
L’opinione pubblica occidentale ha dedicato relativamente poco spazio al vertice BRICS di Kazan, in Russia, del 2024. Nell’ambito di quel vertice fu lanciata, tramite un protocollo d’intesa tra i paesi membri, la BRICS Partnership on Carbon Markets. La dichiarazione finale di Kazan indicava nella partnership una piattaforma dove discutere di una “potential intra-BRICS cooperation on carbon markets to exchange views on potential cooperation under Article 6 of the Paris Agreement among the BRICS countries” (potenziale cooperazione intra BRICS sui mercati del carbonio per scambiare opinioni sulla potenziale cooperazione ai sensi dell'Articolo 6 dell'Accordo di Parigi tra i paesi BRICS).
Alcune agenzie di stampa rilanciarono la notizia aggiungendo che il protocollo avrebbe rappresentato la base su cui sviluppare un programma comune di generazione di crediti, notizia tuttavia mai confermata dai testi ufficiali.
Il protocollo d’intesa del 2024 è poi riemerso nella dichiarazione finale del 17° vertice BRICS del 2025 a Rio de Janeiro, nella quale si spostava il focus su possibili “approcci cooperativi” intra BRICS sotto l’Accordo di Parigi, un linguaggio che parrebbe rimandare direttamente alla costruzione di una cornice strutturata di lavoro sotto l’Articolo 6.2 o 6.4 dell’Accordo.
Purtroppo, il testo del protocollo del 2024 non è consultabile. Non è possibile definire se quel documento facesse riferimento ai mercati di carbonio volontari o regolati (come nel caso dei sistemi ETS), a livello nazionale o internazionale, o a tutte le possibilità citate. Tuttavia, il suo sopravvivere da un vertice al successivo fa intuire un investimento di capitale politico oggi da non sottovalutare, visti i recenti sviluppi strutturali e metodologici proprio sotto l’Articolo 6 di Parigi e la contemporanea espansione di sistemi per lo scambio di crediti e quote, regolati e volontari, nei paesi in questione.
Complice la prossima entrata in vigore dei meccanismi di aggiustamento frontaliero (CBAM) europeo e britannico, un crescente numero di paesi del mondo ha infatti sviluppato in velocità normative nazionali ad hoc per dotarsi di un sistema di scambio di emissioni a livello industriale (ETS), spesso corredato – e questa è la principale novità – di mercati nazionali volontari per i crediti. All’inizio di COP30 ben 8 paesi BRICS su 11 (i 5 fondatori più Egitto, Indonesia e Arabia Saudita) avevano un mercato volontario già funzionante e due (Etiopia e gli Emirati) stavano approntando gli ultimi preparativi normativi.
Ma di cosa si parla? Come leggere questi sviluppi? In primis, non tutti i BRICS sono nuovi al settore dei crediti di carbonio. Ad agosto 2025 Brasile, Cina, India e Indonesia ospitavano oltre un terzo di tutti i progetti di crediti di carbonio registrati nel mondo, che hanno generato negli anni il 36% dei crediti transitati sul mercato. Cina e Brasile sono anche stati i paesi più coinvolti, a suo tempo, nel Clean Development Mechanism sotto il Protocollo di Kyoto. Altri BRICS si stanno invece affacciando al settore per la prima volta, captando la potenziale opportunità finanziaria ora che molti paesi industrializzati (inclusa l’Unione Europea) sembrano riaprire le porte della propria domanda interna ai crediti esteri.
L’attuale differenza principale tra i mercati di carbonio dei BRICS risiede nella loro apertura o meno a metodologie e registri stranieri. Alcuni paesi, come il Sud Africa e il Brasile, hanno sviluppato o stanno sviluppando standard di conversione di crediti registrati presso grandi registri privati come Verra o Gold Standard in crediti nazionali. Altri, in primis la Cina, non accettano invece standard e registri internazionali. In particolare, la Cina non accetta nel proprio sistema progetti sviluppati da attori esteri o fuori dal territorio nazionale e questo potrebbe rappresentare allo stesso tempo una salvaguardia per investimenti, capitali e ritorni, ma anche un forte limite a una cooperazione intra BRICS. Molto diversi, infine, i prezzi dei crediti da un mercato all’altro, dai 14 dollari al credito a Pechino a meno di 3 dollari in Indonesia.
Una potenziale partnership intra BRICS per funzionare dovrebbe ripartire proprio dal mutuo riconoscimento di registri e standard (almeno per alcuni tipi selezionati di crediti?), corridoi di sicurezza per i prezzi, così diversi da un’economia all’altra, e da regole concordate in merito all’ingresso di attori stranieri nel mercato nazionale.
Alla strada impervia del mutuo riconoscimento, tecnicamente molto complesso da mettere in pratica, la COP29 e il successivo lavoro del Supervisory Body dell’Articolo 6.4 hanno fornito una valida alternativa: l’Articolo 6, appunto. I paesi BRICS potrebbero definire delle proprie regole minime di ingaggio reciproco, un minimo comune denominatore, nella cornice dell’Articolo 6, per poi firmare accordi bilaterali (Articolo 6.2) o costruire collaborazioni multilaterali (Articolo 6.4), ora che questa cornice esiste.
Il lancio, a COP30, dell’iniziativa Open Coalition for Carbon Market Integration, guidata dal Brasile e finalizzata all’armonizzazione degli standard tra diversi sistemi, arriva esattamente al centro del bivio, ora dirimente per questi paesi, tra complesse limature verso una maggiore interoperabilità e un netto investimento nel sistema multilaterale (già sviluppato e più trasparente) sotto l’egida dell’ONU.
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In copertina: foto di Sergey Bobylev, Photohost agency brics-russia2024.ru
