Mercoledì 10 dicembre il Consiglio e il Parlamento europei hanno raggiunto un accordo provvisorio per modificare la legge europea sul clima, introducendo un obiettivo vincolante di riduzione del 90% delle emissioni nette di gas serra entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990.

L’intesa, che dovrà essere formalmente approvata, conferma il percorso dell’UE verso la neutralità climatica entro il 2050, principale fondamento del claim di leadership globale dell’UE in materia ambientale, annunciato politicamente alla fine del 2019 con il Green Deal europeo. "A un mese dalla COP30, abbiamo trasformato le nostre parole in azioni concrete", ha scritto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in un comunicato stampa.

Il compromesso politico raggiunto dai legislatori prevede però che le riduzioni domestiche coprano l’85% del totale, mentre il restante 5% potrà essere raggiunto attraverso l’acquisto di crediti di carbonio internazionali “di alta qualità”. Allo stesso tempo, viene confermato il rinvio di un anno dell’entrata in vigore del sistema ETS2, il meccanismo di scambio delle emissioni per i settori edilizio e dei trasporti su strada (e ulteriori settori non già rientranti nell'ambito di applicazione dell'attuale EU ETS).

Aagaard: “Accordo basato sulla scienza”. Ma l’EEB attacca sulla flessibilità

Il 5 novembre 2025 i ministri dell’ambiente dell’UE hanno approvato la posizione del Consiglio sulla revisione della legge europea sul clima. Pochi giorni dopo, il 13 novembre, anche il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione negoziale.

“Oggi l'Europa si è unita attorno alla nostra chiara direzione in materia di politica climatica, basata sulla scienza e sulla tutela della nostra sicurezza e competitività. […] Sono davvero orgoglioso di ciò che abbiamo realizzato insieme”, ha dichiarato il 10 dicembre il capo negoziatore Lars Aagaard, ministro danese per il clima, l’energia e le utilities, esprimendo soddisfazione per un accordo che ritiene “cruciale per un futuro più sostenibile e prospero”.

Non tutti, però, nelle ultime settimane hanno condiviso l’ottimismo di Copenhagen. Già a novembre la federazione degli ambientalisti European Environmental Bureau (EEB) denunciava una “flessibilità eccessiva” che rischia di tradursi in scappatoie per l’industria pesante e in ritardi nelle politiche climatiche. Secondo l’organizzazione, il target del 90% – definito “il minimo indispensabile indicato dalla scienza” – è stato accompagnato da concessioni che “mascherano sotto parole come ‘semplificazione’, ‘competitività’ e ‘sicurezza alimentare’ un arretramento dell’ambizione climatica”.

In particolare, l’EEB criticava la possibilità di utilizzare crediti internazionali e la clausola che consente di rivedere il target sulla base delle prestazioni dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio, come foreste e torbiere. EEB avvertiva inoltre che il rinvio dell’ETS2 mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi 2030, poiché i settori edilizio e dei trasporti rappresentano oltre un terzo delle emissioni europee e finora hanno mostrato una riduzione molto lenta.

Il ruolo dei crediti internazionali: un compromesso al 5%

Uno degli elementi più delicati dell’accordo riguarda l’apertura ai crediti di carbonio internazionali, che potranno coprire fino al 5% dell’obiettivo totale dal 2036 in avanti. L’UE intende istituire una fase pilota tra il 2031 e il 2035 per testare l’integrità del mercato, in linea con i criteri dell’Accordo di Parigi e sotto la supervisione della Commissione europea.

In sostanza, gli stati membri potranno compensare una parte delle loro emissioni investendo in progetti di riduzione o assorbimento all’estero come riforestazioni, cattura del carbonio o rinnovabili nei paesi in via di sviluppo. La Commissione dovrà però stabilire criteri rigorosi per garantire che tali crediti non sostituiscano gli sforzi interni ma fungano da complemento.

Il prossimo passo sacrificherà l’ambizione?

Tra ambizione e realismo, l’accordo sul target 2040 fotografa però la più ampia e attuale sfida per l'Unione: mantenere la rotta verso la neutralità climatica senza sacrificare competitività e coesione sociale. Da un lato, Bruxelles rivendica di avere l’agenda climatica più ambiziosa tra le grandi economie; dall’altro, il crescente peso delle considerazioni economiche e pressioni geopolitiche impone (e a volte crea anche il pretesto, come nel caso del pacchetto Omnibus I) per compromessi a ribasso.

La prossima fase per la legge europea sul clima sarà la più delicata: tradurre l’accordo in pacchetti legislativi coerenti con quanto approvato. L’accordo introduce alcune forme di flessibilità per raggiungere l’obiettivo del 2040, ma indica anche vari elementi da includere nel nuovo quadro climatico dopo il 2030. Secondo Francesca Bellisai, Policy Advisor Politiche UE e Governance del think tank italiano per il clima ECCO, “la decisione di accettare i criteri richiesti dal Parlamento europeo sui crediti di carbonio e la previsione di una valutazione d’impatto per il pacchetto di politiche post 2030 offrono delle garanzie in più rispetto alla loro qualità, alla protezione dell’ambiente e dei diritti umani, che sono quanto mai necessari in questa fase di sviluppo del mercato”.

 

In copertina: Lars Aagard © European Union