Mentre l’amministrazione Trump dipinge la transizione ecologica come una minaccia per i consumatori, l’Europa mantiene a fatica la leadership climatica globale, ponendosi il problema di come conciliare i bisogni di competitività economica con i target di decarbonizzazione.

Secondo un nuovo report del think tank The European House - Ambrosetti (TEHA), Green transition: rillions needed, billions missing, a causa della capacità di spesa pubblica limitata e della mobilitazione ancora parziale degli investimenti privati c’è il rischio che la corsa alla neutralità carbonica si arresti ben prima del traguardo.

Il gap finanziario per la transizione verde

La bussola per la competitività europea punta verso innovazione, decarbonizzazione e sicurezza. Tre necessità indicate nell’ormai celebre report di Mario Draghi che poi hanno ispirato i piani della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, tra cui il Clean Industrial Deal.

“L'inazione climatica ha un costo crescente, spesso più alto degli investimenti necessari per prevenirla”, ha detto Carlo Cici, head of sustainability di TEHA, durante la presentazione del report all’evento NetZero Milan. “La crescita economica e la riduzione delle emissioni possono coesistere, ma è necessario coniugare la marginalità di breve periodo con i benefici di lungo termine.”

Ardua impresa quando la crescita economica prevista rasenta lo zero, mentre Stati Uniti e Cina corrono più veloci. Allo stesso tempo, coniugare sostenibilità con competitività è rimasta l’unica opzione, specialmente quando eventi climatici sempre più estremi e frequenti hanno causato tra il 1980 e il 2023 danni e perdite per 738 miliardi di euro, di cui oltre 162 miliardi solo tra il 2021 e il 2023.

Secondo i calcoli di Bruxelles, tra il 2011 e il 2020 l’Unione Europea ha investito in media 764 miliardi di euro l'anno per ridurre le emissioni di gas serra. TEHA fa notare però che anche solo per centrare gli obiettivi climatici del 2030 sono necessari ulteriori 477 miliardi di euro di investimenti green ogni anno, equivalenti al 3,2% del PIL del 2023. Il settore più trascurato è quello dei trasporti, ma anche i capitali destinati all’approvvigionamento energetico dovranno aumentare annualmente al 70%.

Il phase out dei sussidi fossili e la finanza privata

Per finanziare la decarbonizzazione e prevenire gli effetti del cambiamento climatico è fondamentale diminuire i sussidi destinati ai combustibili fossili. In Europa nel biennio 2021-2022 si è registrato un raddoppiamento delle sovvenzioni, da 60 a 136 miliardi di euro. Nel 2023 i sussidi fossili sono calati, ma rimangono comunque più alti di due anni fa.

TEHA propone di tagliarli di 60 miliardi di euro così da contribuire a coprire un buco da 17 miliardi all’anno di fondi pubblici. Ma, mentre gli investimenti pubblici sono quasi allineati alle stime di finanziamenti necessari, per raggiungere i 477 miliardi di euro all’anno mancanti serve capitale privato: 394 miliardi di euro, per la precisione.

Alcuni confluiranno grazie al Clean Industrial Deal, un strategia industriale che promette di far crescere l’industria in modo sostenibile, semplificando la burocrazia e mobilitando 100 miliardi di euro di fondi pubblici e privati tramite la nuova Banca industriale per la decarbonizzazione. Ulteriore capitale giungerà attraverso altri strumenti finanziari come le obbligazioni green, social and sustainability-linked erogati dalle banche che, secondo TEHA, sono le vere abilitatrici della transizione verde.

Laura Maida, Head of Strategic Initiatives di Intesa Sanpaolo, ha evidenziato come il settore bancario abbia integrato gli obiettivi net zero nella governance, con importanti investimenti e un forte impegno nella Net Zero Banking Alliance. Intesa stessa ha mantenuto la validazione SBTi (Science-Based Targets initiative) e ha attivato un plafond da 13 miliardi di euro per supportare l’economia circolare e l’innovazione.

Senza un quadro regolatorio chiaro, la finanza privata può fare poco

Gli istituti finanziari al momento però non possono contare su una chiara correlazione quantitativa tra rischio finanziario e fattori ESG. Nel 2020 la European Banking Authority ha pubblicato un documento che evidenzia come i rischi ESG possono incidere sulla stabilità finanziaria, ma la loro gestione è ostacolata dalla mancanza di metriche standardizzate, dati completi e modelli bancari adeguati. Inoltre, la definizione poco chiara di "performance di sostenibilità", i diversi orizzonti temporali dei rischi ESG e le modalità tradizionali di pianificazione strategica e vigilanza rendono difficile una gestione efficace.

Per le banche, inoltre, come delineato anche dal rapporto dell'EBA del febbraio 2025, il panorama dei dati ESG rimane incompleto, con lacune persistenti in termini di disponibilità, qualità e granularità delle informazioni.

Queste mancanze ostacolano lo sviluppo di metodologie avanzate per l'identificazione e la valutazione dei rischi ESG, influenzando la capacità delle istituzioni finanziarie di integrare efficacemente tali rischi nei processi decisionali, e quindi offrire condizioni di finanziamento favorevoli per le imprese più sostenibili.

Alla conferenza NetZero Milan è intervenuto anche Cristian Carraretto, head of energy transition della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, sottolineando l’importanza di decarbonizzare i settori hard-to-abate, responsabili di oltre il 60% delle emissioni totali di gas serra dell'UE. “Produrre l’acciaio verde con l’idrogeno costa fino al 40% in più rispetto all’acciaio fossile, ma l’impatto sul prezzo finale di un’auto è appena dello 0,4%. Questo è un chiaro segnale che la sostenibilità può essere competitiva, se tutta la value chain si muove nella stessa direzione.”

Nonostante un contesto geopolitico più instabile e l’ascesa di forze politiche ostili al Green Deal, il mondo imprenditoriale non rallenta. Come sottolineato da Roberto Giacomelli della società di consulenza Ernst & Young, gran parte delle aziende prosegue nei piani di sostenibilità, anche dopo l’allentamento normativo introdotto dal Decreto Omnibus e con l’implementazione della CSRD, la Corporate Sustainability Reporting Directive.

 

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