Da Los Angeles - I primi 100 giorni dell’amministrazione Trump hanno alterato definitivamente l’assetto democratico ed economico degli Stati Uniti. Nessun presidente ha mai saputo portare tante trasformazioni – negative – tanto rapidamente.
Dall’eliminazione di uffici federali fondamentali per la sicurezza, la salute e l’ambiente di cittadini e cittadine americani (ma con diramazioni globali) alle deportazioni forzate degli immigrati illegali, passando per lo tsunami dei dazi sul commercio, la geopolitica creativa filorussa, le politiche anti-ambientali e lo sgangherato parterre di segretari e ministri (difesa e sanità su tutti).
Guardando dall’Europa non si riesce a cogliere la paura, la preoccupazione, la paranoia che si stanno insinuando nel popolo statunitense, inclusa la parte che ha votato Trump. Arrivando qua invece il caos è palese e le preoccupazioni palpabili. Si parla di Trump in ogni discorso, tra amici, negli small talk al bar, con sconosciuti al parco. C’è chi cancella post e commenti se deve viaggiare all’estero e chi già sente il peso dei dazi sulla propria attività. E in molti casi la frustrazione diventa rabbia e resistenza.
“Arrest Trump, not migrants”, ho letto oggi sulla T-shirt di una studentessa tra i viali verdeggianti dell’UCLA, l’Università di Los Angeles. Arresto e impeachment per tanti sembrano l’unica via di uscita da un incubo che durerà ancora 1.360 giorni.
Si parla di resistenza, di proteste, di organizzarsi per rispondere. Ma per molti viene prima la sopravvivenza: oltre 200.000 lavoratori federali licenziati da Trump hanno come priorità quella di trovare lavoro, decine di migliaia di PMI di trovare soluzioni per sopravvivere ai dazi, migliaia di ricercatori come trovare risorse per la ricerca dopo i tagli alle università (esemplare l’assalto contro Harvard).
Ne pagherà direttamente la sicurezza sociale ed economica degli statunitensi. Ma anche la salute. L’ultima notizia è che al Centers for Disease Control and Prevention (CDC), responsabile per il controllo delle pandemie, tra i 2.400 posti tagliati ci sono i responsabili dei laboratori di analisi delle epatiti virali e delle epidemie di malattie a trasmissione sessuale (che non potranno essere più tracciate). Si perderanno vite, peggiorerà inevitabilmente la qualità della vita. Non può essere altrimenti quando si tagliano servizi consolidati e di cui tutti, repubblicani, democratici o altro, ne traggono benefici.
Sono senza parole gli studiosi di diritto costituzionale per il livello di potere che l’Esecutivo sta cercando di accumulare e l'impunità con cui lo esercita. Trump ha rivendicato l'autorità costituzionale del Congresso sulla spesa e sul commercio estero, adducendo un'emergenza non ben definita. Ha rivendicato il controllo su agenzie indipendenti e ha ignorato le regole post-Watergate volte a prevenire l'ingerenza politica nell'applicazione della legge e nelle indagini.
Ha fatto sberleffi ai tribunali di grado inferiore quando hanno ordinato di rallentare o invertire le mosse potenzialmente illegali, a volte li ha ignorati o ridicolizzati pubblicamente. In un caso, ha sfidato un ordine della Corte Suprema. Basta sentire le parole di uno dei giuristi conservatori più influenti d’America, J. Harvie Wilkinson, che ha dichiarato che il comportamento dell'amministrazione Trump minaccia di "ridurre lo stato di diritto all'illegalità e di offuscare gli stessi valori per i quali gli americani di diverse opinioni e convinzioni si sono sempre battuti".
Quella di Trump è una politica egocentrica, individualista, al limite del solipsismo, che non lascia spazio per i diritti e per l’eguaglianza, men che meno per l’ambiente e la transizione, ridotti a un mero ostacolo dell’arricchimento anarco-capitalista di qualcuno, sul brevissimo termine.
Ma vale la pena constatare come le contraddizioni statunitensi, esasperate da Trump, siano così venute al pettine, in particolare di fronte agli occhi degli statunitensi stessi. Lo smantellamento dello stato federale e della democrazia sul suolo patrio, l’eliminazione della cooperazione internazionale, della ricerca ambientale e climatica, la repressione dei migranti, della diversità, della libertà di parola bruciano sulla pelle di tutti.
Volenti o nolenti sono il fondamento degli Stati Uniti, del suo popolo e della sua cultura. Che piaccia o meno, non sono il millenarismo messianico né il populismo iperaccelerato la cifra di questa nazione. Ma nemmeno la Reganomics o il laissez faire clintoniano.
Il prossimo anno si festeggeranno i 250 anni dell’indipendenza statunitense. Entro questa importante celebrazione toccherà a cittadini e cittadine USA dimostrare che non hanno guardato dall’altra parte ma hanno saputo reagire al trumpismo con la stessa forza che mostrarono per l’indipendenza, per l’abolizione della schiavitù, per la lotta per i diritti civili, per le battaglie per l’ambiente. Dimostrare che esiste ancora, al netto del capitalismo, una forza sociale statunitense. Prendendo atto che l’eccezionalismo americano è finito, e il futuro risiede nel multilateralismo e in un’economia sostenibile e di transizione.
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In copertina: Official White House Photo by Joyce N. Boghosian, via Flickr