Italiani e italiane sono oggi sempre meno motivati di fronte all’idea della trasformazione dell’economia in chiave green. Eppure, ne ricaverebbero molti vantaggi. Se l’Italia decidesse di accelerare oggi la transizione ecologica e digitale, il paese potrebbe infatti ottenere diversi benefici economici, ridurre la disoccupazione e il debito pubblico. In particolare, nello scenario Net Zero Transformation − che prevede, oltre alla decarbonizzazione, riforme economiche strutturali mirate a incentivare investimenti verdi e innovazione a tutto campo − il PIL potrebbe crescere dell’1,1% nel 2035 e dell’8,4% nel 2050.

A dirlo sono i dati del Rapporto di primavera 2025 dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), che si intitola Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità. Presentato al pubblico in apertura del Festival dello sviluppo sostenibile a Milano a maggio, è stato realizzato in collaborazione con il centro di ricerca internazionale Oxford Economics.

Materia Rinnovabile ne ha parlato con Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, economista ed ex ministro delle infrastrutture e dei trasporti del governo Draghi.

 

Una delle novità del 2025 è che il report contiene per la prima volta dati specifici per i diversi comparti economici, sottolineando i benefici che porterebbero alla transizione. Quali tra questi settori economici vede come motori principali dello sviluppo sostenibile, e quali invece rischiano maggiormente di perdere terreno se non si adattano?

Il report contiene diversi dati che dimostrano che le imprese italiane che hanno investito in sostenibilità hanno guadagnato in produttività e competitività, creando posti di lavoro e aumentando i profitti. Quindi quello che sentiamo dire spesso, cioè che investire in sostenibilità e innovazione sia solo un costo, è semplicemente falso. Il rapporto, oltre che dimostrare tutto questo, guarda al futuro, agli scenari del 2035 e del 2050. Inoltre, abbiamo per la prima volta anche le analisi settoriali. Quello che il rapporto mostra, grazie al lavoro fatto insieme a Oxford Economics, è che se noi facessimo solo la transizione energetica, effettivamente a livello globale – e in parte anche italiano – nel 2035 potremmo avere una leggera riduzione del PIL, mentre i benefici arriverebbero successivamente, nella seconda parte del secolo. Se invece facessimo una transizione non solo energetica, ma anche digitale e di innovazione, allora il PIL potrebbe aumentare già nel 2035 di oltre un punto in più rispetto a quello tendenziale. Nel 2050, quindi, avremmo otto punti di PIL in più. A livello settoriale, ci sono situazioni diverse. L'agricoltura, nell'ipotesi di catastrofe climatica, ovviamente ha un crollo disastroso, mentre nel caso della cosiddetta Net Zero Transformation (quindi neutralità carbonica, ma anche innovazione) al 2035 non subisce effetti particolarmente negativi o positivi, mentre nel 2050 migliorerà. Saranno soprattutto il settore delle costruzioni e quello della manifattura ad avere i vantaggi maggiori. Ovviamente, l'unico settore che riceve un danno è quello della produzione di combustibili fossili, che verranno sostituiti dall’energia rinnovabile.

Nel quarto capitolo proponete un Piano di accelerazione trasformativo (PAT) per l’Italia. In che modo avrebbe un impatto lungimirante, in grado di sopravvivere a più governi?

