Sono passati quasi dieci anni da quando, a settembre 2015, i 193 paesi membri dell’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite (ONU) hanno sottoscritto l’Agenda 2030, composta da 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Il quadro attuale, però, è allarmante: quasi la metà degli obiettivi, da raggiungere entro il 2030, mostra progressi minimi o moderati, mentre oltre un terzo è in stallo o in regresso. Solo il 17% sta andando nella direzione giusta.

Questi dati vengono dal Rapporto sugli obiettivi di sviluppo sostenibile 2024 delle Nazioni Unite: sono quindi precedenti all’avvento di Trump alla presidenza USA, che ha fortemente ridimensionato il coinvolgimento degli Stati Uniti nell’agenzia ONU. L’attuale crisi del multilateralismo ha indebolito ancora di più le istituzioni, allontanando i paesi dal mantenimento degli impegni presi nel 2015.

A livello italiano, emerge un notevole ritardo sugli SDG, anche se il paese ricaverebbe molti vantaggi da un investimento concreto nella transizione ecologica e digitale, in un’ottica di sviluppo sostenibile. In Italia, però, arriva una speranza dalle imprese più giovani, che possono contribuire ad accelerare il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 con soluzioni concrete. A dirlo è il report Reach the Goals di Cariplo Factory, che ha analizzato il contributo di 128 startup e PMI italiane in ambito SDG, facendo emergere una fotografia, seppur parziale, della composizione delle imprese italiane più giovani e innovative e delle sfide che affrontano, tra cui la difficoltà nell’accesso a finanziamenti e bandi dedicati.

Il report di Cariplo Factory

Per il quarto anno, l’hub di innovazione di Fondazione Cariplo ha tracciato una panoramica dell’ecosistema italiano dell’innovazione sostenibile. Il report Reach the Goals, con il patrocinio della Commissione europea, ha inizialmente lanciato una call per le startup interessate, per poi selezionarle, sottoporle a un questionario e infine analizzare i dati.

Per essere scelte, le imprese dovevano rispettare alcuni criteri: essere costituite come startup o PMI innovative, avere un TRL (Technology Readiness Level, una scala che misura il grado di maturità tecnologica) pari o superiore a 4, avere la propria sede principale in Italia ed essere attive su almeno 1 obiettivo di sviluppo sostenibile.

“Il nostro report evidenzia il ruolo cruciale delle startup e PMI italiane nel colmare il divario sugli SDG, offrendo soluzioni innovative per imprese e istituzioni”, ha spiegato Riccardo Porro, Chief Operating Officer di Cariplo Factory. “Giovani, dinamiche, con brevetti e tecnologie testate in ambienti industriali, queste realtà stanno cambiando il paradigma, pur operando in un ecosistema che non sempre è in grado di offrire risorse e supporto adeguato.”

Inoltre, dalla ricerca emerge che il 20% delle imprese che hanno partecipato alla survey sono attive nel SDG 12 (consumo e produzione responsabili), il 16% nel SDG 3 (salute e benessere), il 13% nel SDG 13 (lotta contro il cambiamento climatico). Tra gli obiettivi meno perseguiti, ridurre le disuguaglianze (Goal 10), sconfiggere la povertà (Goal 1) e partnership per gli obiettivi (Goal 17).

La composizione delle 128 imprese

Le imprese analizzate dal report sono per il 66% startup, mentre per il restante 34% PMI innovative. Circa la metà delle aziende sono in fase embrionale (pre-seed e seed), il 16% ha iniziato da poco (early stage) e 30% sta crescendo (growth). Inoltre, nel 70% dei casi sono attive in ambito B2B (i loro clienti sono altre aziende), ma non mancano quelle che si rivolgono al mercato dei consumatori (B2C) e a quello della pubblica amministrazione (B2G). Il paper fa notare che un’impresa su quattro opera in almeno due segmenti contemporaneamente tra B2B, B2C e B2G: un dato che evidenzia il potenziale trasversale e cross-settoriale delle soluzioni tecnologiche innovative.

Diversi sono i settori in cui lavorano: spicca tra tutti l’agritech (9,3% del campione intervistato), seguito dall’efficientamento energetico, dove risultano imprese attive nella produzione di impianti geotermoelettrici e altri startupper che stanno implementando piattaforme per automatizzare i processi per la diffusione di impianti a fonte rinnovabile.

Tutte queste aziende sono nate in momenti diversi, ma più del 90% ha preso forma dopo l’istituzione degli SDG nel 2015, mentre circa la metà è stata fondata dopo il 2021. A livello geografico, la localizzazione delle giovani imprese riflette il divario italiano, con il 64% nel nord Italia, e solo il 37% circa nel centro-sud, dove sono tendenzialmente più specializzate su specifici SDG.

Per quanto riguarda la distribuzione dei generi nelle persone che lavorano in azienda, permane la prevalenza maschile, con il 63% fondate da team composti unicamente da uomini e solo il 9% da sole donne. Tuttavia, emerge anche che un gruppo su tre è caratterizzato da una composizione mista, segnale di un progressivo cambiamento verso la rimodulazione dei rapporti di genere.

Lo scarso accesso a finanziamenti dedicati e la ricerca degli investimenti

Il rapporto evidenzia che in Italia il sostegno alle startup e PMI innovative è scarso: solo il 30% dei casi esaminati, infatti, ha avuto accesso a bandi e finanziamenti dedicati all’imprenditoria sostenibile. Questa percentuale scende poi al 20% per quanto riguarda le aziende localizzate nel centro-sud e in quelle fondate da sole donne. La mancanza di supporto emerge soprattutto nelle fasi iniziali (pre-seed e seed), dove meno di un terzo del campione che ha partecipato alla survey è riuscito a beneficiare di finanziamenti dedicati. La percentuale migliora nell’early stage, arrivando a quasi metà del totale. Tra i goal meno coperti da bandi e finanziamenti per l’imprenditoria sostenibile spiccano città e comunità sostenibili (SDG 11) e lotta contro il cambiamento climatico (SDG 13), con l'80% delle aziende che dichiarano di non aver ricevuto alcuna forma di sostegno dedicato.

Nonostante queste difficoltà, oltre il 70% ha già ricevuto almeno un round di investimento. Quattro aziende su cinque sono alla ricerca di nuovi finanziamenti, con il 20% interessato a raccogliere oltre un milione di euro e un altro 25% oltre mezzo milione. In centro Italia sono ampiamente predominanti, tra gli investitori, incubatori e acceleratori, affiancati al nord da business angel, venture capital e CVC (Corporate venture capital).

A proposito delle filiere di investimento, Porro ha ribadito che oggi “difficilmente un'azienda, per quanto grande, riesce ad affrontare queste complessità facendo leva solo sulle proprie competenze. Per questo crediamo che l’open innovation possa essere un modello vincente: facilita l’accesso a know how ed esperienze esterne, accelera l’adozione di tecnologie già disponibili sul mercato, il tutto stimolando la crescita delle migliori startup”.

 

In copertina: immagine Envato