Per tanti decenni, nessuna nazione ha eguagliato l’investimento, l’ambizione e i risultati conquistati dagli americani. Poi sono arrivati i secondi cento giorni di Donald Trump. E in appena tre mesi il nuovo corso della Casa Bianca ha scatenato un vero e proprio assalto alla scienza pubblica statunitense. Subito dopo aver ritirato gli USA dall’Accordo di Parigi sul clima, bloccato i fondi per l’energia pulita e spinto per il ritorno al carbone, dichiarato un’emergenza energetica nazionale per aumentare l’estrazione di petrolio e gas, l’amministrazione Trump ha fatto calare la mannaia su tutti i programmi scientifici che monitorano emissioni e riscaldamento globale.

I finanziamenti per la ricerca universitaria sono stati congelati. Migliaia di ricercatori sono stati licenziati. E istituzioni fondamentali come l’agenzia spaziale NASA, la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’EPA (Environmental Protection Agency) e la NSF (National Science Foundation) sono finite sotto la scure di tagli senza precedenti, che mettono a rischio tutto ciò che era stato costruito con decenni di investimenti: modelli climatici rivoluzionari, farmaci che hanno contribuito a debellare malattie, previsioni meteo avanzate, vaccini efficaci, satelliti per l’osservazione della Terra, stazioni per il monitoraggio dei gas serra, modelli oceanici, sistemi di allerta per gli uragani, programmi di cooperazione internazionale. Una catastrofe che non solo mina la capacità degli Stati Uniti di affrontare la crisi climatica, ma ne intacca il ruolo di guida globale nella conoscenza scientifica.

I tagli di Trump alla ricerca contro la crisi climatica

Vediamo alcuni degli interventi già varati. L’amministrazione Trump propone di tagliare del 27% i fondi alla NOAA, con un taglio del 74% (da 656 a 171 milioni di dollari) all’Ufficio di ricerca oceanica e atmosferica (OAR), che si occupa di modelli climatici, previsioni di uragani e monitoraggio di siccità e ondate di calore, cancellando il settore ricerca e chiudendo tutti i laboratori climatici, in un documento di bilancio ufficiale trapelato.

Chiuderà i battenti anche Mauna Loa, la storica stazione delle Hawaii che da oltre sessant’anni misura la concentrazione di CO₂ nell’atmosfera, e le stazioni oceaniche che supportano previsioni sugli uragani e studi sull’Artico. Il contratto per la pubblicazione della prossima National Climate Assessment − il documento di riferimento per le strategie di adattamento climatico del Paese, il prossimo era atteso per il 2028 − è stato cancellato, con il licenziamento in blocco di oltre 400 scienziati, lasciando vuoti i tavoli dove si pianificavano adattamento e mitigazione.

Il segretario di stato Marco Rubio (il ministro degli esteri, per capirci) ha chiuso l’Office of Global Change, l’Ufficio per il cambiamento globale che coordina i negoziati internazionali sul clima. Perfino l’IPCC − il panel ONU sul clima − ha dovuto fare a meno dei delegati federali USA. A metà aprile, la National Science Foundation − che nel 2018 destinava 800 milioni alla ricerca climatica − ha bloccato tutte le nuove richieste di finanziamento, e dopo l’intervento del DOGE si è vista azzerare centinaia di milioni destinati a borse di studio, ricerche universitarie, aggiornamento dei satelliti meteorologici, progetti di monitoraggio della CO₂.

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NOAA e NASA hanno visto i propri budget dimezzati, con l’immediata cancellazione di progetti chiave su clima e spazio. In particolare il budget per la NASA prevede un taglio del 50% ai fondi per la ricerca scientifica, con oltre 3 miliardi in meno nel 2026. Questo comprometterebbe il lancio di nuovi satelliti per l’osservazione terrestre, cruciali per monitoraggio climatico e previsioni meteo, tra cui il quasi completato successore di Hubble e James Webb, il telescopio Nancy Grace Roman.

Al Dipartimento della salute si prospetta una sforbiciata di 40 miliardi: numerosi programmi e uffici, inclusi quelli del NIH e dei CDC, verranno accorpati o eliminati. I finanziamenti per studiare l’impatto sanitario del cambiamento climatico saranno azzerati e l’agenzia non considererà più prioritaria la ricerca in materia. Anche il braccio scientifico dell’EPA è destinato a scomparire, con migliaia di licenziamenti. Il 15 aprile, l’Agenzia ha mancato per la prima volta in trent’anni la scadenza ONU per il report sulle emissioni.

La devastazione non si è fermata al portafogli. Il Dipartimento per l’efficienza governativa guidato da Elon Musk ha licenziato migliaia di scienziati federali. Le epurazioni hanno colpito anche i grandi laboratori federali. E l’EPA, l’agenzia ambientale sotto la guida del nuovo direttore, Lee Zeldin, sta smantellando il cosiddetto “Endangerment Finding”, il dispositivo legale che permetteva all’agenzia di regolamentare le emissioni di gas serra in quanto minaccia per la salute pubblica. Adesso la strategia è accettare il riscaldamento globale, ma sottostimarne gli impatti economici, creando le premesse per affermare che i costi delle normative ambientali sono troppo elevati rispetto ai benefici per la collettività.

