È una crisi a tre teste quella che l’Europa deve affrontare: cambiamenti climatici, inquinamento e perdita di biodiversità. Un mostro che mette a rischio non solo l’ambiente, ma anche l’economia e la coesione sociale. In questo scenario il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha scelto di intervenire con quattro pareri strategici, che delineano un futuro diverso: meno burocrazia, più chiarezza fiscale, città più vivibili e soprattutto un’agricoltura capace non solo di resistere, ma di rigenerare.
Fra i quattro documenti, quello dedicato all’agricoltura rigenerativa è il più visionario. Il CESE propone di fissare una definizione comune, dato che ne esistono almeno cento diverse tra di loro, con sfumature interpretative tutt’altro che trascurabili. “L’agricoltura rigenerativa è un approccio adattivo e basato sui risultati, capace di avere effetti positivi sull’ambiente, sulle comunità agricole e sulla salute pubblica, garantendo rese resilienti, competitività, efficienza e risultati sociali”, si legge nel documento.
Non si tratta più di un elenco di pratiche, né di una lista di desiderata, ma di un percorso pratico e un metodo che si misura per ciò che ottiene: un suolo più vivo, colture più resistenti agli estremi climatici, una filiera più equa. Gli strumenti indicati sono per lo più quelli digitali: telerilevamento satellitare per monitorare fotosintesi e copertura del suolo (l’alleato principale sarà Copernicus), analisi di precisione per valutare carbonio e biodiversità. Il risultato? Meno carte da compilare, più dati oggettivi e premi legati ai risultati concreti. La necessità è quella di uniformare gli strumenti a disposizione degli agricoltori senza aggiungere un ulteriore livello burocratico.
Una sfida non da poco, ma alla portata di tutti i 27 paesi, secondo il CESE anche se “l’attuale quadro dell’UE non promuove in misura sufficiente le forme rigenerative di agricoltura, in particolare per quanto riguarda la salute del suolo, che deve essere considerata un bene pubblico”. Il CESE sottolinea l'importanza di stabilire indicatori basati sui dati disponibili raccolti dalle autorità regionali, nazionali ed europee pertinenti oppure via satellite (evitando così oneri amministrativi per gli agricoltori), di centralizzare i dati senza duplicarli e di garantire la protezione dei dati.
Per sostenere questa transizione, il CESE chiede incentivi fiscali per chi investe in tecnologie innovative, assicurazioni che coprano i rischi della conversione e partenariati pubblico-privato per creare mercati per i prodotti rigenerativi. Non più sussidi generici, ma un fisco che premia le performance ambientali e sociali, potenziando o attivando servizi di consulenza indipendenti e reti di sostegno tra pari, supportando i cambiamenti di mentalità, conducendo progetti specifici di ricerca e innovazione, garantendo prezzi equi per i prodotti di qualità grazie a una migliore quota di valore nella filiera agroalimentare e assicurando migliori condizioni di trasferimento dei terreni.
Agricoltura, una fotografia preoccupante
“Abbiamo urgente bisogno di invertire numerose tendenze”, è scritto nel parere adottato in plenaria a fine giugno ma reso pubblico solo ieri, giovedì 21 agosto. “Nell’UE il 60-70% dei suoli è interessato da uno o più processi di degrado, l’UE è in ritardo rispetto agli obiettivi in materia di biodiversità, la situazione del ciclo dell’acqua desta crescenti preoccupazioni e la qualità di risorse idriche è sempre più difficile da gestire con conseguenti perdite di resa e ripercussioni sui redditi degli agricoltori, mentre occorre garantire anche il ricambio generazionale − il numero delle aziende agricole nell'UE diminuisce ogni anno − e un reddito sufficiente per gli agricoltori al di sotto del reddito medio dell’UE.
I margini di miglioramento sono notevoli: “Anche nei territori con elevate rese, gli agricoltori possono aumentarle fino al 15%, nonché ridurre l'uso di azoto sintetico fino al 23% e l'uso di combustibili di oltre il 75%, favorendo nel contempo l'uso sostenibile, la riduzione e l'eliminazione graduale dei pesticidi. È in atto una vera e propria rivoluzione nelle scienze del suolo e nell'innovazione agricola, e in questo ambito gli scienziati, gli imprenditori e gli agricoltori europei sono all’avanguardia a livello mondiale”.
