In Sud America la tutela dell’ambiente e la transizione ecologica continuano a scontrarsi con le politiche estrattiviste, percepite come modalità preferenziale per la crescita dell’economia. Un esempio è l’Ecuador, dove il presidente Daniel Noboa ha ufficialmente abolito il Ministero per l’ambiente, le cui funzioni verranno accorpate a quello dell’energia e delle miniere. Una scelta che ha destato molte critiche, dato che rischia di generare un conflitto di interessi.

Il ministero dell’energia del governo di Quito, infatti, punta sul petrolio, nonostante l’Ecuador sia stato terreno di numerosi scontri per i diritti della natura e delle popolazioni indigene locali. L’interesse per l’ambiente, però, diminuisce, mentre cresce quello per le politiche estrattiviste, non solo in Ecuador ma anche in altri paesi sudamericani, tra cui il Brasile.

L’abolizione del Ministero per l’ambiente

Lo scorso giovedì 24 luglio il presidente ecuadoriano Noboa, rieletto ad aprile di quest’anno, ha firmato un ordine esecutivo che prevede un’ampia revisione della pubblica amministrazione, abolendo sei dei venti ministeri che componevano il governo. L’obiettivo dichiarato è garantire più efficienza nella pubblica amministrazione, ma di fatto questa scelta si tradurrà in cinquemila licenziamenti immediati e nell’accorpamento delle funzioni di diversi ministeri. Tra questi, quello dell'ambiente, dell'acqua e della transizione ecologica (MAATE), ora diventato parte del Ministero dell'energia e delle miniere. L’unione, però, implica che la protezione dell’ambiente dipenderà dalla stessa entità che porta avanti attività estrattive, in particolare nel settore minerario e petrolifero.

A questo proposito, l’organizzazione WWF Ecuador ha chiesto formalmente di preservare l’autonomia del MAATE, sottolineando che “solo attraverso questa indipendenza è possibile garantire la prevalenza del bene comune, l'effettiva tutela dei diritti della natura (art. 73) e la rigorosa applicazione del principio di precauzione di fronte ad attività con potenziale irreversibile per gli ecosistemi. Questo approccio è essenziale per rispettare lo spirito e la lettera della Costituzione.” Una Costituzione che, peraltro, è la prima al mondo a riconoscere diritti inalienabili alla natura, denominata Pachamama (in lingua quechua “madre Terra”).

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Le ragioni dietro la scelta dell’Ecuador 

La scelta di accorpare i ministeri faciliterà l’approvazione di nuove licenze per prelevare minerali, petrolio e gas naturale, a discapito del loro impatto ambientale. Questa misura risulta in linea con gli impegni assunti dall’Ecuador con il Fondo monetario internazionale (FMI), in base al quale il governo, in una recente revisione dell’accordo pubblicata il 21 luglio 2025, si è impegnato a promuovere riforme fiscali e strutturali per attrarre investimenti privati in settori considerati ad “alto potenziale” come quello minerario, degli idrocarburi e dell'energia.

Tuttavia, questi investimenti mettono a rischio territori considerati scrigni di biodiversità, spesso abitati da comunità indigene. Cresce la preoccupazione per un possibile aumento dei conflitti socioambientali, anche se non sono passati nemmeno due anni da quando cittadini e cittadine dell’Ecuador approvarono uno storico referendum per lasciare il petrolio nel sottosuolo e tutelare così l’ecosistema e le popolazioni indigene del parco nazionale Yasuní in Amazzonia. La dissoluzione del MAATE potrebbe ora facilitare lo sviluppo di attività estrattive anche in queste aree protette.

Anche il Brasile investe nel petrolio

L’Ecuador non è l’unico stato sudamericano a puntare sul petrolio. A pochi mesi dalla COP30 (prevista a novembre 2025), il Brasile sta portando avanti una serie di decisioni controverse che minano la retorica ambientalista del presidente Lula. Il governo brasiliano, infatti, da un lato si presenta come alfiere dell’ambiente, promuovendo le rinnovabili e la decarbonizzazione. Dall’altro, però, sostiene progetti petroliferi, mostrando una problematica contraddizione interna.

Uno degli esempi più recenti di questa tensione riguarda la questione dell’estrazione petrolifera offshore nell’area della foce dei Rio delle Amazzoni. Una regione ricca di biodiversità marina e costiera, caratterizzata dalla presenza di mangrovie e barriere coralline, che verrebbe fortemente compromessa in caso di trivellazioni. Ciononostante, Petrobras, la compagnia petrolifera statale, ha ricevuto a maggio 2025 l’approvazione per effettuare trivellazioni esplorative a circa 160 chilometri al largo della costa amazzonica brasiliana.

Il permesso era stato inizialmente negato dall’istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (IBAMA), che tuttavia ha dato il consenso dopo il ricorso di Petrobras, sostenuto dallo stesso Lula. Il presidente, infatti, ha visto in questo progetto un’occasione per accrescere l’economia e l’indipendenza energetica del paese, nonostante i rischi ambientali. “Dobbiamo iniziare a pensare alle esigenze del Brasile. È un bene o un male per il Brasile? È un bene o un male per l'economia brasiliana?”, ha dichiarato Lula a Radio Clube do Para a febbraio, argomentando il suo supporto a Petrobras.

Le scelte di Brasile ed Ecuador evidenziano le contraddizioni a cui vanno incontro paesi estremamente ricchi di biodiversità, in cui però è ancora alta la dipendenza dai combustibili fossili. Eppure, le conseguenze dei cambiamenti climatici stanno già influenzando queste aree, soprattutto con devastanti siccità prolungate. Sta allora ai governi fare attente valutazioni tra i rischi e i benefici, per rispondere alle sfide dell’economia senza devastare la foresta Amazzonica.

 

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In copertina: foto Envato