L’espansione del contenzioso climatico continua a ritmo sostenuto, con attesi sviluppi significativi nei sistemi giudiziari nazionali e regionali di diversi continenti, coinvolgendo anche le più alte corti internazionali.
Le innovazioni legali e giurisprudenziali non tengono di certo il passo del riscaldamento globale e dei suoi impatti sempre più allarmanti, ma alla fine del 2025 la comunità del contenzioso climatico potrebbe avere chiare indicazioni da parte delle più importanti corti quanto alle obbligazioni degli stati e alla tutela dei diritti umani nella crisi climatica, oltre alla possibilità di individuare le responsabilità delle carbon majors. Strumenti, modelli, e strategie sempre più raffinati per perseguire la giustizia climatica anche nelle aule di tribunale. Quali sono, quindi, i casi da non perdere di vista nei prossimi mesi?
La perseveranza delle "Anziane per il clima" in Svizzera
La Svizzera sta attraversando il seguito di una storica sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2024, che ha riconosciuto la violazione di diritti fondamentali a causa dell'insufficiente azione climatica del governo elvetico.
Le KlimaSeniorinnen Schweiz, anziane attiviste riunite in un'associazione supportata da Greenpeace, nonostante una vittoria senza precedenti lo scorso anno, continuano la loro pluriennale battaglia. La sentenza aveva stabilito che la Svizzera ha violato il loro diritto alla vita privata e familiare (articolo 8 CEDU) e a un processo equo (articolo 6 CEDU). Per quanto una sentenza possa essere dirompente sulla carta, in concreto conta quanto accade in fase di esecuzione.
La riunione dei Delegati per i diritti umani del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, tenutasi tra il 4 e il 6 marzo, ha esaminato l'attuazione della sentenza. Sebbene dal 1° gennaio 2025 sia in vigore la revisione della legge "CO₂ Act" − che stabilisce un obiettivo di riduzione delle emissioni del 50% rispetto ai livelli del 1990 − i critici sostengono che il carbon budget svizzero risulta esorbitante: 660 milioni di tonnellate di CO₂ fino al 2050, contro i 260 milioni stimati da esperti indipendenti, che sarebbero esauriti già nel 2032 proseguendo lungo l’attuale traiettoria di emissioni.
Il Comitato dei ministri ha richiesto ulteriori chiarimenti al governo svizzero, rimandando la questione a settembre 2025. "Il Consiglio federale non riesce a convincere il Comitato dei ministri con le sue argomentazioni. La Svizzera deve migliorare la sua politica climatica per porre rimedio alla violazione dei nostri diritti umani," ha dichiarato Rosmarie Wydler-Wälti, copresidente delle KlimaSeniorinnen Schweiz.
Un cittadino austriaco apre nuovi scenari legali
La Corte EDU, dopo il caso svizzero, è chiamata a esaminare altri ricorsi a tema cambiamento climatico pendenti. Un cittadino austriaco, il signor Müllner, affetto da sclerosi multipla sensibile alle alte temperature e dalla sindrome di Uhthoff, ha denunciato il proprio governo per la mancata adozione di misure efficaci contro il cambiamento climatico.
"Questo si prospetta come il prossimo grande caso climatico della Corte," spiega a Materia Rinnovabile Corina Heri, ricercatrice dell'Università di Zurigo coinvolta nel procedimento. "Potrebbe chiarire il test sullo status di vittima individuale, oltre a porre alla Corte la questione di come approcciarsi agli obiettivi climatici dell'UE e di come considerare le vulnerabilità specifiche legate alla disabilità."
A differenza del caso delle attiviste svizzere, il ricorso di Müllner potrebbe abbattere l'argine ai ricorsi individuali in materia climatica, creando un riferimento di portata storica.
L’attesa per i pareri delle corti regionali e internazionali
Non è solo la Corte di Strasburgo a tracciare i confini della responsabilità climatica. Nel 2024 il Tribunale internazionale del diritto del mare ha riconosciuto le emissioni di gas serra come forma di "inquinamento marino", e si attendono quest’anno altri pareri che orienteranno il contenzioso climatico a venire in diverse aree geografiche.
Cile e Colombia hanno richiesto un parere alla Corte interamericana dei diritti umani su quali siano gli obblighi degli stati rispetto alle cause e alle conseguenze del cambiamento climatico. Il procedimento ha visto una partecipazione straordinaria: presentate 250 osservazioni scritte e altrettanti gli interventi in udienza. La Corte di San José potrebbe pronunciarsi nella seconda metà del 2025.
Anche la Corte internazionale di giustizia dell'Aia si prepara a esprimere un parere cruciale sulle responsabilità degli stati nella crisi climatica, in risposta a una risoluzione dell'Assemblea generale ONU promossa dalla Repubblica di Vanuatu, piccolo stato insulare gravemente minacciato dall'innalzamento del livello del mare. Anche questo procedimento ha registrato numeri record con circa 150 dichiarazioni scritte e interventi di 96 stati durante le udienze pubbliche dello scorso dicembre.
