Novantaquattro virgola cinque percento. Non è una percentuale qualsiasi, è la fotografia di un Paese che sta letteralmente scivolando via. Quasi tutti i comuni italiani - per la precisione 7.463 su 7.896 - convivono con almeno una forma di dissesto idrogeologico: frane, alluvioni, erosione costiera o valanghe. Mentre scriviamo, oltre cinque milioni di italiani vivono in zone dove il terreno potrebbe cedere da un momento all’altro. Il quarto Rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico, presentato ieri, 30 luglio, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, non lascia spazio a interpretazioni: l’Italia è un Paese geologicamente malato, e i cambiamenti climatici stanno accelerando la diagnosi.
Il territorio che si espande (nel modo sbagliato)
La vera notizia non è che l’Italia frana - questo lo sapevamo. È che le aree a rischio crescono a ritmo vertiginoso: più quindici percento in soli tre anni. Dai 55.400 chilometri quadrati del 2021 siamo passati a 69.500 nel 2024. Un quarto del territorio nazionale è classificato come pericoloso. La provincia di Bolzano guida questa inquietante classifica con un incremento del sessantuno percento, seguita da Toscana, Sardegna e Sicilia. Non si tratta di nuove frane improvvise, precisano da Ispra, ma di studi più dettagliati che hanno mappato rischi già esistenti ma finora ignorati. Una precisazione che non tranquillizza: significa che per anni abbiamo vissuto, costruito, pianificato senza conoscere il pericolo reale sotto i nostri piedi.
Il database nazionale conta oltre 636.000 frane censite, un primato europeo di cui faremmo volentieri a meno. Il ventotto percento di questi fenomeni è classificato come “estremamente rapido”: colate di fango e detriti che non lasciano tempo di fuga. Come a Ischia nel novembre 2022, dove dodici persone hanno perso la vita. O in Emilia Romagna nel maggio 2023, con ottantamila nuove frane in un solo evento e danni per 8,6 miliardi di euro.
Il clima che cambia le regole del gioco
Il triennio 2022-2024 racconta una storia di estremi che sta diventando la nostra nuova normalità. Il 2024 è stato l'anno più caldo mai registrato in Italia, il 2022 il secondo. Non è solo una questione di temperature: sono le piogge a essere completamente impazzite. Intense, concentrate, devastanti. A maggio 2023 alcune aree hanno ricevuto precipitazioni sei volte superiori alla media storica. Il risultato? Flash flood - piene improvvise che travolgono tutto - in zone storicamente sicure.
"I cambiamenti climatici stanno amplificando il rischio con impatti anche su territori in passato meno esposti", sottolinea il rapporto. Non è più solo questione di aree notoriamente fragili: la geografia del rischio si sta riscrivendo. Valle d’Aosta e Piemonte settentrionale, colpite duramente nel giugno 2024, ne sono l'esempio più recente. Zone che per decenni hanno convissuto serenamente con i loro torrenti si sono trovate improvvisamente sommerse da colate detritiche mai viste prima.
Il conto salato della fragilità
Dietro le percentuali e i chilometri quadrati ci sono persone, case, imprese, tesori culturali. Nelle sole aree a pericolosità più elevata vivono 1,28 milioni di italiani. Oltre 582.000 famiglie hanno la casa in zone dove una frana potrebbe verificarsi in qualsiasi momento. Settecentoquarantaduemila edifici, settantacinquemila imprese, quattordicimila beni culturali: tutti esposti al rischio più alto.
Il conto economico è già salatissimo e promette di peggiorare. Dal database ReNDiS emerge che negli ultimi venticinque anni l'Italia ha investito 19,2 miliardi di euro in quasi 26.000 interventi di difesa del suolo. Una cifra enorme che però impallidisce di fronte ai danni: i soli eventi in Emilia Romagna del 2023 sono costati 8,6 miliardi. Un solo disastro che vale quasi la metà di quanto investito in un quarto di secolo di prevenzione.
La tecnologia entra in campo
Di fronte a questa emergenza permanente, Ispra schiera nuovi strumenti. IdroGEO, la piattaforma nazionale per la consultazione dei dati sul dissesto, si è dotata di un assistente virtuale basato sull'intelligenza artificiale. Non è un gadget tecnologico: in un Paese dove il rischio è ovunque, permettere ai cittadini di conoscere facilmente la pericolosità del proprio territorio può salvare vite.
Ma la vera sfida rimane culturale prima che tecnologica. L’Italia ha aumentato le superfici artificiali dal 2,7% degli anni 50 al 7,16% del 2023. Abbiamo costruito dove non dovevamo, ignorato i segnali della natura, impermeabilizzato terreni che dovevano drenare. Ora il conto arriva tutto insieme, moltiplicato dall’accelerazione climatica.
Le mappe di pericolosità per alluvioni saranno aggiornate nel 2026. Intanto, mentre aspettiamo nuove carte e nuovi colori che definiscano dove possiamo vivere sicuri, il territorio continua la sua trasformazione silenziosa. Le valanghe, mappate per la prima volta a livello nazionale, interessano il tredici percento del territorio montano sopra gli ottocento metri. Un altro tassello di un puzzle sempre più complesso.
Il rapporto Ispra non usa mezzi termini: servono aggiornamenti continui degli strumenti di pianificazione, monitoraggio costante del territorio, interventi di mitigazione. Ma soprattutto serve un cambio di paradigma. In un Paese dove il 94,5% dei comuni è a rischio, la fragilità non è l'eccezione ma la regola. È tempo di progettare, costruire e vivere di conseguenza. Prima che sia il territorio a decidere per noi.
