La stagione invernale si avvicina, così come lo smog che prevedibilmente abbasserà notevolmente la qualità dell’aria in diverse città europee. Oltre alle emissioni industriali e quelle causate dal riscaldamento residenziale, tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico c’è anche il settore dei trasporti su gomma: emette notevoli quantità di particolato atmosferico fine e ultrafine, rispettivamente noti come PM2,5 e PM10, e la transizione elettrica non basterà a eliminare completamente il problema.

Infatti, nonostante le emissioni da tubi di scappamento siano in calo, grazie anche all’elettrificazione dei veicoli, le sostanze prodotte dall’usura di freni e pneumatici (emissioni non di scarico) continueranno a influire negativamente sulla qualità dell’aria. Ma secondo un recente studio, condotto da e:misia e commissionato dall’acceleratore di innovazioni europeo EIT Urban Mobility, le città possono cambiare le cose adottando policy e tecnologie adeguate.

I danni delle emissioni non di scarico

Il particolato atmosferico si misura in base ai livelli di piccole particelle inquinanti sospese nell’aria che secondo l’Agenzia europea per l’ambiente sono riconducibili a oltre 239.00 morti premature nel solo 2022. Malattie cardiovascolari, tumori, infezioni respiratorie, persino segni associabili alla malattia di Alzheimer, sono alcune delle patologie legate a una cattiva qualità dell’aria.

Secondo lo studio (Study on non-exhaust emissions in road transport) presentato da EIT Mobility a Londra, Milano e Barcellona, le emissioni non di scarico dei veicoli rappresentano tra il 68 e l'88% del PM10 e fino al 78% del PM2,5 presenti nelle città. Oltre a danneggiare la qualità dell'aria, queste particelle possono contaminare suolo e corsi d’acqua, sollevando preoccupazioni anche di carattere ecologico.

Le frequenti accelerazioni e decelerazioni fanno dell’usura dei freni la principale fonte di inquinamento tra le emissioni non di scarico, con circa il 40% delle particelle che finisce nell’aria. Il particolato rilasciato dall’usura degli pneumatici, invece, si accumula soprattutto nella polvere del manto stradale, nelle reti idriche e nel suolo.

Il report rileva livelli di PM più elevati nelle aree urbane dove sono più frequenti frenate, curve e accelerazioni, avvertendo che il peso significativo dei veicoli elettrici potrebbe causare un aumento delle emissioni.

Le soluzioni proposto da EIT Mobility

I modelli riportati nello studio indicano che la strategia più efficace per ridurre questo tipo di inquinanti è cambiare modalità di trasporto: sostituire le auto private con mezzi pubblici, usare di più la bici e spostarsi a piedi. In una simulazione costi-benefici tarata su Londra, l'introduzione di freni e pneumatici resistenti all'usura è stato l'intervento economicamente più efficace, con un beneficio netto stimato per la società di 235 milioni di euro entro il 2050. Inoltre, questi benefici potrebbero essere notevolmente incrementati attraverso cambiamenti mirati nei comportamenti di viaggio e nel tipo di veicoli.

"Solo un approccio coordinato, che abbracci regolamentazione, innovazione e cambiamento comportamentale, sarà efficace nel ridurre questa forma di inquinamento poco riconosciuta", ha dichiarato l’autore dello studio Yoann Le Petit, Mobility & Innovation Specialist di EIT Urban Mobility.

Le Petit invita le autorità pubbliche ad ampliare le zone a basse emissioni, abbassare i limiti di velocità per ridurre l'uso delle frenate e penalizzare i veicoli a combustione più pesanti come i SUV. Gli investimenti nei trasporti pubblici, nelle infrastrutture pedonali e ciclabili dovrebbero costituire la spina dorsale degli sforzi per ridurre la dipendenza dall'auto. Il rispetto dei limiti emissivi imposti dal regolamento Euro 7 a partire dal 2026 sarà importante, ma visto che si applicherà solamente ai nuovi veicoli ci vorrà tempo per vederne gli effetti.

Tyres collective, la cattura collettiva del particolato

L’usura degli pneumatici è principalmente causata dall'attrito con la strada. Lo sa bene la startup britannica Tyres Collective, che ha sviluppato un dispositivo in grado di catturare il particolato con notevole efficacia.

“Durante la guida, le particelle rilasciate dall’usura degli pneumatici vengono catturate da un filtro elettrostatico”, spiega Hugo Richardson, cofondatore di Tyres Collective. “Il nostro dispositivo interviene in modo selettivo proprio su questo tipo di emissioni, e il particolato raccolto può essere riciclato in diverse applicazioni industriali, come il bitume, le suole per le scarpe o i materiali fonoassorbenti.”

Per ora il dispositivo, fissato dietro lo pneumatico, viene testato soprattutto su veicoli di grandi dimensioni, dai quali è possibile raccogliere una quantità maggiore di particolato. “Nel progetto pilota condotto con la città di Strasburgo abbiamo catturato, in una settimana, circa il 25% del PM2,5 e PM10 che un veicolo solitamente genera”, conclude Richardson, che definisce la tecnologia “collective” perché contribuisce anche a rimuovere il particolato già depositato sull’asfalto da altri mezzi. “Possono sembrare percentuali modeste, ma il valore di riferimento era inferiore alla metà.”

 

In copertina: foto di Gleb Khodiakov, Unsplash