Lunedì 9 settembre, a un anno dall’incarico ricevuto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, l’ex presidente della BCE Mario Draghi ha presentato a Bruxelles il lungo e atteso rapporto sulla competitività europea. Nelle 400 pagine del documento si leggono 170 proposte “concrete e urgenti” per sostenere la crescita europea e chiudere quanto prima il divario con Cina e Stati Uniti. Senza sorprese e in linea con le Political Guidelines 2024-2029, il programma del nuovo mandato presentato a luglio da von der Leyen, Draghi ha identificato come principali direttrici di intervento innovazione, decarbonizzazione, economia circolare e sicurezza (difesa inclusa).
Più che le singole misure, il vero annuncio riguarda però gli investimenti (e le riforme nel quadro governance) necessarie per mantenere il Vecchio Continente competitivo. Le stime sono di 750-800 miliardi di euro all'anno tra investimenti privati e pubblici, il 4,7% del PIL continentale. Due volte le risorse finanziarie sbloccate nel secondo dopoguerra dal piano Marshall. “Serve un cambiamento radicale perché l’UE continui a esistere”, ha detto Draghi a inizio della presentazione. Anche se il vero peso attribuito dall’ex premier italiano alle sue proposte è emerso tranchant durante il confronto con i giornalisti. Altro che condizione di esistenza per garantire l’attuale assetto valoriale e sociale europeo: l’UE deve cambiare subito “oppure sarà una lenta agonia".
L'Europa schiacciata tra USA e Cina
Il rapporto presentato da Draghi si apre con una necessaria premessa: “L'Europa ha costruito un mercato unico di 440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese, che rappresenta circa il 17% del PIL mondiale, raggiungendo nel contempo tassi di disuguaglianza di reddito inferiori di circa 10 punti percentuali a quelli degli Stati Uniti e della Cina”. Tanto a Ovest quanto a Est, le due superpotenze sono infatti i due termini di paragone imprescindibili per parlare di competitività.
Stando al rapporto, il divario del PIL tra UE e USA è aumentato dal 15% nel 2002 al 30% nel 2023, principalmente a causa di una minore produttività in Europa, che sarebbe responsabile del 70% di tale differenza. Ciò ha portato a una crescita più lenta del reddito e della domanda interna nell'UE, con il reddito disponibile pro capite cresciuto quasi il doppio negli USA rispetto all'Europa dal 2000. Rispetto ai rapporti con Pechino, il focus è invece sul commercio internazionale. “Decenni di globalizzazione hanno creato una forte interdipendenza strategica tra le principali economie, rendendo costoso un rapido disimpegno. Ad esempio, l'UE dipende dalla Cina per i minerali critici, mentre la Cina conta sull'UE per assorbire l'eccesso di capacità industriale”, si legge nel documento.
La competitività come misura difensiva
Mentre cambiano gli equilibri globali, le grandi economie cercano di ridurre le dipendenze e aumentare la propria autonomia strategica. Unione Europea inclusa, soprattutto alla luce del nuovo Clean Industrial Deal che von der Leyen presenterà entro i primi 100 giorni del mandato. In quella che sarà a tutti gli effetti la fase due del Grean Deal, la decarbonizzazione del settore industriale europeo passerà infatti anche dal commercio e da un maggiore controllo sugli approvvigionamenti. “L'Europa è l'economia più aperta al mondo, il che la rende vulnerabile quando gli ex partner non collaborano, sia attraverso azioni (come ritorsioni) che attraverso l'inazione”, ha detto Draghi in conferenza stampa parlando dei rapporti con la Cina. “Per questo motivo, abbiamo bisogno di una politica commerciale pragmatica, da applicare caso per caso, e difensiva. Non possiamo permetterci di essere né troppo indulgenti né troppo rigidi. Il nostro approccio deve essere adattato a settori e situazioni specifiche.”
"Una corsa per superare Cina e Stati Uniti non solo è economicamente insostenibile, ma alimenterà ulteriormente le tensioni geopolitiche. Il vero vantaggio competitivo dell'Europa risiede nel guidare una trasformazione globale”, ha commentato sul punto in un comunicato Christian Schaible, responsabile European Environmental Bureau (EEB) per l'industria a inquinamento zero. “Per combattere la deindustrializzazione nei settori critici e garantire una prosperità e una resilienza economica durature, i leader dell'UE devono concentrarsi su una politica industriale coordinata che dia priorità a partenariati equi, posti di lavoro verdi di qualità e ai più elevati standard ambientali e sociali. Non si tratta solo di facilitare la transizione verde per le industrie, ma di farla bene. La competitività non è l'obiettivo finale, ma la protezione del pianeta e dei suoi abitanti."
