Che la presidenza brasiliana avesse ben preparato questa COP30 era nell’aria fin dalla pre-COP. Quello che non era chiaro era quale sarebbe stato il punto di atterraggio finale del negoziato, oltre il tema della tutela delle foreste (anche tramite l’iniziativa di bandiera Tropical Forest Forever Facility, TFFF) e l’avanzamento sui singoli sotto-temi tecnici. Troppo tecnici, per una COP così politica.

Per mesi la stessa presidenza ha smentito pubblicamente di essere al lavoro su una cover decision, ossia una decisione politica finale congiunta di tutti i paesi presenti, prassi in uso fino al 2023. Se tutti i tavoli tematici avanzano e portano a risultati, non ci sarà bisogno di una ulteriore decisione, di un ulteriore appesantimento del processo, è il mantra (in pubblico) dei brasiliani.

A Belém siamo al quarto giorno di COP e già da ieri invece si respira tutt’altra aria. Sembra che si vada nella direzione di una dichiarazione politica finale di alto livello e molto ambiziosa. I primi indizi sono già circolati nella giornata di ieri, come ha scritto Italian Climate Network.

In sintesi, il Brasile punterebbe (con supporto cinese) a una decisione finale che lanci una roadmap per l’uscita “ordinata” dalle fonti fossili entro un decennio, riprendendo il linguaggio di Dubai 2023 sul “transitioning away”. Altri in queste ore dicono che si potrebbe addirittura vedere un putsch per tornare all’antico oggetto della discordia, la dicitura “phase out” che nel 2021 a Glasgow fece quasi saltare l’intero negoziato. E allora ci si riferiva solo al carbone, qui a tutte le fonti fossili.

Ma la partita si gioca anche su un altro tavolo, dalla caratura abbastanza inattesa. Nei giorni scorsi la Colombia, che nel prossimo aprile 2026 ospiterà un vertice di alto livello sull’uscita dai combustibili fossili, ha fatto circolare un testo per raccogliere le firme dei paesi. Tra le varie bozze che abbiamo potuto visionare (ne sono circolate diverse in queste ore), nelle pieghe delle formulazioni grammaticali rimane valido il contenuto su cui i colombiani cercano un consenso e, se vogliamo, un clamoroso palco internazionale: una dichiarazione congiunta, forse pensata per fare da base a una cover decision, sull’uscita dalle fonti fossili in maniera “giusta, ordinata ed equa”, allineata con i più recenti dati IPCC e con l’obiettivo di Parigi di contenere il riscaldamento globale entro i +1,5°C entro fine secolo.

Il tutto collegato, qui sta il cuore del testo, alla recente opinione della Corte di giustizia internazionale per la quale i paesi sono responsabili delle proprie emissioni e hanno un obbligo giuridico vincolante di protezione del sistema climatico.

La dichiarazione esprime poi sostegno alla roadmap proposta dal Brasile, segnalando però che qualsiasi iniziativa in tal senso dovrà essere corredata da “processi aggiuntivi per articolare e supportare gli sforzi verso la transizione”, con una particolare attenzione alle comunità più esposte e ai lavoratori del settore oil & gas.

Caratura inattesa, dicevamo. Non è certo la prima volta che un paese relativamente importante propone simili dichiarazioni di intenti in un contesto COP. La novità è che la dichiarazione sembra essere ora effettivamente sui tavoli delle delegazioni brasiliana, cinese ed europea, che starebbero cercando di trovare una quadra, capendo se vi siano margini di costruzione di consenso rispetto alle due proposte, la roadmap e la dichiarazione colombiana, appunto. Su come farle convergere, puntando a un compromesso.

Tecnicismi negoziali a parte, il tema vero è che forse nessuno si aspettava una spinta politica così forte da parte della presidenza brasiliana, che sembra effettivamente intenzionata a uscire da Belém con un output addirittura più forte di quello di Glasgow del 2021, ora che i BRICS sembrano gestire la partita.

I brasiliani vorrebbero un documento politico finale incentrato sulla relazione fra transizione giusta e uscita graduale dalle fossili. I colombiani premono per un miglior riconoscimento internazionale della propria iniziativa e il Brasile sembra non voler litigare con lo sgomitante vicino. Intanto, Danimarca, Germania, Regno Unito e Francia sembrano intenzionati a sostenere la proposta brasiliana sulla roadmap, ora da incrociare con l’approccio colombiano.

Ancora in molti nelle sale si chiedono se effettivamente tutto questo finirà in una cover decision. Decisioni politiche multilaterali di tale portata difficilmente possono essere incastrate, se ampiamente sostenute, nelle decisioni settoriali e tecnicistiche di un singolo tavolo di lavoro, quindi di livello inferiore. Se Brasile e Cina riusciranno a portare Russia, Arabia Saudita, Emirati su queste proposte, ci sarà una cover decision. Altrimenti, potremmo lasciare Belém con una dichiarazione di intenti extra-negoziale, firmata solo da alcuni paesi e quindi molto meno incisiva e legalmente non vincolante.

Ma in questa COP c’è un elemento nuovo: i paesi storicamente visti come blocker, gli ostruzionisti, sono ora tutti membri del gruppo BRICS+ allargato. Che il Brasile presiede, che la Cina presidia.

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In copertina: Luiz Inácio Lula da Silva e Gustavo Petro. Foto di Lucas Landau/COP30