Constatazione numero uno: “Possiamo decidere quale acqua bere e quale cibo mangiare, ma non possiamo scegliere l'aria che respiriamo. L'aria inquinata è democratica, arriva a tutti”. Firmato: Luigi Costanzo, medico di base ed esponente di ISDE.
Constatazione numero due: “Quando arriva la segnalazione di un rogo o di una discarica illegale, bisogna intervenire immediatamente. E lo si può fare solo se c'è stato un grande coordinamento tra istituzioni e società civile”. Parola del generale Giuseppe Vadalà, commissario straordinario per la Terra dei Fuochi.
Siamo in quell'enorme porzione di territorio compreso tra Caserta e Napoli. Novantadue comuni e oltre due milioni e mezzo di abitanti. Un luogo che per la prima volta diventa laboratorio di una rivoluzione silenziosa: i cittadini non si limitano più a protestare o denunciare, ma diventano protagonisti delle soluzioni.
È l'esperimento di democrazia partecipativa più avanzato d'Italia, nato per la pervicacia (la "capatosta", si dice da queste parti) di una rete di comitati riuniti nella sigla Stop Biocidio. Dopo decenni di battaglie, per la prima volta nella storia della Terra dei Fuochi, società civile e istituzioni siedono allo stesso tavolo non come antagonisti ma come alleati.
La novità si chiama Comitato per l'attuazione della sentenza CEDU: un organismo del tutto inedito in Italia, nato dalla volontà delle associazioni del territorio di non limitarsi più alla denuncia ma di diventare parte attiva del processo di risanamento. Un modello che può cambiare il rapporto cittadini-istituzioni in tutto il paese.
L'emergenza sanitaria: numeri che non mentono
Il dottor Luigi Costanzo, medico di base di Frattamaggiore e presidente di questo Comitato, parla tra una visita e l'altra dei suoi pazienti. È uno dei camici bianchi più ascoltati della Terra dei Fuochi, tra i primi a denunciare l'emergenza sanitaria quando veniva ancora definito "allarmista".
“Nel mio studio medico sono arrivato a undici nuovi casi di tumore dall'inizio dell'anno, quando la media attesa è di 8-9 casi annui. Tra questi, un uomo di 46 anni con carcinoma dell'esofago già metastatizzato alla diagnosi. Non possiamo più far finta di niente.”
È dello stesso avviso il generale Vadalà: “Gli aspetti sanitari sono fondamentali e lo screening va implementato. Inoltre bisogna rivolgere l’attenzione alle età più giovani, scendere con i livelli di assistenza perché le segnalazioni che arrivano su questo sono chiare ed evidenti. E sul fare presto concordo: per questo abbiamo istituito una ‘sala situazioni’ presso il comando dei Carabinieri forestali perché tutte le azioni vanno inserite in una visione d’insieme che possiamo avere solo centralizzando e coordinando”.
La svolta: dalla protesta alla proposta
Dopo anni di battaglie, denunce e la storica manifestazione “Un fiume in piena”, del 2013, che portò 150.000 persone a Napoli, la rete di circa trenta associazioni di Stop Biocidio ha compiuto un salto di qualità. Come spiega Enzo Tosti, storica voce dei comitati e anima del movimento, “siamo passati dalla protesta alla proposta. Prima denunciavamo, ora vogliamo costruire insieme alle istituzioni le soluzioni”.
È la prima volta che accade in Terra dei Fuochi, ma non solo. Può essere considerato un modello anche per altre parti d’Italia: i cittadini si fanno comunità proattiva e riconoscono nelle istituzioni interlocutori con cui collaborare per cambiare lo stato delle cose. Non è poco, soprattutto di questi tempi di afasia per le lotte ambientali.
Enzo Tosti è in prima linea da sempre, pagando anche con la propria salute il prezzo di un’esposizione costante e totale alle sostanze tossiche. E ha un punto di osservazione specifico, lavorando in un ospedale che abbraccia tutta la provincia nord di Napoli. Stop Biocidio gli ha affidato un ruolo molto importante e delicato, di coordinare il primo forum delle associazioni, e dei comitati per creare un humus di idee, proposte, iniziative. “Una vera e propria intelligentia collettiva aperta a tutte e tutti. E insieme faremo sintesi. Occorre ribaltare il punto di vista e intaccare anche le sacche di emarginazione e povertà di queste zone. Mi sono chiesto molte volte: perché Terra dei fuochi è nata proprio qui? Perché hanno devastato e ucciso proprio qui? Per la povertà, che costringe a lavorare in nero e ad accettare compromessi. Quindi va rescisso questo legame e va fatta anche un’operazione culturale, non solo di controllo del territorio. Il Comitato per l'attuazione della sentenza CEDU avrà interlocuzione diretta con l'Europa, produrrà report per comunicare lo stato attuale della situazione. Ma soprattutto dobbiamo fare pressione dal basso affinché il governo agisca. La società civile deve controllare e monitorare. La partecipazione è sempre stata la parte latitante di ogni azione predisposta in questo territoriale. Le soluzioni calate dall’alto hanno mostrato tutti i loro limiti.”
