Nel comune di San Tammaro, non molto distante da Caserta, in mezzo alle campagne e raggiungibile percorrendo strade non sempre asfaltate, domina la Reggia di Carditello, edificio borbonico, circondato da stalle, tre boschi, pista per cavalli e prati dove i campani trascorrono il tempo libero tra scampagnate e spettacoli serali.
La storia di questo monumentale edificio si intreccia con quella della classe dirigente campana, con i suoi cittadini e anche con la camorra, dato che lo stato ha dovuto sottrarle il bene, restaurarlo, per poi restituirlo alla collettività.
Oggi ne parliamo perché proprio qui si svolge l’ultimo capitolo di una delle vicende ambientali più drammatiche del nostro paese: la Terra dei fuochi. Il territorio interessato dalle discariche abusive di rifiuti e roghi tossici è quello compreso tra il sud della provincia di Caserta e il nord di Napoli. Sono 90 comuni uniti da questo nome che spesso è diventato etichetta.
La Reggia ha quasi 220 anni di storia, i suoi marmi furono trafugati dalle famiglie camorristiche per le loro case – e tombe – ma la fama negativa è stata completamente riscattata pochi anni fa quando il sito, disegnato da un allievo di Vanvitelli, è tornato a splendere con la fondazione Real Sito di Carditello, che ha di fatto restaurato le vecchie stalle facendone rinascere la fattoria. Basti pensare che la prima mozzarella dell’agro casertano è stata prodotta proprio qui. Per dire che la vocazione agricola di questa zona ha radici molto profonde.
Oggi, però, un nuovo studio scientifico rende il sito borbonico centrale anche per le conseguenze dei roghi di Terra dei fuochi. Proprio nei giorni in cui la sentenza della CEDU diventa definitiva – cioè lo Stato italiano non si è opposto e ha quindi riconosciuto che per decenni non è stato fatto nulla per arginare questo inquinamento, e soprattutto ha due anni di tempo per intervenire – viene pubblicata una ricerca su Science of the Total Environment.
È stato utilizzato un muschio come bioindicatore, lo Scorpiurium circinatum, che ha rilevato alte concentrazioni di arsenico, mercurio e piombo sia in un sito industriale, sia appunto al Real Sito di Carditello, un’area rurale lontana dai roghi tossici.
Lo studio è stato condotto da un team dell’Università di Napoli Federico II in collaborazione con la Sbarro Health Research Organization (SHRO) della Temple University di Philadelphia. I ricercatori hanno impiegato moss bags, ovvero sacchetti contenenti campioni del muschio capaci di assorbire gli inquinanti dell'aria, posizionandoli in sei punti di due aree campione in Campania. Come metro di paragone è stato scelto il monte Faito e i campioni sono stati esposti per 21, 42 e 63 giorni.
Il professor Antonio Giordano, oncologo, patologo e genetista, è il fondatore e presidente dello Sbarro Institute, la sua vita si svolge tra Napoli e Philadelphia ed è qui che lo raggiungiamo, pochi giorni dopo la pubblicazione dello studio.
Professor Giordano, qual è il dato più importante emerso?
Il dato più rilevante è che l’aria — inizialmente ritenuta lontana dalle aree di smaltimento illegale — risulta comunque contaminata, suggerendo una preoccupante propagazione dell’inquinamento.
Lo studio ha esaminato due aree significative: la prima è il Bosco della Reggia di Carditello, una tenuta scarsamente urbanizzata e con una presenza umana minima, che ha tuttavia mostrato livelli preoccupanti di contaminazione atmosferica. La seconda area analizzata è una zona industriale nel comune di Giugliano in Campania, uno dei simboli dello smaltimento illecito di rifiuti, dove è stata confermata la presenza di sostanze inquinanti con un impatto significativo sulla salute ambientale. Questi risultati sottolineano l’ampia diffusione dell’inquinamento e la sua capacità di propagarsi anche in contesti apparentemente meno esposti.
Come hanno reagito istituzioni e cittadini?
Il lavoro scientifico ha trovato un solido sostegno da parte del Ministero della salute e dei cittadini, che ne hanno riconosciuto l'importanza e il valore. Al contrario, le istituzioni politiche regionali hanno mostrato una carente attenzione e un insufficiente supporto, rivelando una preoccupante distanza rispetto alle reali esigenze della comunità scientifica e alla tutela della salute pubblica.
Le nanoparticelle inquinanti sono state trovate anche in terreni rurali a distanza dai roghi: per quanto tempo persistono dopo che sono state prodotte?
La durata della persistenza delle nanoparticelle inquinanti dipende dal tipo specifico di inquinanti coinvolti. In generale, i metalli pesanti, come quelli individuati nello studio, tendono a rimanere nell’ambiente per periodi molto lunghi ‒ anche decenni ‒ senza decomporsi facilmente. Questi metalli possono accumularsi nel suolo e nelle acque, contaminando l’ambiente circostante. La persistenza di tali sostanze è influenzata dalla loro natura chimica, dalla solubilità e dalle condizioni ambientali. Tuttavia, come evidenziato dallo studio, la contaminazione può estendersi anche a terreni rurali distanti dalle fonti di inquinamento, come i roghi.
Quali conseguenze sulla salute possiamo ipotizzare?
L’esposizione a queste sostanze, anche a basse concentrazioni, comporta rischi seri e a lungo termine per la salute umana, con effetti che spaziano da malattie respiratorie e cardiovascolari a tumori e danni neurologici.
Secondo la sua esperienza, c’è un altro luogo in cui questi fenomeni accadono e come sono stati affrontati?
Simili fenomeni di inquinamento ambientale si verificano in diverse parti del mondo, con impatti significativi sulla salute pubblica e sull'ambiente.
Si può ipotizzare se queste particelle finiscono nella catena alimentare? Con quali conseguenze? E quali studi servirebbero per scoprirlo?
È plausibile ipotizzare che le particelle inquinanti possano entrare nella catena alimentare. Questo processo, noto come bioaccumulo e biomagnificazione, può avere gravi conseguenze per gli organismi che ingeriscono questi contaminanti, inclusi gli esseri umani. Per comprendere appieno l’entità del problema, sono necessari studi approfonditi sulla contaminazione ambientale, sul trasferimento degli inquinanti tra gli organismi e sugli effetti diretti e indiretti sulla salute.
Qual è il suo prossimo obiettivo come ricerca?
Il prossimo obiettivo di ricerca si concentra sulla salute umana considerata in senso integrato, con un'attenzione particolare all'approccio One Health. Tradizionalmente la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente è stata affrontata come se fossero ambiti separati; tuttavia, grazie ai progressi scientifici e a una crescente consapevolezza riguardo all’inquinamento ambientale, il concetto di One Health sta acquisendo sempre maggiore rilevanza. Il mio impegno è contribuire a un futuro in cui la salute delle persone, degli animali e dell’ambiente venga riconosciuta come un sistema interconnesso, così da affrontare in modo più efficace e sostenibile sfide globali come le malattie infettive, l’inquinamento e i cambiamenti climatici.
In copertina: Antonio Giordano, foto di sua concessione