Il progresso economico non è un percorso lineare. È piuttosto un equilibrio instabile, fatto di aggiustamenti continui, di innovazioni che mettono in discussione l’esistente e di capacità di adattamento. Lo ricordano gli economisti insigniti quest’anno del Nobel per l’economia: la conoscenza e il progresso tecnologico alimentano la crescita solo se la società è in grado di sostenere la “distruzione creatrice”, quel processo di evoluzione costante in cui ciò che nasce prende il posto di ciò che muore.

È una riflessione che parla direttamente all’Italia di oggi, e che può fare da filo conduttore al nuovo rapporto Green Italy 2025 di Fondazione Symbola, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne, scritto anche con il contributo di Materia Rinnovabile e presentato l’11 novembre a Roma, nei giorni in cui prende il via COP30 in Brasile. Perché anche la transizione ecologica è, in fondo, una forma di distruzione creatrice. E c’è un’Italia che sta già dentro questa trasformazione, consapevole che non si cresce malgrado la sostenibilità, ma grazie a essa, interpretando i vincoli ambientali come opportunità di sviluppo. È l’Italia delle imprese che innovano, che investono per rendere più efficienti i processi, ridurre gli sprechi, chiudere i cicli delle risorse.

Secondo il rapporto Green Italy, tra il 2019 e il 2024 sono state 578.450 le imprese extra agricole che hanno puntato sulla sostenibilità, più di una su tre. Inoltre, come ricorda giustamente Andrea Prete, presidente di Unioncamere, “le aziende europee che detengono brevetti in tecnologie green strategiche registrano in media un livello di produttività più alto del 17%, e questo effetto è ancora più marcato nei settori tradizionali”.

Mentre il green si conferma moltiplicatore di valore − le imprese che investono in sostenibilità mostrano performance migliori sotto ogni profilo, dall’aumento della produzione e del fatturato alla crescita dell’occupazione e delle esportazioni − c’è però un ostacolo fa sentire i suoi spigoli: la mancanza di competenze. Se da un lato nel 2024 i green job hanno raggiunto 3,3 milioni di occupati, pari al 13,8% del totale, con un incremento del 4,3% in un solo anno, più della metà dei profili richiesti dalle imprese green è difficile da reperire. È un nodo strutturale che chiama in causa il sistema formativo, la ricerca e l’orientamento dei giovani: in altre parole, se ancora vi fossero dubbi, un altro segnale che l’innovazione tecnologica italiana rischia di procedere zoppa senza innovazione sociale e culturale.

Su un fronte come l’economia circolare, il nostro paese continua invece a mostrare risultati che non hanno eguali in Europa. Secondo Eurostat, nel 2023 il 92,6% dei rifiuti totali, urbani e speciali, è stato avviato a riciclo, contro una media europea del 60%. Cifre che raccontano una realtà industriale efficiente, capace di recuperare materia, ridurre dipendenze esterne. E per citare il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, fa dell’Italia una “superpotenza europea dell’economia circolare”.

Quanto costruito nel nostro paese trova un riconoscimento implicito nel nuovo percorso verso il Circular Economy Act europeo, la cui proposta è attesa nel 2026, che punta a costruire un vero mercato unico delle materie prime seconde e a raddoppiare il tasso di circolarità entro il 2030. Un obiettivo ambizioso, che parla in fondo il linguaggio di molti distretti italiani (ed europei).

La circolarità in Europa sarà infatti sempre più orientata all’interdipendenza, crescendo di scala. O, per dirla con John Donne, nessuno stato membro è un’isola (o penisola) sufficiente a sé stesso. In questa nuova cornice a lacca autarchica, la prossima sfida è nell’accesso e nella protezione di risorse strategiche, a partire dai Critical Raw Materials (CRMs) fino all’acqua dolce. Anche se timidamente, la nuova Water Resilience Strategy europea mette infatti per la prima volta al centro dell’economia e della società europea la gestione intelligente e circolare del bene più prezioso. Anche in questo campo, dal Sud al Nord, l’Italia può giocare un ruolo chiave.

Insomma, Green Italy 2025 fotografa un paese che sta imparando a crescere in un equilibrio precario, ma per ora vitale. Più che trionfalismo, in fondo, i dati mostrano cioè che la direzione è giusta, il green italiano è un processo aperto, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità, ma capace di tenere insieme crescita e qualità, sviluppo e misura. Ecco, magari non scatta in avanti, ma coltiva la capacità di rigenerarsi. In questo, sembra proprio che l’Italia possa ancora dire la sua, schivando, se vorrà, un futuro di stagnazione.

 

In copertina: immagine Envato