Paperon de’ Paperoni possiede nel suo mitico deposito tre ettari cubici di monete. Ma anche l’Italia ha un vero e proprio tesoro: la bellezza di 2.452 tonnellate d'oro, per un valore che ha raggiunto la cifra record di 198 miliardi di euro nel 2024, con un balzo del 34,4% in un solo anno.
È la terza riserva aurea più grande al mondo, dopo quella degli Stati Uniti e quella della Germania. Ma c’è un dettaglio che non tutti conoscono: quasi la metà di questo patrimonio nazionale non si trova in Italia, come ci si aspetterebbe, ma negli Stati Uniti, e precisamente nei caveau del leggendario Fort Knox.
E c’è chi pensa che forse in questa fase di rapporti difficili con Donald Trump, un personaggio che volendo potrebbe anche farsi venire in mente qualche strana idea, sarebbe il caso di riportarlo in casa nostra. O almeno: la pensava così nel 2019 persino Giorgia Meloni, allora esponente dell’opposizione.
Anche un gruppo di economisti e studiosi che ha pubblicato di recente una lettera aperta la pensa così. Tra questi, il professore emerito dell’Università La Sapienza Nicola Acocella, lo storico Luciano Canfora, Giovanni Dosi, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Andrea Fumagalli dell’Università di Pavia, Mauro Gallegati dell’Università Politecnica delle Marche, Ruggero Paladini dell’UnitelmaSapienza, Gianfranco Viesti dell’Università di Bari e Marco Vitale, presidente della Vitale Zane & Co.
Dove si trovano le riserve auree dell’Italia
Ma facciamo un passo indietro e vediamo la geografia dell'oro italiano, che racconta una storia complessa. Il 44,86% del totale è infatti custodito nei muniti e protetti sotterranei della Banca d'Italia in Via Nazionale a Roma, cosa di cui forse nemmeno molti romani sono consapevoli.
Va detto che questa immensa ricchezza nemmeno occupa tantissimo spazio: lingotto più lingotto meno, sono mille o più tonnellate che potrebbero entrare in un cubo con lati di poco meno di 20 metri. Merito dell'incredibile densità, fattore che (naturalmente) insieme alla rarità e alle capacità fisiche, ha reso l’oro così importante e concupito come mezzo per conservare la ricchezza.
E il resto del nostro patrimonio? Il 43,29% riposa nella fortezza di Fort Knox, nello stato del Kentucky, 40 chilometri a sud-ovest di Louisville, sulla sponda sinistra del fiume Ohio. Quello che avanza è diviso tra Regno Unito (5,76%) e Svizzera (6,09%). L'oro italiano, tra lingotti (95.493) e monete (871.713 pezzi), rappresenta circa il 70% delle riserve totali del paese, una percentuale particolarmente alta rispetto alla media mondiale. Un patrimonio che si è formato nel corso di oltre 120 anni di storia della Banca d'Italia, attraverso fusioni bancarie, acquisti durante il boom economico e gestione oculata delle riserve. Ma perché conservare così tanto oro e, soprattutto, perché tenerlo all'estero?
Perché una parte dell’oro italiano è negli USA
Nonostante l'abbandono del gold standard nel 1971, quando gli Stati Uniti decisero di sganciare il dollaro dall'oro, il metallo prezioso continua a rappresentare un fondamentale "bene rifugio", una garanzia di stabilità in tempi incerti.
Le riserve auree servono infatti a diversi scopi: rafforzano la fiducia nella solidità finanziaria di uno stato, proteggono dall'inflazione e dalle svalutazioni valutarie, e possono essere utilizzate come garanzia in situazioni di necessità. Non è un caso che nel 1976 l'Italia abbia utilizzato proprio il suo oro come collaterale per un prestito vitale dalla Bundesbank tedesca, evitando così il default. In situazioni estreme (guerre, sanzioni, collassi finanziari), è un asset facilmente liquidabile e accettato ovunque, garantendo una forma di pagamento affidabile quando le valute tradizionali perdono valore o accessibilità.
