Il ragionamento è il seguente: la Sicilia è l’avamposto italiano verso il Medioriente e l’Africa del Nord, va protetta con uomini e mezzi e questi uomini e questi mezzi devono poterci arrivare, in fretta. Quindi in quest’ottica, il Ponte sullo Stretto diventa un’opera strategica per la difesa del paese e può rientrare in quell’impegno economico che sarà preso nel vertice della NATO del 24-25 giugno, durante il quale il segretario generale Mark Rutte proporrà il nuovo piano di investimenti, ampiamente anticipato a grandi linee in un vero e proprio tour che sta facendo in Europa e che ieri ha toccato Roma: la richiesta della NATO è di aumentare le spese della difesa al 5% del PIL nazionale.
E qui rientra il Ponte: con il ragionamento sopra esposto, che figura in una bozza che abbiamo potuto visionare, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini vorrà includerlo tra le spese in aumento della difesa. Negli scorsi due giorni l’idea è stata esposta ufficiosamente, fatta circolare nei palazzi e tra la stampa, ha raccolto tutte le possibili reazioni nel tentativo di farla digerire all’opinione pubblica come se fosse uno step già percorso e deciso. Ma non è proprio così. Vediamo perché.
L’Italia aumenterà le spese militari
In una Roma bollente, ieri mattina, 12 giugno, il segretario generale della NATO è stato accolto a Palazzo Chigi con tutti gli onori. Un vertice con la premier Giorgia Meloni che ha avuto al centro proprio il tema della spesa per la difesa. Il governo italiano ha promesso di aprire i cordoni della borsa e di essere generoso ma di aver bisogno di più tempo.
Si arriverà quindi al 5% ma non subito. Servono “dieci anni”, ha dettagliato il ministro degli esteri Antonio Tajani, parlando per Forza Italia che sta in questi giorni mettendo i bastoni tra le ruote all’alleato leghista. Alcuni – pochi – numeri emergono dai membri della Commissione difesa alla Camera: si tratterà del 3,5% per spese dirette in difesa e 1,5 per quelle legate alla sicurezza, come protezione delle frontiere e sicurezza informatica. E il Ponte, quindi.
I numeri differiscono non poco a seconda di chi li elenca, anche perché documenti ufficiali ancora non esistono: secondo i conti di Tajani si tratta di 145 miliardi l'anno con incrementi annui dello 0,3% del PIL cioè 8-9 miliardi in più ogni anno.
Una parziale smentita arriva, poche ore dopo, al question time in Senato, dal ministro della difesa, Guido Crosetto: “L'obiettivo del 5% è impossibile da raggiungere e per questo l'Italia propone di arrivare al 4% sempre nel 2035, arrivando quindi a circa 115 miliardi l'anno con incrementi annui dello 0,2% del PIL che significano 6-7 miliardi in più ogni anno”. Poi rassicura: “L'Italia non ha ancora concordato formalmente o informalmente un aumento del 5%, è una proposta statunitense. Questo aumento non viene da una volontà bellicistica dell'Europa o della NATO, ma dalle mutate condizioni che sono in corso nel mondo”.
Quanto costerà all’Italia aumentare le spese militari
In ogni caso sarebbero 300 o 400 miliardi di spesa in più per i prossimi dieci anni rispetto ai circa 500 miliardi che si spenderebbero restando al 2% del PIL fino al 2035. Tre volte la spesa sanitaria annua del paese. E, a proposito di questo, nel mondo politico il dibattito è acceso perché nessuno sa se ci saranno iniezioni “esterne” di fondi, leggi alla voce “bilancio europeo”.
Sicuramente una bella fetta dovrà essere reperita all’interno dei confini di casa nostra andando a pesare su altri settori: AVS e M5S sottolineano che incideranno su scuola, sanità, istruzione e soprattutto transizione ecologica.
“Significa 132 miliardi di euro all’anno in armi, missili, carri armati e tecnologie belliche”, spiega Angelo Bonelli. “Un colpo mortale al nostro welfare. Una scelta criminale, mentre il paese affonda tra ospedali al collasso, scuole che cadono a pezzi, stipendi da fame e un’emergenza climatica ignorata.”
Difficile, se non impossibile, quantificare i tagli in questa fase, ma la certezza riguarda la “coperta” del Bilancio dello stato: risicata e poco espandibile. Le sottrazioni andranno effettuate, ma in quale direzione sceglierà di andare il governo per finanziare la spesa militare e infrastrutturale lo scopriremo nei prossimi mesi. Rutte sostiene la linea dello split, infatti il 5% andrebbe così diviso: 3,5% per capacità militari, più un 1,5% aggiuntivo per infrastrutture e cyber-difesa. E qui rientra il Ponte.