Cos’è che blocca la riforma agraria? Presto detto: “Un rischio percepito e operativo della transizione per gli agricoltori, conoscenze limitate, oneri normativi, incertezza nella pianificazione della conversione, insufficiente sostegno agli investimenti, esposizione al rischio e mancanza di regimi assicurativi mirati, forte carico di lavoro burocratico, scarso riconoscimento delle attività svolte nella fissazione del prezzo, assenza di domanda del mercato per i prodotti ricavati da pratiche rigenerative e difficoltà di accesso ai terreni per una gestione a lungo termine, e, da ultimo ma non meno importante, la relativa complessità dei sistemi agricoli rigenerativi rispetto all’agricoltura tradizionale”. Ma quello che il CESE mette nero su bianco non è un cahier de dolèance, ma una visione propositiva e ampia.
L’economia circolare entra in campo
L’agricoltura rigenerativa può rendere attuabili le strategie dell’UE in materia di resilienza idrica, suolo, adattamento ai cambiamenti climatici, economia circolare e bioeconomia, e viene, quindi, legata all’economia circolare, immaginando poli alimentari circolari, capaci di connettere produzione agricola, trasformazione e distribuzione in un ciclo virtuoso che riduca sprechi e valorizzi risorse locali. O ancora la Big Food Redesign Challenge, che incoraggia nuove linee di prodotti basati su colture rigenerative come cereali diversificati o agroforestali: il cibo non è solo nutrimento, ma racconto di un territorio che si prende cura di sé stesso.
Lo strumento cardine sarà l’indicatore chiave di prestazione (ICP) per misurare, regolare e incentivare la transizione. Ecco alcuni esempi di possibili risultati annuali ICP: fotosintesi assoluta in tutto l'arco dell’anno, copertura assoluta del suolo in tutto l'arco dell’anno, risultato relativo, anno per anno, in termini di rese stoccate o vendute.
Il CESE chiede di condurre una valutazione d’impatto per esaminare la possibilità di allineare i pagamenti a titolo del primo pilastro della PAC con i risultati degli ICP per l'agricoltura rigenerativa raccolti con il telerilevamento. Tale valutazione d'impatto deve chiaramente tenere presente che esistono anche fattori esogeni di rischio (clima, eventi meteorologici estremi e organismi nocivi).
Attualmente, né i pagamenti pubblici per alleviare gli effetti della crisi né la riduzione degli interessi sui pagamenti per il debito né i pagamenti per l’assicurazione dei raccolti creano incentivi significativi all'adattamento. “È necessaria un’azione coraggiosa per finanziare e ridurre i rischi della transizione, anche nell’agricoltura rigenerativa.” Il CESE raccomanda inoltre di istituire regimi assicurativi adeguati a coprire i rischi durante il processo di conversione.
La voce degli imprenditori agricoli: una domanda di futuro
Un sondaggio condotto da More in Common, un’organizzazione internazionale che si occupa di ricerca sociale, su 600 manager agricoli italiani, mostra che oltre il 60% guarda all’agricoltura rigenerativa come risposta al cambiamento climatico. Sono soprattutto i giovani e le aziende più piccole a spingere in questa direzione. La transizione ecologica è necessaria per il 62%, un’opportunità per il 25% mentre solo il 14% la considera un errore.
Sorpresa per quanto riguarda l’elenco dei problemi che bloccano la transizione. L’ostacolo economico è infatti indicato come seconda necessità, mentre il 45% per cento ha evidenziato il bisogno di più aiuti economici e il 68% ritiene che occorre abbattere il muro rappresentato dalla burocrazia.
Fisco più semplice, mobilità urbana più sostenibile, rendicontazione ESG
Il secondo parere del CESE guarda proprio al fisco e alla burocrazia. Le raccomandazioni vanno verso armonizzazione di IVA, accise e dazi, creazione di portali unici per cittadini e imprese, introduzione di decisioni fiscali anticipate per ridurre le controversie. Obiettivo: un sistema più digitale e meno gravoso, soprattutto per le PMI.
Il terzo parere porta l’attenzione sulle città e sulle aree periurbane. Qui il CESE invita gli stati membri a sostenere Piani di mobilità urbana sostenibile che integrino esigenze ambientali, sociali ed economiche. Non solo autobus e tram più efficienti, ma veri sistemi multimodali accessibili e sicuri per tutti.
Infine, la rendicontazione di sostenibilità. Le nuove regole europee rischiano di pesare soprattutto sulle PMI. Per questo il CESE propone assistenza tecnica, deroghe per le imprese sotto i 500 dipendenti e linee guida chiare entro il 2026. L’idea è semplice: la sostenibilità non può diventare un lusso per pochi grandi gruppi, ma deve restare accessibile anche alle realtà minori.
Quattro pareri, un’unica direzione: semplificare, ridurre gli oneri e premiare chi innova. Che si tratti di fisco, mobilità, imprese o agricoltura, il messaggio è lo stesso: l’Europa deve alleggerire il peso della burocrazia e trasformare la sostenibilità in una leva di crescita.
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In copertina: immagine Envato