici dal Sud-Est asiatico verso l’industria statunitense dell’automotive, dell’hi-tech e della difesa. Firme che arrivano poco dopo l’accordo quadro da 8,5 miliardi di dollari siglato il 20 ottobre con l’Australia.
Gli accordi, tuttavia, non saranno in grado di risolvere in breve tempo la situazione di dipendenza dalla Cina, perché l’industria USA avrà comunque bisogno di sviluppare una capacità di lavorazione delle materie prime che al momento non possiede, e che è, si diceva, appannaggio quasi esclusivo dei cinesi.
In copertina: Donald Trump con il primo ministro malese Seri Anwar Ibrahim, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro tailandese Anutin Charnvirakul prima della firma dell’accordo di Kuala Lumpur, foto ufficiale della Casa Bianca scattata da Daniel Torok