Il Ponte sullo Stretto di Messina come spesa militare
In questa fase il progetto del Ponte deve superare due ostacoli: i fondi e il permitting, inclusi i controlli. Da un iniziale stanziamento di 12 miliardi, il costo complessivo è salito a circa 13,5 miliardi di euro, calcolati sulla base del DEF 2024. Circa 6,962 miliardi provengono dal bilancio statale; 4,6 miliardi dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) centrale; 1,6 miliardi dal FSC per Sicilia e Calabria; 370 milioni dalla Stretto di Messina S.p.A. Costi che però sono destinati a salire e che attualmente non hanno ulteriori coperture, mentre in tutta questa incertezza manca ancora un progetto esecutivo.
Poter inserire l’opera in quelle strategiche rientranti nel computo NATO appare una forzatura ma anche un barlume di soluzione per il ministro Salvini che si è impegnato a costruirlo, letteralmente, a tutti i costi. Il Ponte è stato già inserito nelle infrastrutture strategiche nel disegno di legge per la conversione del decreto-legge 21 maggio 2025, n. 73.
Ponte sullo Stretto, i problemi del contratto senza gara
Abbiamo ascoltato Giuseppe Busia, presidente dell’ANAC, che proprio di recente, il 9 giugno, è stato audito presso le Commissioni trasporti e ambiente della Camera. L’ANAC ha espresso forti perplessità sulla procedura di riattivazione del contratto con Stretto di Messina S.p.A. senza gara, sollevando possibili violazioni delle norme europee in materia di concorrenza.
Viene contestata la scelta di aggiornare il valore dell’opera (8,5 miliardi) sulla base di un atto programmatorio del 2012 (il DEF), non riconosciuto come base contrattuale. Inoltre la norma europea limita al +50% le modifiche contrattuali post-aggiudicazione. In questo caso, si supera ampiamente il tetto.
“L’aver deciso di non svolgere una nuova gara in coincidenza della riattivazione del percorso per la costruzione del Ponte sullo Stretto pone dei vincoli sui costi dell'opera: questi, infatti, non possono crescere oltre il 50% del valore originariamente messo a gara. Ciò, in base alla direttiva europea, che in certi casi consente di non attivare una nuova procedura concorrenziale, ma entro tali limiti”, sostiene Busia, che quindi in audizione ha auspicato che il governo chieda e ottenga un parere formale dalla Commissione europea per evitare contenziosi futuri.
Il presidente dell’ANAC non usa mezzi termini: “L’esigenza di non superare il limite di costi si lega all'ulteriore problema connesso col fatto che a oggi non esiste un progetto esecutivo che aiuti a individuare puntualmente gli oneri economici, e si è inoltre previsto che lo stesso sarà approvato non unitariamente, ma per fasi, con riferimento a diverse componenti dell'opera. Questo rende ancora meno facile prevedere quali siano i costi e, se anche venisse accolta l'interpretazione della direttiva più favorevole, non avremmo oggi sufficienti elementi per rassicurare sul mancato superamento della soglia di costo calcolata sulla base del 2012. Per tale ragione sarebbe fondamentale predisporre il progetto esecutivo in modo unitario e usando la modellistica digitale. Sappiamo che spesso i costi crescono anche dopo l’approvazione del progetto esecutivo, ma evidentemente, se non si ha neanche questo, l’incertezza sul quadro finanziario è molto superiore”.
Poi il capitolo controlli: “Occorre rafforzare le verifiche antimafia, come anche il Governo si è impegnato a fare, prevedendo tali controlli nel decreto, come pure l’indicazione della digitalizzazione dei cantieri, utile non solo a evitare che vi si introducano soggetti legati alla criminalità organizzata, ma anche ad accrescere le garanzie per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.
“Uno scudo giuridico che aggirerebbe le critiche dell’ANAC”
Nel documento rilasciato in coda all’audizione, l’ANAC critica anche la scelta del collegio consultivo tecnico come organo di risoluzione delle controversie: si propone di sostituirlo con pareri vincolanti di Avvocatura dello stato o Consiglio di stato.
Una nostra fonte molto qualificata all’interno della Commissione Valutazione impatto ambientale del Ministero dell’ambiente tira le fila sul ragionamento e sul vantaggio a inserire il Ponte tra le opere strategiche anche per la sicurezza militare: “Potrà essere utile”, ci dice, volendo restare anonima, “aggirare alcune procedure standard del Codice dei contratti (come VIA, VAS e dibattito pubblico), come già contestato dall’ANAC, per applicare regimi speciali o derogatori (es. ex art. 6 del Codice, o norme emergenziali) per semplificare e accelerare autorizzazioni, espropri e affidamenti; per mantenere alcune informazioni riservate, giustificate da esigenze di sicurezza, riducendo il controllo pubblico e parlamentare”.
“In poche parole”, ci viene detto, “questa classificazione sarebbe uno scudo giuridico che aggirerebbe le critiche dell’ANAC”.
In copertina: Giorgia Meloni e Mark Rutte © Palazzo Chigi