Il geologo Ispra: "Evitare comportamenti irresponsabili"
“Quello che rileviamo è un aumento di eventi estremi e intensi dovuti al cambiamento climatico che si susseguono in un territorio già molto fragile. Una tempesta perfetta”, spiega a Materia Rinnovabile Alessandro Trigila, geologo Ispra e responsabile della sezione Sviluppo e coordinamento dell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia e monitoraggio in situ delle frane.
Quali azioni si possono mettere in campo? “La soluzione non è unica ma molteplice. Al primo posto c’è la conoscenza: è un elemento di prevenzione del rischio. È importantissimo che le persone adottino scelte e comportamenti consapevoli perché una certa percentuale di vittime è dovuta anche a questo. Ad esempio entrano in garage per salvare l’auto, si dirigono verso i sottopassaggi, o registrano video social sulle sponde del fiume, giusto per citare qualche caso. Va assolutamente evitato. Poi c’è il monitoraggio e il controllo del territorio. Se c’è una frana che si sta muovendo, devo poterlo sapere tempestivamente e avvisare la popolazione. L’allertamento deve essere parte della strategia. In alcune parti d’Italia i sistemi di alert sono collegati ai semafori che bloccano le strade in caso di rischio alluvione. Vanno implementati”.
L’altro elemento che deve far parte della strategia contro il dissesto deve essere la sburocratizzazione. Su questo Trigila concorda con il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul rischio sismico e idrogeologico, Pino Bicchielli: “Dalla programmazione dell’intervento di messa in sicurezza al collaudo dell’opera passano in media 4,7 anni. Sono troppi”, sottolinea il geologo.
Programmazione dell’opera, finanziamento, progettazione, gara, lavori e collaudo: un percorso che spesso è a ostacoli. “Spesso gli stessi dirigenti devono firmare e rifirmare le stesse carte che si bloccano in passaggi burocratici impossibili da districare”, rincara la dose Bicchielli.
Infine, nelle azioni da pianificare che per Ispra sono fondamentali c’è la protezione degli edifici vulnerabili: “A livello locale vanno identificati e protetti con azioni mirate: paratie per evitare alluvioni a palazzi storici o a musei, come stanno facendo a Venezia. Ormai faranno sempre più parte di strategie da sviluppare a livello locale”.
Tra gli argomenti meno sottolineati nella lunga maratona della presentazione del rapporto ieri mattina, ma che Tiglia evidenzia, c’è l’abusivismo: “Possiamo fare tutte le regole che vogliamo, ma se si costruisce abusivamente e i comuni non controllano, diventa tutto più complicato”, spiega.
Con tutto questo sistema farraginoso di fondi parcellizzati tra due ministeri (Interno e Ambiente) e Palazzo Chigi, si sente l’esigenza di una regia unica? “Ricordiamo anche la presenza delle Autorità di Bacino – aggiunge Tiglia –: sono sette e hanno un ruolo di coordinamento e controllo. In più i due ministeri hanno approcci differenti sulle istruttorie dei progetti. Sì, bisogna armonizzare tutto e il rischio di una parcellizzazione c’è”.
Rischio finanziario e bancario: per Bankitalia vale 1.000 miliardi
Esiste poi un rischio finanziario legato al credito. Ad esempio, se si deve prendere un mutuo in zona a rischio idrogeologico cosa succede? E come cambia il valore degli immobili? Il tema esiste, viste anche le decine e decine di consultazioni su IdroGEO, la piattaforma pubblica e open data per la consultazione delle mappe e dei dati aggiornati sul dissesto, da parte di agenzie immobiliari, che cercano informazioni sullo stato idrogeologico della zona in cui insiste l’immobile. “Abbiamo lavorato molto su qual è il valore dell'immobile esposto a un evento alluvionale. I nostri colleghi hanno calcolato che ci sono mille miliardi di euro di valore esposto, e la perdita attesa annua solo sul valore dell'abitazione, dell'edilizia residenziale, è 3 miliardi di euro, solo per l'evento alluvionale”, dice Ivan Faiella, coordinatore del Nucleo cambiamenti climatici e sostenibilità di Banca d'Italia, intervenendo alla presentazione del Rapporto Ispra.
Le stime del rischio di alluvione sono molto diverse a seconda delle mappe di pericolosità utilizzate, delle ipotesi sulla vulnerabilità degli edifici e della precisione delle informazioni sulla loro localizzazione. Sulla base delle stime ritenute più affidabili, nel 2020 il valore del patrimonio abitativo italiano esposto al rischio di alluvione era prossimo a 1.000 miliardi di euro, circa un quarto del totale, con una perdita annua attesa valutata in 3 miliardi. Ciò detto, oltre agli altri “c'è il problema del valore economico”: quale va considerato? “Il valore di mercato, quello di costruzione? Poi c'è il costo indiretto, quando un'autostrada si interrompe, qual è il costo? Il collegamento con il sistema finanziario è presto fatto o perché gli immobili sono spesso dati in garanzia, e nel momento in cui quell'immobile viene danneggiato nel bilancio della banca c'è una perdita di valore della garanzia, o anche perché, colpendo e interrompendo l'attività economica, l'accaduto può incidere sulla capacità di famiglie e imprese di restituire il prestito”.
In copertina: foto Pexels - Franklin Peña Gutierrez