“È un'ottima notizia la nascita del Comitato”, risponde a distanza Vadalà. “La collaborazione è partita immediatamente e stiamo colloquiando da tempo anche con gli enti, i corpi intermedi e le autorità ecclesiastiche per capire meglio cosa c'è da fare e ascoltando il profondo disagio di una situazione complicata da risolvere. Il Comitato può quindi affiancare le istituzioni, proprio nello spirito della sentenza CEDU che riconosce a questa attività un valore importante.”
L'urgenza delle bonifiche dell'emerso
Sul terreno, l'emergenza più immediata resta quella dei roghi tossici e delle discariche illegali che continuano a proliferare. “Quando il cittadino segnala una discarica ci deve essere velocità nell'individuarla, velocità nella messa in sicurezza e velocità nella azione di togliere il carburante a possibili roghi”, dice Luigi Costanzo. “Perché quando c’è l’incendio è tardi e l’aria diventa irrespirabile. Ad esempio, tempo fa abbiamo fatto la denuncia preventiva di una discarica sotto l'asse mediano prima del rischio di incendio. Il comune diceva ‘non è competenza mia’, si è perso tempo e dopo c'è stato l'incendio. La burocrazia deve essere snella, bisogna essere immediati almeno per quello che si vede.”
“È il motivo per cui ho voluto la Situation Room, la sala situazione, perché lì c’è personale pronto e dedicato e saremo più agili rispetto al passato. Lì accogliamo le segnalazioni, interveniamo o lavoriamo insieme per trovare le soluzioni. I roghi tossici sono diminuiti ma ancora ci sono casi e non deve avvenire. Non possiamo permettercene più.”
Le risorse: tra promesse e realtà
Vadalà apre il file dei numeri: “Il lavoro sta procedendo ma ci vogliono tempi, c'è stato anche un tempo inerziale di inizio missione, ma ora bisogna correre e devono poter arrivare altre risorse. Ci aspettiamo dei decreti a settembre, in base alla prima relazione presentata a sessanta giorni dalla nomina. Un dato su tutti: manca ancora il 65% della caratterizzazione dei siti”.
Significa che per la stragrande maggioranza del territorio non si sa cosa ci sia sottoterra, che livello di inquinamento aspettarsi e quali sostanze contaminano acqua e terra. Il tutto dopo oltre trent’anni dal primo grido d’allarme. Per dare un senso agli appelli all’urgenza, la sentenza CEDU dà due anni al governo italiano per porvi rimedio. I fondi bastano? “Per tre anni dal 2025 al 2027 abbiamo circa 300 milioni. Solo per bonifica e caratterizzazione servono almeno 150 milioni. Poi c’è tutto il resto.”
Costanzo è più tranchant: “Non bastano. Serve anche ragionare su un ticket ambientale e una sorveglianza sanitaria dedicata. Non è possibile che il diritto alla cura venga negato a chi subisce una tale ingiuria ambientale. Spesso questi cittadini non riescono ad accedere alle cure tempestivamente. Occorre il riconoscimento di un buono, un ticket, per accedere a centri sanitari ad hoc per chi vive nelle aree inquinate. Occorre un canale preferenziale. E ampliare e rendere sistematico il biomonitoraggio per controllare se nel sangue ci sono sostanze tossiche. È una delle proposte presentate a Vadalà”.
Una rivoluzione dal basso
Dalla fine degli anni Novanta la società civile ha denunciato sversamenti illegali e roghi tossici. I monitoraggi sanitari − spesso per iniziativa dei medici, non della regione − hanno dimostrato più volte l'impennata delle patologie tumorali. A marzo la CEDU ha condannato lo stato italiano perché non se ne è mai occupato seriamente. Un modello che, se funzionerà, potrà essere replicato in tutta Italia ogni volta che si presenti un conflitto ambientale di questa portata.
“Ci hanno chiamati ciarlatani, allarmisti”, dice Costanzo. “Ma la sentenza riconosce ai cittadini la capacità di mettere in risalto l'emergenza e ora ci dà anche la possibilità di essere i controllori. Il segreto è stare insieme, ognuno con le proprie specificità, e aggregarsi intorno a un obiettivo comune.”
“È una sfida enorme, ne sono consapevole”, ammette Vadalà. “Ho cambiato io stesso vita, vivendo in Campania gran parte del mio tempo. È esaltante dal punto di vista professionale e arricchente dal punto di vista umano. È un grande impegno e ce la faremo.”
Tre voci, tre ruoli, un obiettivo comune: restituire salute e dignità a una terra che per troppo tempo è stata sacrificata sull'altare del profitto illegale. L'esperimento è appena iniziato, ma già mostra una strada possibile per ricucire il rapporto tra cittadini e istituzioni. Non solo in Terra dei Fuochi.
In copertina: immagine Envato