Anche se il 60% delle aziende riconosce lo spreco di cibo come un problema, per meno di un quarto (24%) è una priorità elevata. Lo rivela un’indagine globale Viewpoint dell’ente di certificazione DNV, condotta nel giugno 2024 su un campione di 375 aziende del food & beverage distribuite tra Europa, Americhe e Asia. Inoltre, secondo lo studio, meno di un’azienda su tre è a conoscenza dello standard ISO 20001, di prossima introduzione, pensato proprio per guidare le organizzazioni nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari lungo tutta la filiera.

Lo spreco di cibo, però, non rappresenta un problema solo in termini di sostenibilità, ma anche di ricadute economiche. Ogni alimento sprecato, infatti, è sinonimo della perdita delle risorse e delle energie utilizzate per la sua produzione, preparazione, trasporto e confezionamento. L’indagine prova quindi a rappresentare come le aziende che lavorano in questo settore percepiscono questa criticità e quali strategie stanno portando avanti per contrastarla.

Perché si spreca il cibo

Le cause di questo fenomeno sono molteplici e possono essere rintracciate in fasi diverse della filiera. Pertanto, è utile precisare innanzitutto la differenza tra la perdita di cibo, che si verifica lungo la catena di approvvigionamento (prima della fase di vendita), e lo spreco alimentare, cioè quando gli alimenti idonei al consumo vengono consapevolmente scartati da chi dovrebbe venderli o consumarli.

Secondo il sondaggio, non è possibile rintracciare una sola motivazione per la perdita e lo spreco di cibo. Al primo posto si collocano le perdite durante operazioni di produzione (come taglio e riscaldamento), considerate la causa principale dal 35% delle persone intervistate. Seguono i problemi di qualità (34%), le criticità legate alle materie prime (33%), l’errore umano (33%) e la vita utile o la scadenza dei prodotti (30%). Inoltre, ben il 22% indica esplicitamente l’inefficienza dei processi come motivo principale.

Evitare lo spreco

Il 30% del campione intervistato dichiara che potrebbe essere evitata solo una minima parte delle perdite e degli sprechi alimentari totali. Al contrario, una percentuale quasi equivalente (28%) ritiene che si potrebbe evitare oltre il 60% dello spreco. Lo studio testimonia quindi un quadro di luci e ombre, in cui solo una parte delle aziende è consapevole della possibilità di miglioramento.

“La perdita e lo spreco di cibo rappresentano una sfida per la sostenibilità, ma anche una mancata opportunità di business”, sostiene Barbara Frencia, CEO Business Assurance di DNV. “Secondo i nostri dati, le aziende riconoscono l’entità del problema, ma molte sono ancora all’inizio di un percorso verso soluzioni strutturate, più efficaci e sistemiche”.

Anche se il 43% delle imprese riconosce che oltre il 10% delle perdite e degli sprechi alimentari inevitabili potrebbe essere valorizzato attraverso altri impieghi, solamente il 19% li trasforma in altri alimenti, mentre il 18% li destina all’alimentazione animale, il 12% al compostaggio, il 7% alla produzione di energia e il 5% li dona. Il 12%, invece, li getta in discarica.

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La necessità di una strategia più strutturata

Tra i maggiori ostacoli a una gestione più efficace del problema, emerge la scarsa consapevolezza e formazione (23%), le limitazioni legate alla vita a scaffale (22%), la difficoltà di bilanciare sicurezza alimentare e riduzione delle perdite e degli sprechi (21%) e una previsione inaccurata della domanda (21%).

Queste criticità evidenziano la mancanza di una strategia di prevenzione strutturata e di obiettivi definiti. Mentre quasi la metà degli intervistati (44%) afferma che le proprie aziende dispongono di un sistema per ridurre efficacemente le perdite e gli sprechi alimentari, il 23% dichiara infatti di avere un sistema, ma non standardizzato. L’incapacità di monitorare adeguatamente i processi rallenta quindi la possibilità di intervenire in modo efficace per ridurre perdite e sprechi sul lungo termine.

La reportistica per contrastare perdite e sprechi

Il 75% delle aziende ha integrato la perdita di cibo e lo spreco alimentare nelle proprie strategie di sostenibilità, ma solo il 40% li rendiconta pubblicamente. Tra questi, il 57% li riporta utilizzando Excel, il 32% con software interni e il 10% con software interni. Tuttavia, il 30% registra ancora dati su carta. Questo evidenzia ampie opportunità di digitalizzazione del processo di rendicontazione, che potrebbero migliorare l’accuratezza nella raccolta dei dati e ottenere una visione più completa.

“Emerge una chiara motivazione di business per prendere decisioni incisive contro la perdita e lo spreco di cibo, in quanto questo consente di ridurre i costi oltre a contribuire a nutrire il pianeta. Un approccio strutturato, dati affidabili e standard basati su buone pratiche sono elementi fondamentali per permettere alle aziende di trasformare le intenzioni in un impatto misurabile”, conclude Frencia.

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