Francesco Sindico, professore di International Environmental Law alla Strathclyde Law School di Glasgow, ha commentato per Materia Rinnovabile la sua esperienza in udienza per conto di IUCN: “Tanti paesi non avevano mai messo piede dentro la Corte internazionale di giustizia, è stata come una piacevole boccata di ossigeno (giuridico) per chiunque lavori in temi di diritto internazionale”. Quanto alle aspettative, “è probabile che la Corte confermi che sono diversi gli strumenti internazionali che impongono obbligazioni sugli stati di protezione del clima, e che tali obbligazioni hanno natura di due diligence”. Il parere è atteso entro fine anno.
L’iniziativa analoga più recente è di un gruppo di ONG guidato dalla Pan African Lawyers Union, che ha avviato un procedimento anche nella regione africana. Il 2 maggio scorso la coalizione ha presentato una petizione alla Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli chiedendo un parere consultivo sugli obblighi in materia di diritti umani degli stati africani nel contesto dei cambiamenti climatici.
La petizione segue il modello di quelle presentate negli altri continenti, ma si sofferma sulla maggior vulnerabilità della regione alla crisi climatica e su disuguaglianze e responsabilità storiche, tra cui il colonialismo. Potrebbero trascorrere più di diciotto mesi prima di ottenere il parere della Corte.
Grandi multinazionali a giudizio: danni climatici e climate washing
Il contenzioso climatico non riguarda solo gli stati. Le Carbon Majors − 36 società che secondo Influence Map e Carbon Accountability Institute producono metà delle emissioni climalteranti globali − affrontano un crescente numero di azioni legali nei loro confronti.
Nei Paesi Bassi, l'ONG Milieudefensie ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione dopo un ribaltamento parziale in secondo grado della storica sentenza contro Shell. "Shell ha il dovere di ridurre le sue emissioni, ma la corte non è riuscita a dire esattamente di quanto," ha dichiarato Sjoukje van Oosterhout, alla guida del team legale di Milieudefensie.
In Germania, l'Alta corte regionale di Hamm ha recentemente discusso il caso dell'agricoltore peruviano Saúl Luciano Lliuya contro la multinazionale dell’energia RWE, uno dei maggiori emettitori europei. Lliuya chiede un risarcimento per i rischi di inondazione nella sua città, Huaraz, causati dalla fusione dei ghiacciai. La sfida alla Davide e Golia più nota del contenzioso climatico dovrebbe concludersi con una sentenza il 28 maggio prossimo.
La decisione potrebbe rappresentare una svolta nel complesso riconoscimento del nesso causale tra emissioni e danni climatici specifici. Una strada già percorribile contro le multinazionali responsabili di ingenti emissioni è quella del contrasto al climate washing, e saranno sempre più numerose le pronunce in materia.
Solo in Germania nelle ultime settimane, la corte regionale di Koln ha ordinato a Lufthansa di non pubblicizzare nei termini utilizzati finora la possibilità per i passeggeri della compagnia di compensare la CO₂ dei voli acquistati, mentre la corte regionale di Nuremberg-Fürth ha ordinato a Adidas di interrompere la diffusione del messaggio promozionale secondo cui diventerà carbon neutral entro il 2050.
Sue, Baby, Sue: la calda primavera del contenzioso climatico negli USA
Gli Stati Uniti, già storica culla del contenzioso climatico, vivono una primavera particolarmente intensa anche da questo punto di vista. La nuova amministrazione Trump ha scatenato quella che Michael Burger, direttore esecutivo del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, descrive come "una vertiginosa serie di attacchi alla tutela dell'ambiente e della salute pubblica, nonché alla scienza su cui si basano."
D’altro canto, gli attivisti del clima “tentano di mandare in bancarotta l'industria energetica americana attraverso una serie di azioni legali”, secondo quanto riportato sul sito web della recente iniziativa a difesa dei combustibili fossili legata a Leonard Leo, già consigliere di Donald Trump. A rischiare la chiusura è tuttavia Greenpeace USA, a cui una corte del North Dakota ha ordinato di pagare più di 660 milioni di dollari per diffamazione nei confronti della compagnia petrolifera Energy Transfer.
Il Sabin Center ha lanciato una piattaforma online (Climate Backtracker) per tracciare ogni azione dell'amministrazione che indebolisce le tutele ambientali federali, mentre numerose azioni legali cercano di ostacolare gli ordini esecutivi presidenziali. Contestualmente, si intensifica lo scontro tra stati "blu" e "rossi".
I Repubblicani hanno guidato negli ultimi due anni un movimento definito “anti ESG”: sono state approvate più di trenta tra leggi, singole norme e linee guida, indirettamente a favore dei settori dei combustibili fossili e delle armi da fuoco. Sono stati alcuni investitori a contestare in giudizio queste soluzioni anti ESG, con recenti successi in Missouri, Oklahoma e stato di New York.
Ventidue stati guidati dal West Virginia hanno contestato una norma dello stato di New York che richiede ai maggiori emettitori di gas serra degli ultimi 25 anni di versare 3 miliardi di dollari annui per i prossimi 25 anni. La legge del Vermont sui danni climatici è finita in modo simile dinanzi a una corte federale. All’opposto, in Maryland è pendente un disegno di legge che vieterebbe ad altre amministrazioni statali e locali di agire per danni climatici nei confronti dello stato.
Diverse cause promosse da città americane contro compagnie petrolifere hanno superato ostacoli procedurali e si avviano a entrare nel merito, tra cui quelle di Honolulu, Boulder, Vermont, Massachusetts, Porto Rico e Minnesota.
In copertina: foto di Fibonacci Blue, via Flickr