C’è un paradosso che attraversa la transizione verso l’economia circolare: mentre l’interesse cresce, i risultati faticano a seguire. In ogni settore, dalla moda alla tecnologia, dal cibo all’edilizia, si moltiplicano i progetti pilota, gli esperimenti di riciclo e i nuovi modelli “as a service”. Ma pochi riescono a consolidarsi nel tempo. Molti falliscono, altri restano confinati a piccole nicchie.

È a questa difficoltà che la Ellen MacArthur Foundation (EMF) dedica il suo ultimo report, How not to fail: Avoiding 10 common pitfalls when scaling circular business models, che analizza più di trenta casi aziendali e individua i dieci ostacoli cruciali che bloccano la crescita dei modelli di business circolari. Secondo il rapporto non si tratta di limiti tecnologici, bensì di errori strategici, organizzativi e culturali che accomunano aziende di dimensioni e settori diversi.

“È allettante concentrarsi sui casi di successo delle aziende nell'economia circolare, ma questo mostra solo un lato della medaglia. Perché se ci limitiamo a celebrare le vittorie, perdiamo di vista le lezioni che rendono possibile il successo”, scrive nel rapporto Joe Murphy, Chief Strategy and Innovation Officer dell’EMF.

Perché scalare il modello è difficile

Il report parte da una constatazione semplice ma spesso ignorata: portare la circolarità su scala industriale è molto più difficile che sperimentarla. Nella fase pilota, i progetti vivono in ambienti protetti, sostenuti da fondi di innovazione, incentivi pubblici ed entusiasmo interno. Quando però arriva il momento di trasformarli in business sostenibili, emergono tensioni strutturali.

Uno dei dieci pitfall vede molte aziende non definire con chiarezza la propria ambizione. Alcune partono con obiettivi vaghi, altre si spingono troppo in avanti rispetto alle proprie capacità operative. La mancanza di limiti precisi e di un piano di crescita realistico porta a una dispersione di risorse e a una perdita di fiducia interna. In sostanza, la circolarità rischia di restare un esercizio retorico, più che una trasformazione concreta.

Il nodo della complessità organizzativa

I problemi non si fermano alla strategia. Un errore sistematico è quello di sottovalutare la complessità operativa dei modelli circolari. Riutilizzare prodotti, gestire flussi inversi di materiali, riparare o rigenerare componenti richiede infrastrutture nuove, sistemi di tracciamento, competenze specifiche. Molte imprese, abituate a catene del valore lineari, non possiedono ancora gli strumenti organizzativi o digitali per gestire questi processi.

La mancanza di dati affidabili, per esempio sulla durata dei prodotti o sulla loro condizione d’uso, compromette la redditività e impedisce di migliorare l’efficienza del modello. A questo si aggiunge un altro ostacolo: l’assenza di allineamento interno. Le logiche di vendita basate sul volume entrano in conflitto con i reparti che lavorano al riuso o alla manutenzione. Gli incentivi restano pensati per l’economia lineare, non per la circolarità.

Come racconta Yann Carré, Leader of Circular Business Models di Decathlon, “è necessario accompagnare questo cambiamento all'interno dell'organizzazione. Per il venditore, ciò rappresenta un cambiamento enorme: ‘Perché dovrei affittare qualcosa a 12 sterline al mese quando posso venderlo una volta sola a 200 sterline, e come verrà incluso nella mia busta paga come parte del mio bonus basato sulle performance?’. Il potere di 200 sterline rispetto a 12 sterline: questo tipo di cose deve essere considerato fin dall'inizio, perché è necessario assicurarsi che il programma di incentivi promuova nuovi modelli di business, dato che non si può chiedere a un venditore di sacrificare il proprio bonus per amore dell'innovazione, anche se questa è positiva per il pianeta".

Convertire il valore in profitto

Anche la relazione con il mercato è tutt’altro che semplice. Secondo il report, molti modelli circolari falliscono perché non riescono a proporre un valore economico chiaro. Troppo spesso le aziende puntano tutto sulla narrazione ambientale, dimenticando che il cliente, sia esso consumatore o impresa, cerca prima di tutto convenienza, affidabilità e qualità. “Quando si parla di scalabilità, è fondamentale garantire una presenza costante nel percorso del cliente che generi traffico in modo coerente, senza dover disturbare il team di marketing per l'ennesima campagna”, ha affermato Sofia Gazzotti, Chief Commercial Officer di Reflaunt.

In altri casi, le imprese creano valore ma non sanno catturarlo: i benefici economici della circolarità si disperdono lungo la filiera, o dipendono da sussidi temporanei che ne minano la sostenibilità nel lungo periodo. Per superare questa logica, bisogna costruire modelli autosufficienti, in cui la sostenibilità ambientale e quella finanziaria si rafforzino a vicenda.

La circolarità come trasformazione culturale

Scalare un modello circolare, conclude il report, non è solo un problema tecnico ma culturale. Richiede di ripensare ruoli, competenze, processi decisionali. Non basta creare un reparto dedicato: serve una leadership capace di integrare la circolarità nella strategia complessiva dell’impresa, fino a farne un criterio guida per investimenti, innovazione e performance. Il rischio più grande è quello di relegare la circolarità a “progetto laterale”, privo di potere decisionale e di visione di lungo periodo. Solo quando la governance aziendale assegna priorità reale alla trasformazione con obiettivi misurabili e risorse dedicate, la circolarità può diventare parte del DNA aziendale.

Non esistono ricette universali. Ogni settore ha, certamente, i propri vincoli e opportunità: la gestione dei resi nella moda non è paragonabile al ricondizionamento dei componenti elettronici o al recupero dei materiali da costruzione. L’unica costante è la necessità di imparare attraverso iterazioni successive, accettando l’errore come parte del processo di apprendimento.

La transizione circolare stessa è una maratona gestionale. La sfida per le imprese è passare dall’innovazione all’istituzionalizzazione della circolarità. Le aziende che riescono a farlo non sono necessariamente le più creative, ma quelle che sanno tradurre l’idea in processi replicabili, sostenibili e coerenti con la propria identità economica.

Per passare dalla sperimentazione al consolidamento di un modello di business servono visione strategica, rigore operativo e la capacità di costruire partnership lungo l’intera catena del valore. Uno degli errori più comuni è, non a caso, quello di pensare di poter fare tutto da soli e collaborare in modo inefficace con organizzazioni esterne.

 

In copertina: foto di Tsuyoshi Kozu, Unsplash