Gli attacchi di Trump alle università USA

Ma l’attacco non si è fermato alle agenzie federali. L’università statunitense, che produce la metà degli studi scientifici pubblicati al mondo, è diventata un bersaglio diretto. Con il pretesto di combattere la (inesistente) ideologia woke e indagare sull’antisemitismo nei campus, l’amministrazione Trump ha congelato miliardi in fondi destinati alla ricerca, colpendo in particolare le scienze ambientali.

A Harvard, Princeton, Berkeley e decine di altri atenei, i progetti sono stati interrotti, i laboratori svuotati, le ammissioni ai corsi ridotte. Le conseguenze sono immediate: meno studenti, meno pubblicazioni, meno innovazione. E meno attrattività per i giovani scienziati stranieri, che un tempo affollavano i dottorati USA e ora guardano altrove.

Secondo uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Nature, le candidature verso posti di ricerca internazionali da parte di statunitensi sono aumentate del 32% rispetto all’anno scorso. Nel solo mese di marzo 2025, le ricerche di lavoro all’estero da parte di scienziati statunitensi sono aumentate del 68% rispetto all’anno precedente, mentre le candidature di ricercatori europei a istituzioni statunitensi sono crollate del 41%. Francia, Germania e persino la Cina stanno già approfittando del vuoto lasciato dagli Stati Uniti.

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La motivazione chiaramente ideologica rende tutto ancora più preoccupante. La crociata contro la scienza non nasce da vincoli di bilancio: il NOAA, per esempio, pesa appena lo 0,01% del budget federale. Ma uno studio recente della American Meteorological Society afferma che ogni dollaro investito nel National Weather Service restituisce un valore di 73 dollari. Il punto è che secondo l’amministrazione Trump il clima non è più una priorità.

A inizio aprile, il NOAA ha ritirato 4 milioni di dollari destinati al prestigioso centro di Princeton per i modelli climatici. Secondo il governo, questi studi promuoverebbero “minacce climatiche esagerate” e alimenterebbero l’ansia collettiva. E i finanziamenti vengono usati come leva per piegare università e agenzie a una nuova narrazione.

La rimozione di archivi e strumenti digitali vitali per la ricerca ambientale e la salute pubblica lo dimostra. Dati su emissioni, alluvioni, livelli di CO₂, ondate di calore sono spariti dai siti istituzionali come EPA, CDC e NOAA, sottraendo risorse disponibili non solo agli scienziati USA, ma anche alla comunità internazionale.

Un’operazione di “censura silenziosa” ha colpito i database che supportavano previsioni su incendi devastanti, ondate di calore, siccità e impatti sanitari delle nuove malattie. Università e centri di ricerca hanno reagito all’emergenza lanciando reti di salvataggio per i dati. Come racconta la BBC, in pochi giorni centinaia di scienziati sparsi tra USA, Canada ed Europa si sono attivati per mettere al sicuro su server decenni di archivi digitali, nel timore che venissero cancellati improvvisamente.

Congresso e giudici possono ancora intervenire

Il Congresso potrebbe ancora intervenire. I tagli dovranno passare al vaglio delle Camere, e molti scienziati sperano che il legislatore − spinto dall’opinione pubblica − riesca a difendere ciò che resta. E ci sono anche i giudici: proprio il 22 aprile, Giornata mondiale della Terra, una sentenza federale ha bloccato temporaneamente la decisione dell’EPA (Agenzia per la protezione ambientale) di cancellare 14 miliardi di dollari in finanziamenti per progetti climatici approvati sotto Biden. Ma il danno è già stato fatto.

E c’è molto altro. In questa sede vogliamo solo accennare ai drastici tagli ai finanziamenti alla cooperazione internazionale, a cominciare dallo smantellamento totale dell’agenzia USAID, che assieme alla riduzione dei programmi di scambio e formazione scientifica rischia di avere conseguenze gravissime. O alla politica tariffaria di Trump, che ha avuto impatti immediati sull’economia.

I nuovi dazi sull’import, pensati per rilanciare il manifatturiero domestico, hanno generato una serie di ritorsioni commerciali, innescando instabilità nei mercati globali. Settori come agricoltura, tecnologia e industria automobilistica hanno subìto contraccolpi, con aziende costrette a fronteggiare incertezza e perdita di competitività, che stanno paralizzando migliaia di piccole imprese statunitensi, incapaci di gestire la volatilità dei costi e la carenza di componenti essenziali.

E sono serviti appena cento giorni.

 

In copertina: proteste a difesa della NOAA il 3 marzo 2025, foto di Elvert Barnes, via Flickr