Li avevamo lasciati un mese fa a Ginevra, a stringersi le mani soddisfatti per un insperato, per quanto temporaneo, accordo sui dazi. Ora il vicepremier cinese He Lifeng e il segretario del Tesoro americano Scott Bessent si ritrovano a Londra, per un secondo round di negoziati mirato a “scongelare” i rapporti fra Pechino e Washington, dopo le nuove tensioni delle scorse settimane.

Il meeting si è aperto lunedì 9 giugno e andrà avanti fino a venerdì 13, nell’ambito di quello che è stato battezzato il “meccanismo di consultazione economica e commerciale Cina-Stati Uniti”.

Se il vicepremier He, uomo di fiducia di Xi Jinping e “zar” dell’economia cinese, è stato nominato plenipotenziario per i negoziati commerciali, Bessent è invece accompagnato nella missione dai due falchi trumpiani del protezionismo, Howard Lutnick, segretario al Commercio, e Jamieson Greer, rappresentante per il Commercio.

La delegazione avrà parecchie gatte da pelare, ma il primo nodo da affrontare con una certa urgenza è quello delle terre rare. La stretta all’export imposta da Pechino nelle ultime settimane sta infatti causando non pochi problemi all’industria automotive americana, ma anche a quella europea, in allerta per il rischio di un blocco della produzione.

Una tregua problematica

L’accordo preliminare raggiunto in Svizzera lo scorso 11 maggio prevede una pausa di 90 giorni per i dazi reciproci fra Cina e Stati Uniti, che subito dopo il Liberation Day di Trump erano arrivati – lo ricordiamo – al 145% sui prodotti cinesi importati in USA e al conseguente 125% su quelli americani importati nella Repubblica Popolare. I dazi al momento attivi corrispondono dunque al 30% sui prodotti provenienti dalla Cina (tariffa che include anche le sanzioni per il fentanyl) e al 10% su quelli di provenienza statunitense.

La tregua non è però stata, fino ad ora, molto tranquilla. Le due parti, infatti, si accusano reciprocamente di aver violato l’accordo: Pechino avrebbe rallentato l’approvazione delle licenze per l’esportazione di terre rare, mettendo in crisi alcune industrie chiave dell’economia americana (e non solo); mentre Washington ha imposto nuove restrizioni all’esportazione in Cina di microchip avanzati (indispensabili per l’AI) e tecnologie per la filiera dei semiconduttori.

La stretta sulle terre rare e la crisi dell’automotive

La parte più urgente dell’auspicabile accordo fra Cina e Stati Uniti è quella che riguarda le terre rare. Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi indispensabili per industrie chiave come l’automotive, le batterie, le energie rinnovabili, i microchip e la difesa. E non è un mistero che la Cina detenga il quasi monopolio mondiale di queste preziosissime materie prime, controllandone il 69% dell’estrazione e oltre il 90% della raffinazione e produzione.

Da quando Donald Trump ha dichiarato la sua guerra commerciale a tutto il mondo, il controllo dell’export di terre rare è diventato l’asso nella manica della Repubblica Popolare nella sua strategia di resistenza. Se Pechino ha platealmente risposto all’escalation delle tariffe di Trump con una puntuale ritorsione, sono state però le meno ostentate restrizioni all’esportazione di terre rare a dare più filo da torcere all’economia americana.
All’indomani del Liberation Day, infatti, la Cina ha annunciato restrizioni su sette di questi fondamentali minerali, con regole che si applicano non solo agli Stati Uniti ma a buona parte del mondo. Non si tratta di un blocco totale, ma di sicuro di un bel collo di bottiglia: le esportazioni sono adesso soggette alla richiesta di un permesso al ministero del Commercio cinese; e i permessi, a fronte di migliaia di richieste, sono stati concessi fino a questo momento con molta parsimonia (pare solo il 25% del totale).

Il primo settore a risentire della carenza di terre rare è l’automotive, che ha letteralmente lanciato un grido d’allarme. Se, negli Stati Uniti, Ford è già stata costretta a chiudere in maggio una fabbrica a Chicago, nei giorni scorsi anche la European Association of Automotive Suppliers (CLEPA) ha annunciato che diverse linee di produzione in Europa sono state costrette a fermarsi temporaneamente per la mancanza di materie prime indispensabili. E intanto arrivano appelli dalle associazioni di produttori automobilistici di varie parti del mondo, dall’India al Giappone.

Della questione terre rare si è parlato anche nella lunga telefonata della scorsa settimana fra Xi Jinping e Donald Trump. E così, probabilmente in vista della riapertura dei negoziati, il 6 giugno alcune fonti anonime hanno fatto sapere a Reuters che la Cina avrebbe concesso licenze temporanee di esportazioni ai fornitori di Ford, General Motors e Stellantis. Ora vedremo a cosa porterà questo nuovo round di negoziati a Londra.

 

In copertina: Scott Bessent e He Lifeng durante il bilaterale a Ginevra di maggio © KEYSTONE/EDA/Martial Trezzini via Flickr