I pilastri della competitività: innovazione, decarbonizzazione, sicurezza
Stando al rapporto, entro il 2040 la forza lavoro dell'UE dovrebbe diminuire di quasi 2 milioni di lavoratori all'anno. Se l'UE mantenesse l'attuale tasso di crescita della produttività del lavoro dello 0,7% annuo, questo basterebbe solo a mantenere il PIL costante fino al 2050, senza possibilità di contrastare gli effetti del declino demografico oltre quella data. Per questo il primo pilastro suggerito da Draghi è l’innovazione: “In Europa ci sono troppe barriere per commercializzare innovazione, serve uno scale up”. In UE il crescente divario di produttività tra UE e USA è infatti principalmente dovuto alla tecnologia digitale. Se si escludesse il settore tech, la crescita della produttività europea sarebbe stata simile a quella degli USA. Nel 2021, le aziende dell'UE hanno speso circa la metà in ricerca e sviluppo rispetto agli USA. A oggi, poi, il 70% dei modelli di intelligenza artificiale è sviluppato negli USA, e le tre principali Big Tech americane controllano oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo.
Rispetto ai vantaggi competitivi offerti dalla decarbonizzazione, l’attenzione di Draghi si è rivolta al settore energetico. Il mercato europeo dell'energia è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili e ha tassazioni tra le più alte al mondo. Nel 2022, il prezzo del gas è stato il 60% superiore rispetto ai valori storici, “a causa di contratti a lungo termine e interessi particolari che dominano il mercato”. Questa situazione impedirebbe il trasferimento dei benefici della produzione a basso costo ai consumatori finali e alle industrie. Per affrontare queste sfide, Draghi suggerisce di disaccoppiare i prezzi dell'energia dai combustibili fossili e sviluppare una politica energetica coerente che favorisca le energie pulite e la decarbonizzazione. “È essenziale migliorare sia l'approvvigionamento che l'offerta di energia pulita, adottando misure simili a quelle degli USA, che hanno incentivato la produzione attraverso politiche mirate”, ha aggiunto l’ex presidente della BCE. “La decarbonizzazione rappresenta una significativa opportunità di crescita e richiede un piano congiunto per la produzione di energia pulita” coinvolgendo in particolare l'industria automobilistica e il settore Clean Tech. La decarbonizzazione richiederà anche nuove competenze e profili professionali. Il tasso di posti di lavoro vacanti nella produzione di tecnologie pulite nell'UE è raddoppiato tra il 2019 e il 2023, con il 25% delle aziende europee che hanno segnalato carenze di manodopera nel terzo trimestre del 2023.
L’economia circolare – citata insieme alla decarbonizzazione anche da Ursula von der Leyen durante la presentazione del rapporto − gioca un ruolo cruciale nel migliorare la dipendenza e la sicurezza. L'approccio proposto punta a ridurre la dipendenza dalle materie prime importate, rafforzando la sicurezza delle forniture attraverso una politica estera comune. Questo include la stipula di accordi commerciali preferenziali con paesi ricchi di risorse, assicurando così una catena di approvvigionamento più stabile. In questo senso, tra le raccomandazioni avanzate da Draghi vi è l’aumento della capacità industriale nel settore della difesa.
Piano comune, risorse comuni
Nella visione di Draghi e della presidente von der Leyen, i 750-800 miliardi di euro all’anno di risorse aggiuntive per la competitività europea vanno visti come strumentali alla visione comune, non come il fine. Per realizzare priorità comuni, sarà essenziale prima definire chiaramente le priorità europee condivise e poi garantire il finanziamento adeguato. Questo potrà avvenire attraverso i contributi nazionali, che rappresentano oggi la maggior parte del budget comunitario, oppure mediante l'emissione di nuove risorse proprie, come in discussione al Consiglio. Draghi ha parlato esplicitamente di "finanziamento congiunto". Nulla di nuovo, visto che l'ex premier italiano ha sempre favorito l'emissione di debito comune tra i 27 stati membri.
Infine, secondo Draghi è necessaria una governance europea più efficiente e integrata, con un coordinamento più stringente su questioni chiave e una più attenta applicazione del principio di sussidiarietà. “Dal 2019 a oggi, l’Europa ha prodotto circa 13.000 atti normativi, rispetto ai 3.000 tra atti giuridici e risoluzioni degli USA nello stesso periodo. Potrebbe essere vantaggioso ridurre il numero di normative, concentrandosi maggiormente su elementi chiave e priorità”, ha aggiunto Draghi. Con maggiore coordinamento e favorendo iniziative transfrontaliere rispetto a quelle in singoli paesi, che a detta di Draghi aumenterebbero la frammentazione, si potrebbe infine ridurre anche la necessità di sostegno pubblico.
Immagini: Aurore Martignoni © European Union, 2024