Oltre 83.000 pescherecci solcano le acque del Mar Mediterraneo e del Mar Nero per calare le reti e catturare tonnellate di acciughe, sardine, naselli e gamberi rosa destinati alle tavole dei consumatori europei, dove la domanda di prodotti ittici continua a crescere.

Nonostante persistano timori sulla sostenibilità del settore, l’overfishing (o sovrapesca, la pesca eccessiva) è in diminuzione, e la biomassa degli stock commerciali presenti nei nostri mari mostra segnali di ripresa. Passando dal mare aperto all’allevamento, anche l’acquacoltura conferma la propria crescita: un comparto in forte espansione, con un giro d’affari che supera i 9 miliardi di dollari l’anno.

Questi sono solo alcuni dei dati emersi dalla sesta edizione del rapporto The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries 2025 (SoMFi, stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero), pubblicato a fine novembre dalla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) della FAO.

Stock ittici in miglioramento

“Gli stock non si trovano ancora nelle condizioni ottimali che auspichiamo, ma stanno iniziando a riprendersi grazie a misure di gestione guidate dalla scienza e a un forte coinvolgimento delle parti interessate”, ha affermato Manuel Barange, vicedirettore generale e direttore della Divisione della pesca e dell'acquacoltura della FAO.

Una decina d’anni fa l’88% degli stock ittici del Mar Mediterraneo e del Mar Nero risultava sovrasfruttato. Grazie all’attuazione di misure regionali e nazionali basate su evidenze scientifiche, a un maggiore coinvolgimento degli stakeholder e a una raccolta dati più capillare, la quota è scesa al 52%, il valore più basso mai registrato nella serie storica.

Dal 2013 la CGPM ha infatti adottato 11 piani di gestione, istituito altrettante zone di restrizione della pesca e avviato 18 programmi di ricerca e studi pilota a supporto dei processi decisionali, con l’obiettivo di rendere gli ecosistemi marini più resilienti e in salute.

Alcune specie, in particolare quelle soggette a piani di gestione mirati, hanno registrato capacità di recupero superiori alla media. È il caso della sogliola comune che nel Mar Adriatico dal 2019 ha visto aumentare la biomassa del 64% e ridurre la mortalità da pesca del 42%. Anche la triglia di fango mostra segnali positivi: la diminuzione della pressione di pesca avviata nel 2008 ha infatti favorito una sua ripresa.

Non tutte le specie, però, seguono la stessa tendenza. Gli stock di sardina, per esempio, restano in condizioni di sovrasfruttamento e continuano a evidenziare un calo della biomassa, mentre anche il nasello europeo non se la passa bene, con solo modesti segnali di recupero.

I risvolti economici

Un impegno, quello di CGPM, che non tutela soltanto l’ambiente, ma anche l’economia: il settore della pesca nella regione genera infatti più di 8 miliardi di dollari e dà lavoro, lungo l’intera filiera, a circa 750.000 persone. “Questi progressi si fondano su iniziative regionali quali la Dichiarazione MedFish4Ever e la Dichiarazione di Sofia e riflettono il forte impegno dei singoli paesi verso la sostenibilità”, ha dichiarato Milena Mihaylova, capa dell’Unità per la gestione della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero presso la Commissione europea. “Tuttavia, il lavoro non può dirsi concluso: saranno necessarie una collaborazione ancora più stretta e un’azione costante per garantire sostenibilità nel lungo periodo, anche sul piano sociale ed economico.” 

Nell’edizione di quest’anno del rapporto, realizzata con il contributo di 700 esperti, sono stati analizzati 120 stock ittici, contro i 45 presi in esame nel 2008, una cifra che dimostra l’impegno dei paesi nella raccolta e nell’analisi dei dati. Le specie più pescate restano i piccoli pesci pelagici, mentre in termini di valore economico nel Mar Mediterraneo spiccano sardine, gamberi rosa, naselli, acciughe europee e il polpo comune.

Quest’ultimo, un cefalopode sempre più richiesto, viene catturato con diverse tecniche, anche controverse, come quella che prevede l’impiego di trappole simili a barattoli di plastica posate sul fondale, che il polpo scambia per un rifugio. Un’attività che rappresentare una minaccia diretta per la sopravvivenza dei polpi, poiché permette numeri impressionanti di catture non lasciando loro nemmeno il tempo di riprodursi, e contribuisce anche all’inquinamento marino. Spostandosi più a est, nel Mar Nero, l’acciuga europea da sola rappresenta il 54% del valore totale delle catture.

