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In Italia il Consorzio nazionale oli esausti (CONOE) è un attore centrale nella gestione circolare degli oli e grassi vegetali e animali esausti. Istituito in base all'articolo 233 del Testo unico ambientale, il sistema CONOE coordina sul territorio nazionale la raccolta, il riciclo e la rigenerazione degli oli vegetali, riducendo il ricorso a materie prime vergini.
Oggi per CONOE il principale mercato di sbocco per il materiale recuperato (oltre il 90%) è la produzione di biodiesel, che può essere utilizzato in sostituzione o miscelazione ai carburanti di origine fossile, in ottica di sicurezza energetica e riducendo il contributo di emissioni di anidride carbonica nel settore dei trasporti.
Nel 2023, grazie al lavoro del Consorzio, sono stati risparmiati 30 milioni di euro sulla bolletta energetica nazionale, cifra che sale a 280 milioni se si considerano gli ultimi dieci anni. Tuttavia, le recenti politiche regolatorie hanno avuto un impatto negativo sul mercato dei biocarburanti, riducendo la domanda di FAME (Fatty Acid Methyl Ester), tradizionalmente prodotto dagli oli esausti, a favore dell’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), un biocarburante derivato dall’olio di palma (POME). Un cambiamento inaspettato, che non valorizza la filiera italiana di raccolta e rigenerazione degli oli esausti, che già deve affrontare sfide globali.
Oli esausti, un mercato non solo nazionale
Il mercato europeo degli oli esausti (UCO) sta affrontando sfide complesse legate a dinamiche internazionali. “Occorre distinguere tra due direttrici differenti. La prima riguarda l’importazione di UCO (Used Cooking Oil) dal Far East asiatico, che entra in diretta competizione con l’UCO raccolto sul territorio UE o nazionale”, spiega a Materia Rinnovabile Tommaso Campanile, presidente del CONOE. “Questo rappresenta una questione critica, poiché attorno alle importazioni di UCO dai paesi asiatici emergono sospetti di contraffazione della natura del materiale, che spesso non corrisponde ai requisiti di un vero rifiuto. Ciò crea squilibri sul mercato, riducendo il valore economico dell’UCO raccolto localmente.”
Per Campanile, il secondo aspetto è legato alla relazione tra UCO e POME (Palm Oil Mill Effluent). La Direttiva RED III, in base agli allegati previsti, ha introdotto il POME tra le feedstock utilizzabili per la produzione di biocarburanti avanzati, come l’HVO. “Questo conferisce al POME una sorta di ‘superiorità’ normativa rispetto all’UCO, che viene considerato un materiale meno nobile. Si tratta di un evidente deficit regolatorio che ha portato, di fatto, a un aumento delle importazioni di POME e a un minore utilizzo dell’olio di frittura. In sintesi, per raggiungere gli obiettivi di miscelazione, la possibilità di importare POME a costi inferiori rispetto all’UCO favorisce questa scelta. Di conseguenza, si tende a importare POME in grandi quantità, limitando l'acquisto di UCO al minimo indispensabile. Il POME è considerato uno scarto della lavorazione dell’olio di palma, ma le quantità in circolazione non sembrano proporzionate al volume di olio di palma commercializzato ogni anno a livello globale. Questo squilibrio lascia intendere che possa non essere semplicemente un residuo di lavorazione.”
Il quadro italiano
In Italia, il recente Decreto ministeriale 343/23 ha introdotto incentivi per l’HVO, prodotto da POME, riducendo la domanda di FAME, tradizionalmente prodotto dagli oli esausti nazionali. Secondo CONOE, l’effetto di questa politica è stimato in una riduzione di 600.000 tonnellate di FAME, limitando così il mercato degli UCO e mettendo a rischio la raccolta e rigenerazione locale. Un sistema, che nel caso di CONOE è frutto dell’impegno di oltre 600 aziende distribuite in tutto il paese, con circa 5.300 addetti coinvolti e che comprende settori come la ristorazione, con oltre 200.000 aziende che forniscono gran parte degli oli esausti raccolti.
“Negli ultimi mesi abbiamo valutato la situazione e presentato proposte di legge per correggere le disparità tra i diversi materiali, soprattutto tra i rifiuti, suggerendo di introdurre delle premialità specifiche sull’utilizzo dell’UCO rispetto ad altre feedstock, sia nel caso in cui venga destinato alla produzione di FAME che di HVO”, sottolinea Campanile.
Il problema non riguarderebbe, infatti, solo la competizione tra materiali, ma anche il rispetto degli impegni regolatori, tra cui il l’ultima versione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), che considera proprio i biocarburanti tra i pilastri della transizione energetica e l’UCO come una delle feedstock da privilegiare nella loro produzione.
“I principi della vera economia circolare dovrebbero privilegiare i prodotti nazionali ed europei, per poi eventualmente ricorrere a quelli importati”, aggiunge Campanile. “Al contrario, attualmente si favorisce il materiale estero a scapito di quello europeo e nazionale, danneggiando l’economia e generando un impatto ambientale nell’eventualità di una mancata raccolta del rifiuto. Per rispettare i livelli stabiliti dalla regolamentazione nazionale sull’additivazione del gasolio con rifiuti regionali, i produttori italiani necessiterebbero di circa un milione di tonnellate di oli vegetali esausti, ma attualmente la raccolta si attesta su 100-150.000 tonnellate, costringendo quindi all’importazione di materiale estero.” Raccolta che CONOE si sta impegnando a incrementare, attraverso un nuovo accordo con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).
“I comuni italiani raccolgono mediamente circa 350-400 grammi di olio vegetale esausto per abitante, ma con uno sforzo organizzativo possiamo raddoppiare facilmente questa quantità di rifiuto domestico”, conclude Campanile. Se questo obiettivo fosse raggiunto, si potrebbero raccogliere fino a 250-300.000 tonnellate di rifiuto domestico. Combinando questo dato con il contributo delle attività professionali, si potrebbe arrivare a un totale di 400.000 tonnellate a livello nazionale.
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In copertina: foto di CONOE