Detto questo, la “colpa” del fatto che il nostro oro si trovi negli USA è della guerra e del fascismo. L’Italia, uscita distrutta e sconfitta dal secondo conflitto mondiale, dovette ricostruire non solo la propria economia e fare delle scelte di campo internazionale. Il trasferimento di una parte delle riserve auree risale agli accordi di Bretton Woods del 1944, che ha visto diversi stati unirsi in una strategia comune per limitare le crisi economiche globali. Contestualmente, i tassi di cambio delle valute sono stati legati al valore del dollaro (a sua volta legato all’oro), ritenuto più stabile e affidabile.
Va da sé che un paese annichilito come l’Italia, che aveva bisogno di cominciare la ricostruzione e mancava di cibo, facendo la scelta di aderire al Piano Marshall e all’alleanza occidentale doveva dare garanzie di fedeltà geopolitica, come la consegna di una bella fetta delle proprie riserve. Stesso discorso per la Germania, che ha un terzo delle sue negli Stati Uniti. Poi, nel 1971, la presidenza di Richard Nixon decise di porre fine alla convertibilità del dollaro in oro, ma le riserve italiane vennero comunque lasciate negli States per una questione geopolitica e di consuetudine.
Riportare le riserve auree in Italia
Ma ora non avrebbe più senso riportare l’oro a casa con un Trump che è sempre più ostile e instabile? Del resto, nel 2013 la stessa Germania ha provveduto a rimpatriare circa 674 tonnellate di oro dagli Stati Uniti e dalla Francia. Nei mesi scorsi il Tycoon ha fatto numerose dichiarazioni inquietanti: contro l’indipendenza della Federal Reserve, contro l’Europa rea di bidonare gli USA nel commercio internazionale, e ha addirittura messo in dubbio − sulla falsariga di una campagna delle aree più folli e cultiste del mondo MAGA − la stessa presenza dell’oro a Fort Knox.
La Banca d’Italia spiega che la scelta di diversificare geograficamente le riserve auree risponde a una strategia di minimizzazione dei rischi. Via Nazionale chiarisce ufficialmente che “l’oro dell’Istituto è custodito prevalentemente nei caveau della Banca d'Italia e in parte presso alcune banche centrali. Tale scelta deriva, oltre che da ragioni storiche, legate ai luoghi in cui fu acquistato, anche da una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l'oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo”.
Ma come facciamo a essere sicuri che l’oro all’estero sia dove deve stare? “Le verifiche sull'oro detenuto all’estero sono effettuate sulla base delle attestazioni rilasciate annualmente dalle banche centrali depositarie”, informa Bankitalia, e se volessimo verificare con le controparti, “peraltro già dichiaratesi disponibili in tal senso”, bisognerebbe seguire “procedure concordate con le medesime, tendenti ad assicurare la massima riservatezza e sicurezza dell'ispezione”. Ma quel che più conta, dice la Banca, è che “al momento, l’attuale allocazione geografica delle riserve risulta adeguata e, pertanto, non sono previste ricollocazioni di oro”.
Non sono d’accordo gli economisti e gli studiosi firmatari dell’appello. “Riteniamo che non esista più alcuna valida ragione per la quale l’oro di proprietà di Banca d’Italia continui a essere stoccato in un paese straniero, anche se considerato amico e alleato”, scrivono.
Le ragioni storiche, come gli accordi di Bretton Woods del 1944 ormai non sussistono più, e “la necessità di trasferire l’oro in Italia è tanto più urgente considerando la grande incertezza che esiste nella sfera geoeconomica e geopolitica globale, anche tra nazioni amiche e alleate. È noto che attualmente l’indipendenza della Federal Reserve è sempre più contestata – a torto o a ragione – dall’amministrazione statunitense, in una situazione in cui il prezzo dell’oro è salito rapidamente – tanto che è diventato il secondo strumento di riserva delle banche centrali dopo il dollaro, ma prima dell’euro – e il valore del dollaro è invece sempre più incerto. Nell’attuale contesto di complessiva incertezza e di negoziazione tra le parti riteniamo che sia compito di un governo responsabile riportare in Patria l’oro attualmente stoccato negli Usa”.
Nel 2019, l'allora leader dell'opposizione Giorgia Meloni chiedeva a gran voce il "rimpatrio immediato dell'oro italiano". Oggi, da premier, mantiene (forse inevitabilmente) un profilo più cauto, consapevole della delicatezza dei rapporti con Washington. Ma la questione resta aperta: è davvero sicuro mantenere quasi metà delle nostre riserve auree sotto il controllo statunitense?
In copertina: foto di Jingming Pan, Unsplash