Le diverse sfide del presente (e del futuro) della pesca

Nel complesso, il settore della pesca è rimasto relativamente stabile negli ultimi decenni e vede la Turchia come principale produttore, seguita dall’Italia. Tuttavia, il mondo della pesca deve fare i conti con costi energetici in aumento, che rendono le flotte industriali sempre più dipendenti dai sussidi, e con un progressivo invecchiamento della forza lavoro, aggravato dalla scarsa presenza di giovani. In metà dei paesi considerati, se si includono sia la pesca che l’acquacoltura, i lavoratori di giovane età rappresentano meno del 7% del totale.

Oltre alla pressione esercitata dalla pesca, gli stock ittici devono però fare i conti anche con gli effetti della crisi climatica, con l’inquinamento, in particolare quello da plastica, e con l’espansione delle specie aliene. Alcune arrivano dal Canale di Suez, favorite dall’aumento delle temperature marine; altre, come l’ormai celebre granchio blu originario della costa occidentale dell’Atlantico, vengono introdotte nei nostri mari attraverso le acque di zavorra delle imbarcazioni.

Per quanto riguarda invece il ruolo degli stati nel seguire le raccomandazioni della CGPM, “Negli ultimi dieci anni, la CGPM ha adottato numerose decisioni, e una delle principali sfide è capire quanto i paesi riescano davvero a metterle in pratica. Per questo abbiamo un comitato dedicato al monitoraggio della conformità”, racconta Miguel Bernal, segretario esecutivo della CGPM. “Quest’anno, a Malaga, abbiamo fatto un passo avanti importante: abbiamo introdotto un nuovo sistema di valutazione che sostituisce il vecchio approccio, basato solo sul verificare se le leggi nazionali recepiscono le nostre disposizioni, e si concentra invece su un aspetto cruciale: se queste leggi vengono effettivamente applicate. Grazie a questo metodo, nei prossimi anni avremo dati molto più chiari. Al momento, comunque, la tendenza generale è positiva: i paesi stanno rafforzando il proprio impegno nel rispettare le regole.”

Acquacoltura marina, un settore in forte espansione

Per quanto riguarda l’acquacoltura, invece, uno dei settori economici in più rapida espansione a livello globale, sta registrando una forte crescita anche nella regione del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. Considerando tutte le tipologie (acque dolci, marine e salmastre) il valore totale del settore supera i 9,3 miliardi di dollari. Quasi il 60% della produzione proviene dalle acque dolci, in particolare dall’Egitto, dove vengono allevate specie come tilapia e triglie.

Limitandosi invece all’acquacoltura in acque salmastre e marine, il valore raggiunge oltre cinque miliardi di dollari. Quasi tutta la produzione di alimenti acquatici nella regione si concentra in otto paesi, con Turchia, Egitto e Grecia tra i principali produttori, mentre l’Italia guida per quanto riguarda i molluschi. Con le catture dalla pesca rimaste stabili negli ultimi decenni, l’acquacoltura assume un ruolo sempre più strategico per soddisfare la domanda di prodotti ittici, oggi e in futuro.

Un elemento chiave per lo sviluppo sostenibile del settore è l’efficientamento dei mangimi. “All’inizio, i pesci carnivori allevati richiedevano proteine di origine animale provenienti dalla pesca”, spiega Costantinos C. Mylonas, direttore dell’Istituto di biologia marina, biotecnologia e acquacoltura dell’Hellenic Center for Marine Research, in Grecia. “Oggi, ad esempio in Grecia, il secondo produttore mediterraneo dopo la Turchia, l’uso di farina di pesce pescato è stato ridotto al 25%, mentre il resto proviene da scarti di lavorazione e dall’economia circolare. Per aumentare ulteriormente la produzione, sarà necessario ampliare l’uso di fonti alternative, come scarti, biomassa batterica e fitoplancton.”

Nonostante gli incentivi agli investimenti, le infrastrutture condivise e i progressi nei sistemi di certificazione e tracciabilità, soprattutto nei paesi dell’Unione Europea, il settore dell’acquacoltura continua a confrontarsi con diverse criticità. La crisi climatica, con l’aumento delle temperature e la maggiore frequenza di eventi estremi, insieme alle epidemie ricorrenti causate dall’allevamento intensivo, stanno già influenzando la produzione.

“In un contesto di continua espansione dell’acquacoltura, è fondamentale adottare un approccio coordinato, per garantire che il settore rimanga sostenibile, produttivo, competitivo e redditizio. Al tempo stesso, è necessario preservare i servizi ecosistemici, tutelare il benessere animale e promuovere uno sviluppo socioeconomico inclusivo nelle comunità costiere”, ha dichiarato Ahmet Seremed, presidente del Consiglio dell’Unione centrale dei produttori di acquacoltura in Turchia.

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In copertina: immagine Envato