Ogni anno, in Italia, vengono prodotte circa 260.000 tonnellate di olio alimentare esausto, una frazione sorprendentemente alta della quale – circa i due terzi – proviene dalle cucine delle abitazioni private. Eppure, nonostante la pericolosità ambientale di questo rifiuto, meno del 10% dell’olio esausto domestico viene correttamente raccolto, secondo i dati del CONOE, il Consorzio nazionale raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti.

Si tratta di un problema ambientale poco visibile, ma enorme. Come spiega anche il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, un solo litro d’olio è in grado di contaminare un milione di litri d’acqua. Se smaltito nel lavandino o nel WC – pratica ancora troppo diffusa – l’olio esausto non si degrada, compromette le falde acquifere, danneggia il suolo, ostacola la depurazione delle acque reflue e ostruisce le tubature domestiche.

Eppure, secondo un’indagine condotta da Altroconsumo su un campione di mille cittadini, la consapevolezza delle corrette modalità di smaltimento è ancora molto bassa. In particolare, emergono due ostacoli chiave: la mancanza di informazioni chiare sui siti istituzionali e la scarsa accessibilità ai punti di raccolta, spesso lontani, mal segnalati o inesistenti.

Secondo ISPRA, la media nazionale di raccolta dell’olio domestico è di soli 0,24 litri per abitante all’anno. A Milano, per esempio, AMSA rileva che ogni cittadino produce circa 3 kg di olio esausto, ma solo un quarto finisce nei centri di raccolta. A Torino, le 1.000-1.500 tonnellate annue prodotte si riducono a una minima percentuale correttamente smaltita. A livello nazionale, secondo ARPAV, solo il 13% dell’olio esausto viene effettivamente gestito nel modo corretto.

Olio esausto, un potenziale enorme per l’economia circolare

Il mancato recupero dell’olio esausto rappresenta non solo un problema ambientale, ma anche un’occasione mancata per l’economia circolare. Se correttamente raccolto, infatti, questo rifiuto può trasformarsi in risorsa: circa il 90% dell’olio alimentare esausto raccolto in Italia viene convertito in biodiesel, un carburante rinnovabile che può sostituire o integrare i combustibili fossili.

Ma gli oli esausti possono essere impiegati anche per produrre saponi, biolubrificanti, cosmetici, inchiostri e cere industriali. Secondo il CONOE, se tutto l’olio esausto generato ogni anno nel paese fosse recuperato e trasformato, si eviterebbero fino a 790.000 tonnellate di CO₂ equivalente e si risparmierebbero circa 282.000 metri cubi di acqua.

Tuttavia, a oggi, l’Italia continua a sprecare questa opportunità a causa della carenza strutturale di raccolta e informazione. A livello normativo, esiste inoltre una forte discrepanza tra la gestione degli oli esausti professionali e domestici. Mentre i primi – gravati da un contributo ambientale – raggiungono percentuali di raccolta vicine al 100%, i secondi restano fuori da un sistema organizzato e stabile.

Il ruolo del CONOE e la necessità di un cambio sistemico

A chiedere una svolta è direttamente il presidente del CONOE, Tommaso Campanile, che evidenzia come il gap nella gestione dell’olio esausto domestico sia oggi inaccettabile: “L’indagine conferma la necessità di aumentare il livello di conoscenza e consapevolezza dei cittadini riguardo alla corretta gestione degli oli e grassi esausti e al contempo aumentare la disponibilità dei punti di raccolta sul territorio nazionale”.

Il CONOE è già operativo nella gestione degli oli professionali, ma per intervenire efficacemente in ambito domestico ha bisogno di stringere accordi specifici con i comuni, in assenza di un contributo ambientale che regoli questa parte del settore. Da qui l’appello, condiviso anche da Altroconsumo, per l’introduzione di standard minimi nazionali che garantiscano un numero adeguato di punti di raccolta proporzionato alla popolazione, distanze massime ragionevoli tra abitazioni e centri di raccolta, obiettivi e indicatori di performance trasparenti e monitorabili.

Questi strumenti normativi permetterebbero di passare da un sistema frammentato e disomogeneo a una rete nazionale coordinata ed efficiente, in grado di promuovere la raccolta dell’olio esausto come una prassi diffusa e non un’eccezione.

Educazione, prossimità e visione a lungo termine

Per invertire la rotta, è necessario intervenire anche sul piano culturale. L’inchiesta di Altroconsumo rivela che una parte significativa dei cittadini ignora non solo dove conferire l’olio esausto, ma anche perché farlo. Le azioni proposte partono dalle scuole – per formare i cittadini del futuro – e puntano a distribuire contenitori domestici dedicati, come piccoli bidoni o imbutini, accompagnati da informazioni pratiche e visive.

Accanto a questo, serve una maggiore prossimità dei servizi di raccolta: esperienze virtuose come quelle di Roma (con raccolta nelle scuole), Milano (nei supermercati), Bari (nelle parrocchie) e Genova (con una rete capillare) dimostrano che quando il servizio è comodo e visibile il conferimento aumenta.

Il CONOE si dice pronto a giocare un ruolo attivo, mettendo a disposizione la propria esperienza nella raccolta professionale anche per le utenze domestiche, ma la sfida è sistemica: serve una visione condivisa tra enti locali, cittadini e consorzi per costruire un modello nazionale, all’altezza della gravità ambientale in gioco e del potenziale economico ancora inespresso.

 

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In copertina: immagine Envato