Nel 2023, in sede ONU, il governo italiano si è impegnato ad attuare un piano di accelerazione per raggiungere quegli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 su cui l'Italia è in ritardo (e purtroppo lo sono quasi tutti, come dimostrano i rapporti dell'ASviS). Peccato che dopo questo impegno non sia successo nulla. Dunque, nel rapporto abbiamo provato noi a costruire questo piano di accelerazione trasformativo, seguendo le indicazioni che gli scienziati hanno dato in un recente report all'ONU. In primo luogo, si è trattato di identificare i fattori che impediscono al nostro paese di cogliere le opportunità della trasformazione sostenibile e in seguito individuare le leve da attuare per rimuovere questi ostacoli e accelerare il cambiamento. Nel rapporto si trovano proposte molto concrete che sono state elaborate negli ultimi due anni dagli esperti dell'ASviS e che potrebbero essere trasformate in politiche a loro volta concrete. Il piano si può fare e dunque anche le risorse finanziarie dovrebbero essere orientate in questa direzione. Inoltre, abbiamo una grande opportunità dal punto di vista temporale. Se nel 2025 il governo elaborasse questo piano, insieme alla revisione della strategia di sviluppo sostenibile, si potrebbe poi utilizzare la revisione del piano strutturale di bilancio che è stato predisposto a settembre (e che, secondo le regole dell'Unione Europea, può essere rivisto in occasione delle prossime elezioni) per definire per i successivi quattro/sette anni l'orientamento del bilancio pubblico, per realizzare il piano di attuazione trasformativa. Quindi l'Italia supererebbe il problema principale che lo stesso governo aveva identificato: la mancanza di coerenza delle politiche. Gli ingredienti sono tutti presenti, serve la volontà politica per andare in questa direzione.

Nel report si parla anche della crisi del multilateralismo e degli attacchi dell’amministrazione Trump all’Agenda 2030. Come impatta questa situazione sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile?

Riuscire ad affrontare problemi globali come quelli del cambiamento climatico, dell'ingiustizia sociale e delle migrazioni richiede ovviamente accordi tra stati. A settembre 2024 i paesi dell'ONU hanno firmato il cosiddetto Patto per il futuro, che ha identificato una serie di azioni molto rilevanti da prendere nei prossimi mesi. Tra queste, la riforma delle istituzioni internazionali, come il Fondo monetario internazionale, per orientare queste attività verso lo sviluppo sostenibile, ma anche per riconoscere il ruolo che i paesi emergenti e in via di sviluppo hanno acquisito rispetto a tanti anni fa. Gli Stati Uniti, però, hanno dichiarato recentemente che non hanno nessuna intenzione di fare questo cambiamento. E a breve, tra il 30 giugno e il 3 luglio, si apre il summit di Siviglia per discutere di tali temi. Anche il presidente Gentiloni, che fa parte del gruppo degli esperti di settore dell'ONU, ha detto che in queste condizioni è impossibile raggiungere risultati importanti (anche se alcuni risultati possono comunque essere ottenuti). La stessa cosa vale sui temi della lotta al cambiamento climatico. Gli Stati Uniti sono usciti di nuovo dagli Accordi di Parigi e anche dall'Organizzazione mondiale della sanità. Come si può affrontare una possibile crisi epidemiologica, come quella che abbiamo vissuto con il Covid-19, senza un coordinamento internazionale? Ecco perché la crisi del multilateralismo indebolisce la possibilità di trovare risposte efficaci ai grandi problemi del mondo.

Guardando al 2050, quali sono i rischi principali di una transizione tardiva, per l’Europa e per l’Italia?

Innazitutto che il degrado della biodiversità e dei suoli produca una perdita delle rese agricole, ovvero carenza di cibo o aumenti dei prezzi per le persone. Rinviare la transizione energetica vuol dire condannare imprese italiane ed europee, ma anche famiglie, a pagare bollette molto alte. Dobbiamo uscire dalla logica per cui competitività e sostenibilità sarebbero antitetiche e capire che ogni ritardo è un'occasione persa per le nostre imprese per produrre nuove soluzioni da vendere al resto del mondo per creare occupazione di qualità, per migliorare la qualità della vita e dell'ambiente in cui viviamo. Questo è il cambiamento richiesto. La politica, però, è ancora inchiodata a un modo questo sì ideologico di vedere le cose come se ambiente, società ed economia fossero in contrapposizione.

 

In copertina: Enrico Giovannini © Fondazione Giannino Bassetti via Flickr